di Bruno
Cantamessa *
L’Arabia Saudita,
nonostante l’enorme quantità di armi a disposizione, non riesce a vincere il
conflitto nel Paese della penisola arabica. La crisi umanitaria colpisce
milioni di uomini e donne che soffrono per una contesa assurda.
Secondo il
quotidiano arabo online al-Khaleej, l’erede al trono saudita Mohamed
bin Salman avrebbe detto recentemente a una riunione di comandanti militari
della coalizione anti-ribelli yemeniti (Arabia ed Emirati): «Non preoccupatevi
delle critiche internazionali. Vogliamo lasciare un grande impatto sulla
coscienza delle generazioni yemenite. Vogliamo che i loro figli, le donne e
persino i loro uomini tremino ogni volta che viene menzionato il nome
dell’Arabia Saudita». Se anche non avesse detto queste precise parole, i fatti
le confermano. È evidente l’accanimento con cui in Yemen vengono colpiti,
oltre agli obiettivi militari, anche scuole e ospedali, perfino funerali e
scuolabus. Anche i ribelli houthy non sono da meno, hanno solo meno
armi.
In tre anni
sono morte oltre 15 mila persone e sono 18 milioni (su 29) gli yemeniti a cui
mancano cibo, medicine e acqua potabile. Una terribile (e prevedibile) epidemia
di colera, ha già provocato migliaia di morti: secondo Save the Children, i
casi sono aumentati del 170% negli ultimi tre mesi nella regione di Hodeidah,
dove da giugno si combatte una feroce battaglia per il controllo dell’unico
porto in mano ai ribelli. Il 30% dei casi di colera riguarda bambini sotto i
cinque anni. Si fa l’ipotesi che i bambini-soldato siano circa 6 mila,
arruolati in entrambi gli schieramenti.
I sauditi
(fra i primi importatori al mondo di armi) sono supportati militarmente da Usa
e Regno Unito: gli Usa hanno in corso un contratto di epoca Obama per
una fornitura di armi da 110 miliardi di dollari, Trump punta a
raggiungere i 350 miliardi in 10 anni. Armi, mezzi militari, bombe e missili
arrivano abbondanti in Arabia Saudita anche da Canada, Francia, Spagna e
Italia. Ma nessun governo di questi Paesi ammette responsabilità nello
sterminio in atto nello Yemen.
Il caso
spagnolo è emblematico: il ministro della Difesa, la socialista Margarita Robles, era
seriamente intenzionata a sospendere un contratto stipulato dal governo Rajoy
per la fornitura ai sauditi di 400 bombe laser ad alta precisione. Ma il
governo saudita ha fatto sapere che se non riceverà le bombe sospenderà l’altro
contratto, quello per la fornitura di cinque corvette militari (1.813 milioni
di euro). A quel punto, i cantieri Navantia di Cadice sono entrati in
sciopero: la costruzione delle corvette avrebbe assicurato il lavoro a 6 mila
persone per qualche anno. La ministra ha dovuto fare retromarcia sulle bombe
laser.
Il tema dei
posti di lavoro è il refrain che collega e giustifica spesso il
commercio di armi. Così anche
per lo stabilimento sardo Rwm Italia: i 270 dipendenti di Domusnovas senza la
commessa di bombe aeree resterebbero senza lavoro. Con un fatturato italiano di
armi di 10,3 miliardi di euro nel 2017, naturalmente le esportazioni italiane
ai sauditi rappresentano solo una parte del business, comunque stiamo parlando
di 52 milioni di euro nel 2017 e 427 milioni nel 2016, di cui 411 solo per le
bombe della Rwm Italia (fonte governativa: Uama). L’ex ministra Pinotti
(Pd) obiettava che queste armi non le vendeva il governo italiano, ma erano solo
assemblate in Italia da un’azienda statunitense controllata da un marchio
tedesco. L’attuale ministra della Difesa, Elisabetta Trenta (M5s), ha
appurato che le bombe per i sauditi non sono di sua competenza, ma del
ministero degli Esteri, quindi dirà, chiederà, vedrà… Dal punto di vista della
popolazione yemenita, i chiarimenti non cambiano granché la situazione, ma gli
italiani possono stare tranquilli: è tutto legale.
Analoghi
atteggiamenti in altri Paesi. Alcuni esempi: la ministra canadese Chrystia
Freeland afferma non ci sono prove che i 900 veicoli corazzati venduti in
passato ai sauditi siano stati utilizzati per violare diritti umani; la Francia
(che ai tempi di Hollande ha fornito all’Arabia armi per 455 milioni di euro) è
più sfacciata: con Macron è diventata ormai il secondo esportatore al
mondo di armi, e fra i suoi clienti più affezionati c’è naturalmente anche
l’Arabia; gli inglesi, oltre a sponsorizzare esplicitamente la monarchia
saudita, sono attualmente alle prese con una spinosa vicenda del passato: le
forniture degli anni Ottanta di bombe a grappolo, messe al bando dall’Onu nel
2010. I sauditi le stanno attualmente usando contro la popolazione yemenita con
effetti devastanti. Che questo ed altri business di armi non abbiano alcuna
ripercussione sul “disastro umanitario” in atto nello Yemen è una tesi
molto difficile da sostenere.
*da Città Nuova
11 ottobre 2018
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