27 aprile 2021

Strategia «zero Covid», perché Italia ed Europa non ci hanno provato

Tracciamento e sorveglianza. In Nuova Zelanda, Vietnam e Taiwan ha funzionato. Sarebbe attuabile in Europa? Impossibile se i governi non si coordinano perché il virus non conosce frontiere


di  Andrea Capocci *   

Sul mappamondo la Nuova Zelanda sembra l’immagine speculare dell’Italia. La forma geografica è la stessa ma trovandosi dalla parte opposta del globo lo stivale appare ribaltato. La Nuova Zelanda assomiglia a un’Italia rovesciata anche dal punto di vista del Covid: mentre da noi l’epidemia ha provocato circa duemila decessi per milione di abitanti, agli antipodi i morti sono stati 26 in tutto, cioè 5 (cinque) per milione di abitanti. All’Eden Park di Auckland erano in 50 mila senza mascherine al concerto di sabato scorso, beati loro.

Facile, si dirà, controllare un’epidemia con una popolazione così piccola. Però c’è anche Taiwan, 23 milioni di abitanti e 12 decessi in tutto. Oppure il Vietnam: quasi cento milioni di abitanti, una densità più elevata dell’Italia, un reddito dieci volte inferiore e un confine in comune con la Cina: 35 vittime di Covid in tutto. Come hanno fatto?

La strategia seguita in questi Paesi si chiama “zero Covid” e oggi è propugnata da un nutrito gruppo di epidemiologi anche per le nostre latitudini. Consiste nel tracciare tutti i casi (ma proprio tutti), in isolamenti e quarantene obbligatori e nella sorveglianza dei confini. E, a ogni nuovo focolaio, in rigide chiusure.

Oggi questa strategia sarebbe impensabile da noi. Con oltre diecimila nuovi casi al giorno, il lavoro di tracciamento capillare richiede risorse umane e materiali di cui non disponiamo. Forse l’occasione è stata persa all’inizio dell’estate 2020, quando i casi giornalieri erano un centinaio in tutta Italia? «A quel punto – spiega Giulia Giordano, che all’università di Trento studia la dinamica delle reti sociali e biologiche – avremmo potuto organizzarci per mantenere questa condizione».

Giordano, insieme ad altri 30 colleghi di tutta Europa, nello scorso febbraio ha firmato un appello affinché anche in Europa venga adottata una strategia “zero Covid”, un’occasione persa nel 2020 che potrebbe tornare nel 2021, anche grazie ai vaccini. «Gli sforzi fatti con il lockdown duro sono stati vanificati dalla riapertura delle frontiere – interne ed esterne – e dal cedimento del sistema di test e tracciamento dei contatti, che non è più riuscito a star dietro all’aumento dei casi». Invece, spiega, da maggio-giugno avremmo potuto perseguire una strategia diversa con un monitoraggio epidemiologico alle frontiere, con un maggior numero di tamponi e quarantene preventive e obbligatorie per tutti i casi e per i loro contatti. In cambio di questo sforzo, fattibile se i casi sono pochi, avremmo fatto a meno di zone rosse e coprifuoco. «Una bassa (o azzerata) circolazione virale non solo protegge la salute pubblica e salva vite – spiega ancora Giordano – ma consente anche alle nostre società e all’economia di tornare alla normalità, come mostrano molti esempi in altri Paesi del mondo».

Non tutti sono d’accordo. Daniela Paolotti, che studia le epidemie alla Fondazione Isi di Torino, ha i suoi dubbi. «La strategia “zero covid” è attuabile se si è disposti a mettere in lockdown tutto il paese o intere regioni per 2 casi» spiega. «In Australia lo hanno fatto per 5 casi. Ma richiede un consenso della popolazione nei confronti del governo che in Nuova Zelanda, per esempio, c’è e da noi no». E poi ci saranno sempre le varianti, capaci di sfuggire ai controlli. «Quella inglese si è diffusa nel Regno Unito quando il paese era in pieno lockdown». Eppure altre malattie infettive riusciamo a tenerle sotto controllo, come quando scoppia un focolaio di meningite: perché con il Covid no? «Altre malattie colpiscono solo alcune fasce della popolazione, è più facile monitorarle».

Infine, c’è il problema del coordinamento tra i paesi europei, zero Covid o no. «Tutto sarebbe più facile – spiega ancora Giordano – se i Paesi europei “sincronizzassero” la gestione dell’epidemia e puntassero insieme a un obiettivo zero Covid (o quasi) condiviso». Questo consentirebbe di limitarsi a controllare gli ingressi alle frontiere europee e concentrarsi internamente su test e tracciamento. Dopo un anno e più, su questo terreno l’Europa ha fallito. «Oggi il Covid-19 non è ancora considerato un’epidemia europea» spiega Paolotti. «Ogni Paese ha la sua e stabilisce le strategie senza coordinarsi con gli altri. Ma il virus non rispetta i confini». (da il manifesto  27 aprile 2021)

 

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