di Domenico De Masi *
Nel breve arco di 41 giorni abbiamo ascoltato tre discorsi “storici”: quello di Draghi al Senato, quello di Letta all’assemblea del Pd e quello di Conte all’assemblea dei 5 Stelle.
Conte è figlio della piccola borghesia meridionale, Draghi e Letta sono figli della buona borghesia del Centro Italia. Tutti e tre hanno frequentato scuole cattoliche o azione cattolica; sono laureati in materie sociali (Economia, Scienze politiche, Giurisprudenza); sono professori universitari; vantano esperienze internazionali. Insomma, tre perfetti democristiani nel senso migliore della parola, educati sui testi classici di Weber, Keynes e Santoro-Passarelli più che di Gramsci o di Bobbio e tanto meno di Marx.
Per ironia della sorte, è a questi tre leader squisitamente moderati che risulta oggi affidata la sorte non solo della sinistra italiana, ma soprattutto di quei 15 milioni di disagiati – disoccupati, poveri, proletari, sottoproletari, neet, precari – che nei partiti di sinistra dovrebbero trovare i loro portavoce e riporre le loro speranze. Ma non è detto: anche Lenin era di famiglia borghese e laureato in Giurisprudenza.
La genesi e l’essenza del discorso di Conte hanno del paradossale come quasi tutte le vicende dei 5 Stelle. In questo caso è stato chiesto a Conte – il più acerbo dei politici italiani – nientemeno che progettare nel minor tempo possibile, prima che il suo consenso popolare evapori, un movimento-partito coerente con il prologo decennale dei 5 Stelle e tuttavia completamente nuovo. Conte si è chiuso in casa e si è cimentato in questa impresa che, a rigor di logica, avrebbe richiesto l’impegno congiunto di politologi, filosofi, economisti, sociologi ed esperti di scienze organizzative. Lui, invece, ha fatto tutto da solo, evitando persino le citazioni, con una sola eccezione riservata a Italo Calvino. Il frutto di questo concepimento solitario è un discorso di 3.150 parole, quindi più breve del discorso di Draghi (5.604 parole), molto più breve di quello di Letta (oltre 7.000 parole).Creare un nuovo soggetto politico richiede tre successive operazioni: elaborare un modello inedito di società; individuare il segmento di popolo che può essere avvantaggiato da questo modello e potenzialmente disposto a lottare per il suo trionfo; progettare una macchina organizzativa funzionale a questo trionfo. Conte prova a esporre il modello, i destinatari e l’organizzazione premettendo che non intende proporre un’operazione di marketing politico o un semplice restyling del Movimento, ma la sua rigenerazione e rifondazione.
Il suo ambizioso obiettivo è fare del neo-Movimento “un laboratorio privilegiato di idee e progetti diretti a elaborare e a realizzare un nuovo modello di sviluppo che punti non più solo a indici di crescita di produttività, ma a una nozione ampia e incisiva di prosperità. Un modello di sviluppo che realizzi condizioni effettive di benessere equo e sostenibile per tutti i membri della comunità, che declini la transizione energetica e digitale già in atto, secondo logiche e strategie mirate a ridurre le tante diseguaglianze, che sacrificano gli interessi dei più vulnerabili e fragili, delle donne, dei giovani, ma anche di tutti coloro che vivono nei vari Sud del Paese”.
Mentre il discorso di Letta guardava la società con un’ottica centrista, questo di Conte propone come obiettivo primario la riduzione delle disuguaglianze e indica le fasce più svantaggiate del Paese come suo popolo di riferimento privilegiato. Dunque colloca il neo-Movimento alla sinistra del Pd, più vicino a Bersani che a Letta. Auspica inoltre che la forza irradiante di questo neo-Movimento coinvolga in tutto il mondo altre forze politiche e altri movimenti culturali facendoli convergere su una “cultura integralmente ecologica e di giustizia sociale”.
Per creare il neo-Movimento occorre definire due punti: la sua identità politica e la sua razionalità organizzativa. Secondo Conte il modello di sviluppo e l’identità politica vanno tradotti in una proposta “solida, matura, coraggiosa, lungimirante” esposta in una Carta dei principi e dei valori. La Carta deve essere basata su sette pilastri: rispetto della persona, ecologia integrale, giustizia sociale; democrazia; legalità; etica pubblica; cittadinanza attiva. Ne discende la necessità di riscrivere i diritti digitali, quelli dei lavoratori, degli imprenditori, delle persone con disabilità, dei consumatori, partecipando al percorso comune europeo con la forza di un Paese fondatore che spinge tutta l’Unione a convergere su una “economia eco-sociale di mercato”. Dunque, opposta al neo-liberismo.
Ciò comporta anche una rivisitazione delle originarie cinque stelle e la sostituzione del linguaggio aggressivo con le “parole giuste”, pensate, calibrate, improntate al rispetto delle posizioni altrui.
Quanto all’organizzazione, per non “ricadere nei limiti della forma-partito tradizionale” Conte propone una temeraria quadratura del cerchio: salvaguardare la “esperienza leggera” del movimento e, nello stesso tempo, adottare per statuto una struttura funzionale, con un’articolazione interna che includa un dipartimento per rapporti con stranieri, un centro di formazione permanente e una rete di organi territoriali con una ripartizione inequivoca dei compiti, senza correnti, cordate e associazioni.
Il neo-Movimento deve essere inclusivo e accogliente ma intransigente sui suoi valori di onestà e di coraggio. Deve favorire forum e “piazze delle idee” per sollecitare pratiche di “attivismo civico”. Deve promuovere e perseguire la democrazia diretta, continuando ad affidare le scelte fondamentali alla piattaforma digitale ma, nello stesso tempo, deve rafforzare e migliorare l’ineliminabile democrazia rappresentativa. Le funzioni istituzionali di responsabilità vanno severamente riservate a persone oneste, competenti e capaci.
Questo impianto del documento lascia aperte alcune questioni. Il modello di società cui tende è appena sbozzato e dunque occorre mettere subito mano alla sua definizione. La struttura organizzativa, anch’essa solo abbozzata, parrebbe ispirata al vecchio e rigido paradigma dell’organizzazione funzionale, ormai accantonato dalle scienze organizzative a vantaggio di altre forme più flessibili.
Se una delle originalità sostanziali del neo-Movimento deve risiedere nella capacità di conciliare l’effervescenza emotiva dell’anima movimentista con la solidità razionale di una struttura partitica, allora occorre recuperare Di Battista e i suoi elettori, che assicurerebbero ai 5 Stelle lo smalto di quel dinamismo critico che tutti gli altri partiti hanno ormai perso.
Se l’altro aspetto originale e irrinunziabile del neo-Movimento continua a risiedere nella pratica di una democrazia diretta che solo l’impiego esperto di una piattaforma può assicurare, allora gli converrebbe non farsi scappare tutto il know-how accumulato da Rousseau e sintetizzato nel Manifesto ControVento, che offre belle e pronte le infinite opportunità della platform society, connotata dalla disintermediazione e dall’organizzazione politica distribuita.
Insomma, la galassia 5 Stelle presenta tutti i requisiti di un laboratorio politico postindustriale. Resta da capire se questi requisiti riusciranno a sommarsi tra loro o finiranno per sottrarsi a vicenda.
* su infosannio da Il Fatto Quotidiano – 7 aprile 2021
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