di Piergiovanni Alleva *
All’avvicinarsi dell’udienza della Corte
sull’ammissibilità dei tre referendum, prevista per il giorno 11 gennaio, sta
crescendo la pressione mediatica perché la Corte dichiari inammissibile il
quesito referendario sull’articolo 18. Addirittura gli organi di stampa
annunziano che quest’orientamento sarebbe già stato acquisito dalla Corte sulla
base di un concetto, banale quanto infondato, che il quesito referendario
sull’art. 18 sarebbe inammissibile perché non “abrogativo” ma “propositivo”.
Ciò in quanto il restaurato articolo 18 verrebbe esteso, come già detto, alle
imprese commerciali ed industriali con più di 5 dipendenti.
Quello che vogliamo allora sottolineare è che un tale
argomento non è sostenibile perché già superato dalla giurisprudenza della
Corte costituzionale ed esattamente dalla sentenza N. 41 /2003 che dichiarò
ammissibile il referendum che ampliava l’applicabilità della tutela
dell’articolo 18 al di sotto dei 16 dipendenti e lo estendeva addirittura fino
all’impresa con un solo dipendente.
In altre parole, tradizionalmente, l’applicabilità della reintegra per licenziamento ingiustificato, ossia dell’art. 18, si fermava di fronte a due soglie: quella dei 15 dipendenti per le imprese commerciali ed industriali e quella inferiore di 5 dipendenti per le imprese agricole. Il quesito del referendum del 2003 proponeva di abolire entrambe le soglie, sicché tutte le imprese, commerciali, industriali ed agricole, anche con un solo dipendente, sarebbero divenute soggette all’art. 18 e quindi alla sanzione di reintegra.
In altre parole, tradizionalmente, l’applicabilità della reintegra per licenziamento ingiustificato, ossia dell’art. 18, si fermava di fronte a due soglie: quella dei 15 dipendenti per le imprese commerciali ed industriali e quella inferiore di 5 dipendenti per le imprese agricole. Il quesito del referendum del 2003 proponeva di abolire entrambe le soglie, sicché tutte le imprese, commerciali, industriali ed agricole, anche con un solo dipendente, sarebbero divenute soggette all’art. 18 e quindi alla sanzione di reintegra.
Con il quesito del 2016, invece, salta un solo limite,
quello dei 15 dipendenti per le imprese commerciali ed industriali, sicché
l’unico limite numerico ora valido anche per loro sarebbe quello dei 5
dipendenti, come per le imprese agricole. Risulta evidente che l’argomento di
opporre un referendum “abrogativo” ad uno “propositivo” è un vero non senso: se
ciò che si abroga è costituito da uno o più limiti di applicabilità della
norma, è automatico che, una volta abolito un limite alla regola, questa si
espanda ad un nuovo territorio e che se tutti i limiti vengono aboliti divenga
regola generale. In altre parole “abrogativo” e “propositivo” sono solo le due
facce di una stessa medaglia.
Orbene se la Corte con la sentenza n.41/2003 ha
ritenuto ammissibile il quesito referendario che chiedeva di abrogare due
limiti ( quello dei 15 e quello dei 5 dipendenti) a maggior ragione dovrà
ritenere ammissibile un quesito che ne elimina solo uno dei due. Altrimenti la
Corte smentirebbe se stessa. Così come, va pur detto, smentirebbe la sua
sentenza n. 1/2014 che ha dichiarato l’incostituzionalità della legge
elettorale Calderoli, meglio nota come “Porcellum”, qualora nell’imminente
udienza del 24 gennaio 2017 non dichiarasse incostituzionale anche la legge
elettorale “Italicum” che presenta i medesimi vizi di incostituzionalità. Nel
breve giro di un mese la Corte costituzionale è chiamata a dare due risposte decisive
da un punto di vista politico, ma il suo giudizio dovrà essere ispirato, come è
sempre stato, a razionalità, indipendenza e rigore giuridico. Tutti i
riflettori sono puntati su di lei.
·
* da www.ilmanifestobologna.it
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