La Repubblica, nella scorsa settimana ha reso noto il suo rapporto sulla politica in Italia e le
“novità” sono queste:
a. gli italiani si fidano sempre meno delle istituzioni
che sono tutte in calo di popolarità
b. all’ultimo posto sono i partiti che godono la fiducia
di “ben” il 6% degli intervistati
c. però gli italiani non sono affatto ostili alla politica
in quanto tale, anzi sale la voglia di partecipazione
d. questo desiderio di partecipazione cresce sia attraverso nuovi canali,
come internet, sia attraverso la rivitalizzazione di vecchie forme come le
manifestazioni tradizionali
e. a ridestare questa “voglia di politica” è stato anche
il referendum con la sua lunghissima campagna elettorale (ed io ci aggiungerei
anche il malessere prodotto da questa crisi interminabile).
Per la verità, molte
di queste cose le avevo già avvertite durante la campagna referendaria: fra
iniziative per il referendum e presentazioni del libro (che, comunque,
riguardava i temi referendari) ho fatto molte iniziative, sono stato in circoli
Anpi ed Arci, in scuole e facoltà, in meet up 5 stelle e librerie, in feste di
Rifondazione e del Pci ed in comizi di area Sel-Si, in circoli della
provincia ed in città come Roma, Piacenza, Brescia, Vicenza ed, ovviamente,
Milano. Dappertutto ho trovato un forte attivismo spesso condiviso
anche da persone che non facevano politica da anni.
Naturalmente io ho battuto l’area della sinistra e del M5s, ma suppongo che
questo attivismo abbia riguardato anche la Lega, i circoli di Forza Italia ed,
ovviamente, anche il Pd. Si sono scavate trincee profonde che non si colmeranno
tanto presto, ma è anche squillata una tromba che ha invitato tutti a
schierarsi ed anche questo non è un fenomeno passeggero.
Gli italiani vogliono una diversa classe dirigente e canali di
trasmissione della domanda politica, non ostruiti da un ceto politico
corrotto, impreparato, mediocre, arrogante come quello attuale, ma, per
farlo hanno bisogno di altri canali di formazione della classe dirigente.
I parlamentari, i ministri, i sottosegretari (come peraltro i dirigenti
sindacali, i manager, gli imprenditori, i giornalisti, gli accademici ecc) non
si improvvisano e sono il prodotto di una selezione che deve premiare sia
preparazione che disinteresse personale. Non è vero che il primo che passa per
strada sia di per sé più onesto e meno avido del politicante più incallito:
magari non gli bastano 5 anni a capire la politica, ma state tranquilli che
impara subito come fare i fatti suoi nella nuova posizione.
Dunque, la mancanza di ogni esperienza politica garantisce solo che il nuovo
venuto è una bestia, ma non che sia più onesto di quello che va a sostituire.
Il disastro della Seconda Repubblica è che i nuovi partiti hanno
allevato solo politicanti bravi a far carriera ma non a capire la
politica, con il risultato non solo di questa porcheria di ceto politico, ma
anche di inaridire ogni formazione politica di base. I partiti della Prima
Repubblica, nonostante i loro innegabili difetti (che li portarono alla
dissoluzione) ebbero un grande merito nell’opera di alfabetizzazione politica
di un popolo che usciva da una guerra disastrosa e da un regime ignobile.
Molto faticosamente gli italiani compresero cosa fosse la democrazia
pluralista, la dialettica fra diversi, l’importanza del consenso ed il rispetto
del dissenso, la necessità delle alleanze e dei compromessi, il rapporto fra
politica e cultura, il valore dell’organizzazione retta sulla decisione
collettiva e tutto si basava sulla militanza ideale.
Tutto questo è stato
spazzato via dal colpo di Stato di Occhetto, Pannella e Segni che ha spalancato
la strada al berlusconismo. Il pluralismo è stato soppiantato da un fittizio bipolarismo forzato
dall’ortopedia della legge elettorale, il confronto fra diversi reso inutile
dal trionfo del “pensiero unico” che rendeva uguali tutte le proposte
politiche, il consenso è diventato solo manipolazione mediatica, ogni
compromesso o alleanza è stato presentato come “inciucio” o pratica deteriore,
il rapporto fra politica e cultura è sparito, la decisione collettiva è stata
sostituita dalle decisioni unilaterali del ducetto di turno attorniato dalla
sua corte di leccapiedi e la militanza è stata sostituita dalla pratica
prezzolata o dal tifo da stadio.
E purtroppo molti di questi guasti intellettuali si sono trasmessi anche a
molti cittadini che hanno perso ogni categoria della politica. Quello che
spesso viene definito spregiativamente come “populismo” non è altro che il
prodotto logico dell’antipedagogia politica di 25 anni di neo liberismo e di
ideologia della Seconda Repubblica.
Per un quarto di secolo, leader politici più o meno improvvisati (a
cominciare dal Cavaliere, Bossi e Di Pietro) o consumati reperti di
retrobottega (da Occhetto a Fini, Rutelli e Casini) si sono preoccupati solo di
“bucare il video”, facendo a gara a chi la sparava più grossa. Si è promesso
tutto ed il contrario di tutto, senza alcun ragionamento serio, ma solo badando
all’effetto mediatico della frase. E la gente si è abituata a pensare che ogni
problema abbia una sua soluzione “facile” e detesta ogni ragionamento
complesso.
Ora siamo al crollo di tutto questo, anche per effetto della lunga
crisi, ed i cittadini si risvegliano, ma non sanno da dove cominciare.
E i problemi sono tanti: come ricostruire una cultura politica di massa? Su
quali temi e come? Come organizzarsi senza ricascare nello schema delle
oligarchie partitocratiche della prima repubblica? Su quali parametri fare la
selezione della classe dirigente? Che tipo di militanza riscoprire? Ed altri
ancora.
Ovviamente, una restaurazione dello statu quo ante non è né
possibile né auspicabile, per cui, pur riscoprendo lo strumento partito occorre
vigilare che non ridiventi la scala per i soliti arrivisti affamati di soldi e
di potere.
Occorre rivitalizzare il dibattito di base ed, in questo, internet è uno
strumento utilissimo, se ben usato. Occorre ridefinire l’orizzonte e le
modalità della militanza politica evitando le secche dell’attivismo becero e
della pura tifoseria, ma anche evitare la web-dipendenza di chi sta incollato
alla tastiera senza nessun rapporto con la vita reale.
Occorre soprattutto saper intrecciare le forme tradizionali di
partecipazione politica e quelle nuove, mentre lo stato attuale suggerisce una
certa distanza fra gli utilizzatori delle prime e quelli delle seconde.
Abbiamo bisogno di realizzare scuole di politica e centri di studio ed
analisi, di reti di contatti on line e di sedi fisicamente presenti sul
territorio, di organismi di tipo rivendicativo e di circoli culturali.
Una occasione d’oro è data proprio dalla presenza dei comitati per il NO,
che ancora non si sono sciolti. Anche
per questo ho pubblicato quell’appello sabato, aderendovi ed invitando ad
aderire. Ma non sono molto ottimista e temo che le organizzazioni pre
esistenti non guardino di buon occhio la cosa, preferendo affossarla.
Per ora iniziamo a discuterne, poi, un po’ per volta arriveremo a qualche
idea più precisa.
Aldo Giannuli
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