di Fernando D'Aniello
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Assia: Verdi e Cdu ancora insieme?
Come le
scorse elezioni bavaresi anche quelle di domenica in Assia (Hessen) sembrano
essere contrassegnate da un drastico ridimensionamento dei partiti attualmente
al governo, vale a dire conservatori e socialdemocratici, e dalla crescita di
Alternativ für Deutschland e dei Grünen, i Verdi. In particolare i sondaggi
evidenziano la crisi netta della Cdu (meno 12%) e della Spd (meno 10%); AfD
passerebbe, invece, dal 4% del 2014 a circa il 12% e i Grünen raddoppierebbero
ottenendo circa il 20% (aumenta anche la Linke dal 5 all’8% e i liberali della
Fdp dal 5 al 9%).
La vera
differenza con la Baviera, a sole due settimane di distanza, è che in Assia la
coalizione al governo dal 2013 è costituita dalla Cdu, dalla quale proviene Volker Bouffier, attuale Ministerpräsident
e nuovamente candidato, e dai Verdi, che hanno come capolista Tarek Al-Wazir
(madre tedesca e padre jemenita), vicepresidente e ministro dell’Economia,
dell’energia e dei trasporti.
Se i partiti
che sono al governo del Land condividono destini (elettorali) così
diversi, le ragioni non possono essere (soltanto) legate all’amministrazione o
alle politiche locali che sono state avviate nel corso degli ultimi cinque
anni. O alla personalità e alla bravura (che certamente hanno un ruolo) dei
candidati scelti.
Sembra
confermarsi anche in Assia quanto accade da tempo in tutta la Repubblica
federale: l’insofferenza verso il blocco del sistema politico determinato dalla
Grande coalizione di Union e Spd. Per blocco
s’intende la situazione che contrassegna dall’inizio del 2000 la Germania
federale: dal voto sulle riforme sociali Agenda 2010, i tedeschi hanno
conosciuto quasi esclusivamente un accordo tra i due maggiori partiti. Fatto
che produce una serie di effetti negativi sulla stessa qualità della democrazia
tedesca che fa del Bundestag il suo fulcro. La Grande coalizione ha
ridotto di molto l’operatività del Parlamento e reso insuperabili e
immodificabili i termini dell’accordo di coalizione. La questione dei migranti
ha fatto da detonatore a questa insoddisfazione.
Rispetto al
blocco, il voto ai Grünen manifesta due aspetti: da un lato è l’unico
partito che può impedire la Grande coalizione ed evitare così il blocco del
sistema. I delusi dall’attuale blocco politico, e in particolare gli
elettori progressisti, sanno che un voto ai Grünen aumenta le opzioni di
governabilità molto più di un rafforzamento delle tradizionali Volksparteien.
Tarek Al-Wazir
nella sua campagna elettorale lo afferma esplicitamente: Grün statt GroKo,
chi non vuole la grande coalizione deve votare i Verdi. Cosa che, ad esempio,
sfugge del tutto alla Linke, che è obbligata alla coalizione con la Spd e che,
quindi, presenta minori possibilità di superamento della situazione attuale.
In secondo
luogo, si tratta di un partito libero, le cui opzioni sono aperte, determinate
non da una valutazione ideologica ma dalla concreta possibilità di imporre a un
eventuale alleato nella coalizione le proprie priorità. Il politologo Albrecht von Lucke,
redattore dei "Blätter für deutsche und
internationale Politik", schierato su posizioni molto
progressiste, ne ha parlato in questo senso come difensori della società
aperta contro il populismo (di AfD ma anche di parte dei conservatori).
I Grünen,
infatti, oltre ad aver tentato sino all’ultimo di costruire una coalizione a
livello federale con Union e Fdp, possono condividere alleanze politiche con
soggetti molto diversi (nella consapevolezza di essere ancora un partito
radicato prevalentemente a Ovest): si è già detto dell’Assia, in
Baden-Württemberg guidano con il Ministerpräsident Winfried Kretschmann
una coalizione con la Cdu (tra il 2011 e il 2016 ancora lui ha guidato una
coalizione con la Spd), nello Schleswig-Holstein fanno parte di una coalizione
con i conservatori e i liberali della Fdp, in Sachsen-Anhalt sono dentro
un’inedita alleanza con Spd e Cdu, a Brema e ad Amburgo sono in coalizione con
la sola Spd, mentre a Berlino e in Turingia con Spd e Linke.
Questa
trasversalità matura nel corso del governo rosso-verde di Schröder e si afferma
poi nel corso dell’ultimo decennio: l’ala più radicale del partito e più
vicina alle ragioni originarie del movimento è stata lentamente isolata e
sostituita da un blocco più pragmatico. La "rivoluzione verde"
che il partito ha proposto negli anni Ottanta si è ormai affermata e oggi tutti
i partiti devono fare i conti con l’ecologia e i temi ambientali. La presenza
all’interno di un governo regionale (o federale) è data solo dalla capacità del
partito di imporre con maggior vigore le proprie tematiche: la formula o il
"colore" della coalizione sono puramente strumentali. Tant’è che
proprio in Assia sono aperte tutte le opzioni, da una nuova coalizione tra Cdu
e Grünen a una rosso-rosso-verde, guidata proprio da Tarek Al-Wazir.
È, quindi,
un voto innanzitutto di rifiuto (non populista) della riduzione della
democrazia ad accordo tra Spd e Cdu, e comunque attento a questioni
tipicamente vicine all’elettorato di sinistra: rivoluzione energetica,
attenzione alle minoranze, integrazione, questioni sociali come ad esempio
quella relativa al crescente prezzo degli affitti.
Del resto,
Angela Merkel e Andrea Nahles non sembrano più in grado di poter reggere una
nuova sconfitta elettorale. Entrambe, sino ad oggi, hanno puntato a impostare
il lavoro della Coalizione federale mostrando attenzione per una serie di
questioni sociali. Tuttavia, l’insoddisfazione verso la GroKo sembra
ormai troppo consistente: quello che gli elettori chiedono, anche quelli meno
radicali, è un’altra formula, che forse (la prudenza è d’obbligo) i due
partiti non sono in grado di definire. La storia di Angela Merkel rappresenta
il tentativo di estendere i confini tradizionali della Cdu, facendone un
partito attentissimo anche gli strati più deboli della società. In questa
prospettiva, le formule della Coalizione (con la Spd o la Fdp o magari i
Grünen) sono sempre state secondarie, perché la Cdu costituiva sia socialmente
che politicamente il fulcro di ogni alleanza. E, tuttavia, il rifiuto della Fdp
lo scorso anno di dar vita ad una diversa coalizione, ha obbligato la
Cancelliera alla sua terza Grande coalizione.
Tutt’altro
per la Spd: andati al governo con l’ansia di dimostrare la propria Regierungsfähigkeit,
ne sono stati travolti, perché, proprio in nome di quella responsabilità di
governo, la formula della Grande coalizione si è rivelata l’unica possibile. I
Grünen ambiscono, invece, a rappresentare una combattiva minoranza – hanno
espressamente rifiutato l’idea di essere una Volkspartei – e poi di
sperimentare ogni coalizione possibile per imporre la propria agenda.
A dicembre
si terrà il Congresso della Cdu, non è ancora chiaro se Angela Merkel sarà
ricandidata alla presidenza del partito, incarico che ricopre dal 2000. Sebbene
non ci sia mai stata una conferma ufficiale, Angela Merkel intendeva lasciare
la cancelleria al termine di questo mandato (nel 2021), dopo aver raggiunto un
accordo in chiave europea sulle indispensabili modifiche istituzionali. Allo
stato attuale sembra molto difficile che possa raggiungere i due obiettivi: la
sua azione in Europa è gravemente compromessa dalle difficoltà interne ed è
possibile che il partito le chieda di affidare la cancelleria al suo successore
prima della scadenza naturale. Per poter poi candidare alle prossime elezioni
federali un cancelliere in carica, con tutti i vantaggi che ne deriverebbero.
Questa
opzione, però, contempla, ovviamente, l’uscita della Spd dal governo, ipotesi
che comincia a essere pronunciata apertamente da molti esponenti del partito e
non solo da quanti l’hanno contrastata sin dallo scorso novembre.
A quel punto
l’unica opzione possibile per la Cdu sarebbe un governo di minoranza, che
avrebbe in Europa scarsissime possibilità di imporre una sua agenda. Resta
da verificare se Angela Merkel e i conservatori abbiano già elaborato una
strategia per le prossime settimane: l’instabilità del quadro politico tedesco
rischia di essere un ulteriore problema per la tenuta dell’Europa.
* da www.rivistailmulino.it 26 ottobre
2018
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