La transizione energetica globale è sempre
più veloce e probabilmente irreversibile. L’ostinazione di molte compagnie a
investire in carburanti fossili aumenta il rischio di stranded asset,
infrastrutture obsolete che non saranno in grado di ripagare il denaro speso.
di Jeremy Leggett *
I paladini dell’industria fossile e i loro lobbisti si preparano a
subentrare alla Casa Bianca, nominati da un presidente eletto da una minoranza,
che pretende di rappresentare il popolo su base anti elitaria, pur possedendo
la più grande ricchezza cumulativa di qualsiasi altro governo, e dovranno fronteggiare
la rapida transizione energetica globale, che minaccia di abbandonare i
combustibili fossili che loro invece tentano di promuovere.
“L’energia mondiale è a un punto di svolta” titolava Bloomberg il 16
dicembre. “L’energia solare, per la prima volta, sta diventando la forma più
economica della nuova elettricità” si leggeva nell’articolo. L’analisi del
costo medio dei nuovi impianti eolici e solari in 58 mercati emergenti -
inclusi Cina, India e Brasile - era di 1,65 milioni di dollari/MW per il solare
e 1,66 per l’eolico. Google guida le grandi aziende che con entusiasmo seguono
questo flusso. Il maggiore acquirente di energia verde, infatti, ha annunciato
il 6 dicembre che pensa di raggiungere l’obiettivo del 100% di potenza
rinnovabile nel 2017. Google è un forte consumatore di energia: puntare sul
fotovoltaico significa tagliare profondamente le emissioni di CO2, soprattutto
quando l’infrastruttura solare è collegata con tutti gli apparecchi digitali
per l’efficienza energetica dell’Internet of Things. Le riduzioni delle
emissioni di Google saranno significative anche considerando l’intero ciclo di
vita dei prodotti. I pannelli solari di oggi ripagano l’energia utilizzata
per fabbricarli in poco meno di un anno, come ha riportato a dicembre un team
belga di ricerca dell’Università di Louvain.
“Per ogni raddoppio della capacità fotovoltaica installata”, scrivono Atse
Lowen e i suoi colleghi, “l’uso di energia diminuisce rispettivamente del 13 e
12% per i sistemi fotovoltaici policristallini e monocristallini, mentre l’impronta
dei gas serra si riduce rispettivamente del 17 e 24%”. Questo significa che
ora i pannelli solari restituiscono più energia del petrolio americano: una
media di ritorno energetico sull’energia utilizzata di circa 14 (in crescita)
contro circa 11 (in discesa). Questa è una buona notizia non solo per i ricchi
californiani ma anche per il mondo in via di sviluppo, dove “lanterne
solari e fotovoltaico su tetto stanno diventando l’energia di prima scelta”
riportava Bloomberg. Il mercato complessivo delle nuove case indiane che
accedono all’energia su piccola scala ha un potenziale di 200 GW, di cui
solo una minima parte già servita. In Myanmar il governo non ha bisogno di
altre persuasioni: ha già annunciato un piano per portare il solare a tutta
la popolazione entro il 2030.
Anche i progressi tecnici nelle batterie e nei veicoli elettrici sono
diventati più chiari a dicembre. Gli aspetti positivi delle auto elettriche
fanno sinergia con gli elementi negativi dell’inquinamento atmosferico, creando
una tempesta perfetta per il diesel. Al summit delle città C40, Parigi,
Madrid, Atene e Città del Messico si sono tutte impegnate a bandire i
veicoli a gasolio entro il 2025. In Cina, l’inquinamento atmosferico
quest’anno ha fatto scattare l’allerta rossa in 24 città, con scuole chiuse e
voli cancellati. Mezzo miliardo di persone è stato colpito da questa
“airpocalypse”. A Chengdu, le persone sono scese in strada mettendo maschere
antismog sulle statue nel centro cittadino. Non si può dire che la Cina non
stia cercando di risolvere il problema alla radice. Ho riassunto il rapido
avanzamento di Pechino nelle rinnovabili in precedenti rapporti mensili. Questo
mese, una presentazione a Londra di Zhang Gang, consigliere del Consiglio di
Stato cinese, rivelava che gli sforzi per utilizzare l’elettricità in modo
più efficiente, riducendo il fabbisogno di carbone, hanno incluso 317
milioni di contatori intelligenti operativi nel 100% delle aree urbane e
nel 70% delle zone rurali. Nessun altro paese può nemmeno avvicinarsi a un
simile sviluppo di una rete intelligente. Il 12 dicembre, l’Agenzia
Internazionale dell’Energia ha pubblicato un rapporto nel quale concludeva che gli
impianti cinesi a carbone “non hanno più un senso economico”. L’India è in
una situazione simile. Il 12 dicembre, l’Autorità centrale per l’energia
elettrica ha dichiarato che il paese non ha bisogno di nuovi impianti a carbone
fino al 2022. L’Autorità ha in programma di portare le rinnovabili
diverse dall’idroelettrico a coprire il 43% dei consumi elettrici entro
il 2027. Una simile ambizione sarebbe stata inconcepibile fino a poco tempo
fa.
Come dovrebbero comportarsi gli investitori? La Raccomandazione della Task
Force on Climate-related Financial Disclosures (TFCD) intende spiegare a
investitori e assicuratori come i rischi legati ai cambiamenti climatici
potranno interessare i rispettivi business, con un piano d’azione per reagire a
tali rischi. Il rapporto presenta i risultati delle discussioni di 32
rappresentanti di società con una capitalizzazione di mercato pari a 1.500
miliardi di dollari e istituti finanziari che gestiscono asset per complessivi
20.000 miliardi di dollari. L’idea è che i mercati dei capitali debbano
adeguarsi agli intenti degli accordi di Parigi sui cambiamenti climatici,
ritirandosi progressivamente dai combustibili fossili e favorire gli
investimenti in tecnologie pulite, non ultime le rinnovabili.
L’obiettivo dell’accordo di Parigi, sottoscritto da tutte le nazioni
indipendenti del pianeta a dicembre 2015, è mantenere il surriscaldamento
terrestre entro due gradi centigradi. Se la società intende fare questo, la
maggior parte delle riserve di carburanti fossili dovrà rimanere sottoterra.
Finché le compagnie energetiche penseranno che tutte le riserve abbiano un
valore finanziario, ci sarà quel rischio - se davvero i governi faranno quello
che hanno promesso a Parigi - che gli investitori chiamano “stranded
asset”: avere denaro investito in una risorsa che poi non si è in grado
di sfruttare. Investire altro denaro in questo stock di riserve potenzialmente
inutilizzabile crea quella che potremmo definire una “bolla del carbonio”.
Il rischio di stranded asset aumenta ogni volta che una compagnia decide
d’investire in nuovi progetti fossili che non sono necessari: miniere di
carbone, giacimenti di gas e petrolio, fracking, centrali termoelettriche e via
dicendo. La Banca d’Inghilterra si è resa conto che questo tema possa
rappresentare un rischio sistemico a settembre 2015.
Dopo aver ascoltato le riflessioni di Carbon Tracker, il think-tank
finanziario che io presiedo, e di altri esperti finanziari preoccupati, ha
iniziato a temere che l’abbandono degli asset dell’energia fossile rischierebbe
di far sprecare molti capitali investiti, e potrebbe perfino minacciare
la stabilità finanziaria globale. Il tentativo di bloccare questa minaccia ha
presto assunto una scala internazionale. A dicembre 2015, il Financial
Stability Board del G20 ha istituito la task-force con il compito di
specificare le informazioni di cui gli investitori hanno bisogno per
evitare il rischio degli stranded-asset; è guidata nientepopodimeno che da
Michael Bloomberg. Appena il rapporto della task-force è stato pubblicato, più
di trenta organizzazioni - tra cui Aviva, Axa, BHP Billiton, JPMorgan e Daimler
- hanno dichiarato il loro supporto per le sue conclusioni. Molte altre
compagnie sicuramente si aggiungeranno, perché il punto di partenza della
roadmap proposta è che le organizzazioni dovrebbero includere i dati
finanziari relativi al clima nei loro resoconti pubblici. Non farlo
significherebbe ignorare dei rischi materiali per le stesse organizzazioni. Questa
divulgazione dovrebbe comprendere gli elementi principali che riguardano il
modo di operare delle società: governance, strategie, gestione del rischio,
misurazioni e obiettivi. In particolare, evidenzia la Task Force on
Climate-related Financial Disclosures (TFCD), le aziende dovrebbero allineare i
loro modelli di business con un futuro 2a due gradi centigradi". Le
remunerazioni degli amministratori delegati e dei vertici dovrebbero essere
commisurate al raggiungimento degli obiettivi per un mondo con un
surriscaldamento globale inferiore ai due gradi.
Già prima che gli accordi di Parigi fossero adottati l’anno scorso, il rischio
climatico era nelle prime posizioni dell’agenda dei principali investitori
istituzionali e gestori di fondi. I consigli di amministrazione, nella maggior
parte dei casi, si sono opposti alle richieste di sottoporre i modelli di
business delle compagnie oil & gas a dei test per verificare la loro tenuta
rispetto a un panorama climatico consistente con i due gradi centigradi.
Tuttavia, tali richieste hanno incontrato un alto favore da parte degli
azionisti. Ora non ci saranno più posti dove nascondersi. Il rapporto
del TCFD include uno schema con le migliori pratiche e una roadmap per
migliorare la divulgazione dei dati. Né le compagnie fossili né i gestori di fondi
che investono in tali compagnie potranno ignorarli tanto facilmente. Alcuni
investitori non hanno atteso i consigli della task-force del G20. Prima del
summit di Parigi a dicembre 2015, fondi d’investimento per complessivi 3.400
miliardi di dollari avevano disinvestito da tutti o almeno da una parte dei
rispettivi asset in combustibili fossili, o avevano annunciato la loro
intenzione di farlo. Questo movimento è continuato a crescere nel 2016. Il 12
dicembre, il valore dei fondi disinvestiti ha passato 5.000 miliardi di
dollari.
Quali danni potrebbe arrecare l’amministrazione Trump a questo
scenario? Secondo un recente rapporto di PwC, l’impatto che potrebbe avere
sulle emissioni globali di gas serra sarà “abbastanza piccolo”, se gli altri
paesi manterranno la direzione intrapresa. Considerando le tendenze di cui ho
dato conto ogni mese nel 2016, e considerando che la dichiarazione di
Marrakech dello scorso novembre ha definito “irreversibile” il processo di
Parigi, mantenere la direzione sembra un assunto molto più che ragionevole. Cercando
di far deragliare Parigi e rivitalizzare il carbone, Trump dovrà in
qualche modo reprimere gli Stati americani progressisti. Il suo problema
è che 33 Stati e il Distretto di Columbia hanno tagliato le emissioni di CO2 mentre
espandevano le loro economie dal 2000 in avanti, inclusi alcuni territori
repubblicani. Come persuadere la burocrazia di quelle zone a tornare a un
modello economico fallimentare, che cerca essenzialmente di recuperare la
crescita economica e l’utilizzo di combustibili fossili? Quindici di questi
Stati, tra cui California, New York, Virginia, Vermont e New Mexico, hanno già
detto a Trump che se cercherà di eliminare i piani americani salva-clima,
si rivedranno nelle aule di tribunale.
La Grande Energia come ha reagito davanti alla transizione energetica alla
fine del 2016? Due appunti. Il settore delle utility continua a essere diviso
tra le compagnie che cercano di difendere lo status quo in via di affondamento,
e quelle che stanno correndo per diventare parte del nuovo mondo. Una delle
ultime, Engie (ex GdF Suez) ha dichiarato che secondo le sue stime il prezzo
del petrolio scenderà a 10 dollari, come risultato delle attuali tendenze nei
mercati energetici e dell’ondata di investimenti in tecnologie pulite portata
avanti da molte grandi compagnie. Sarebbe interessante, se dovesse succedere. Per
esempio, il primo dicembre BP ha dato via libera a un investimento da nove
miliardi di dollari per un giacimento petrolifero in acque profonde,
battezzato Mad Dog 2, che dovrebbe entrare in funzione nel 2021. Buona fortuna
a loro per recuperare l’investimento, se la visione di Engie diventerà realtà.
La mia conclusione, all’inizio del 2017, è che la transizione energetica
globale stia andando più velocemente di quanto pensi la maggior parte della
gente, ed è probabilmente irreversibile. Le possibilità che Trump faccia
risorgere il carbone e faccia espandere l’industria oil & gas così come
vorrebbe, sono molto basse. C’è una condizione, ovviamente: che lui non voglia
ritrovarsi immischiato in una guerra mondiale. In quel caso, tutte le scommesse
sarebbero spazzate via. Nel 2017, includerò questo tema più generale della
sicurezza nei miei resoconti, oltre ai temi della cyber sicurezza, della
robotica e dell’intelligenza artificiale.
(L'articolo è stato originariamente pubblicato sul blog di Legget, tradotto
da Luca Re per QualEnergia.it e pubblicato sul nostro sito con il consenso
dell'autore)
* da
qualenergia.it 11
gennaio 2017
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