Ankara senza freni. Ieri «100
obiettivi colpiti» nell’operazione contro il cantone curdo in territorio
siriano. Gli Usa nell’angolo mentre Erdogan indica già il prossimo target. Le
truppe Ypg, che alla prospettiva di un'aggressione erano preparate, resistono
al tentativo di sfondamento da terra dell'Esercito libero siriano
di Dimitri Bettoni *
Dopo i martellanti bombardamenti dal confine,
ieri la Turchia ha fatto levare in aria i propri aerei da guerra che hanno
attaccato la regione nel corso dell’intera giornata, sia lungo i confini con la
Turchia, sia nel centro e nei dintorni della città di Afrin stessa.
LE MILIZIE dell’Esercito libero siriano (Fsa),
forte di almeno 5000 unità già in campo, hanno tentato sin dal mattino uno
sfondamento sostenute dal fuoco dell’artiglieria e dei carri armati stazionati
in territorio turco. Hanno però incontrato la resistenza delle truppe curde
Ypg, che le stime contano tra le 10.000 e le 20.000 unità e che da tempo si
preparavano a una possibile aggressione. L’aviazione turca ha dichiarato di
aver colpito oltre 100 obiettivi, mentre è ancora sconosciuto il numero delle
vittime, anche se le prime immagini in rete raffigurano decine di corpi senza
vita e lasciano presagire il peggio.
LO STATO
MAGGIORE
dell’esercito turco ha diramato nella giornata di ieri il comunicato ufficiale
di avvio dell’operazione, denominata «Ramo d’ulivo»: un nome paradossale, da
alcuni interpretato come un messaggio indiretto agli americani e alla
distinzione tra Ygp e Pkk, inesistente dal punto di vista turco. Le autorità
militari legittimano l’intervento attraverso l’adesione alle linee guida della
strategia globale antiterrorismo delle Nazioni unite e l’articolo 51 della
Convenzione Onu in materia di autodifesa. Nel comunicato lo stato maggiore ha
sottolineato che l’operazione verrà condotta nel rispetto dell’integrità
territoriale della Siria, colpendo sia bersagli appartenenti alle Ypg che allo
Stato islamico. Affermazioni difficili da digerire, considerato sia l’assenza
di milizie dell’Is nella regione, sia la difficoltà del regime siriano ad
accettare l’ennesima guerra turca sul proprio territorio.
IL MINISTRO
DEGLI ESTERI TURCO Mevlut
Cavusoglu si è prodigato ad inviare a Damasco lettere con i dettagli
dell’operazione, mentre gli ambasciatori di Iran, Russia e Stati uniti sono
stati convocati a Ankara e formalmente aggiornati sullo svolgimento del
conflitto. Anche il presidente della repubblica turco Recep Tayyp Erdogan ha
parlato dell’avvio della guerra. Durante un comizio del partito Akp a Kuthaya,
nel cuore dell’Anatolia, ha dichiarato: «Coloro che armano i terroristi
capiranno presto che non c’è esiste altro partner affidabile nella regione ad
eccezione della Turchia». Un messaggio esplicito per l’odiato alleato
americano. Erdogan ha promesso che, dopo Afrin, «Manbij sarà la prossima
destinazione. Passo dopo passo, ripuliremo da questa pestilenza terrorista che
ci assedia tutto il paese, fino al confine Iracheno».
Quello che
attende il futuro pare essere un lungo braccio di ferro tra Turchia e Usa, fino
a che Washington non abbandoni i propri propositi e gli alleati nel nord della
Siria, oppure non imprima una decisa svolta in favore del progetto del
confederalismo democratico in Rojava, il che implicherà la rottura dei rapporti
non solo con la Turchia, ma anche con Damasco e Mosca.
E proprio
sul progetto di autonomia si è concentrata la critica del ministero della
Difesa russo, che in un comunicato dice che «la ragione principale di questa
situazione critica è la provocativa decisione degli Stati uniti di sostenere
un’autonomia delle regioni a maggioranza curda. Le incontrollate spedizioni del
Pentagono di armi moderne, tra cui sistemi di difesa aerea portatili, destinate
alle forze pro-Usa, hanno condotto all’avvio dell’operazione militare turca».
DI DIVERSO
AVVISO il
portavoce Ypg Nuri Mahmoud, secondo cui la Turchia starebbe utilizzando le armi
americane destinati alle Sdf come scusa per attaccare Afrin: «Non c’è mai stata
alcuna minaccia verso la Turchia dai confini che stiamo difendendo. La nostra
gente è riuscita a mettere in campo pratiche di autogoverno che il governo
turco non vuole accettare». Mahmoud ricalibra dunque il cuore del problema,
passando da una questione di sicurezza a una ideologica. È la graduale
istituzionalizzazione delle Sdf come esercito regolare a infastidire Ankara. Il
problema è se e quando gli Stati uniti proveranno a riconoscere politicamente
le strutture di autogoverno già esistenti nel nord della Siria.
LE
OPPOSIZIONI IN TURCHIA contestano duramente l’operazione militare su Afrin, che condurrà il paese
a un ulteriore isolamento sulla scena internazionale senza portare alcuna
soluzione realistica nei confronti del Pkk e dell’autonomismo curdo in generale,
capace di sopravvivere a 40 anni di confitto. Ma è il rischio dell’ennesima
emergenza umanitaria che dovrebbe frenare gli istinti bellicisti. Un appello
alla comunità internazionale è stato lanciato da personalità prominenti, tra
cui Noam Chomsky: «Afrin è una delle regioni della Siria più stabili e sicure.
Negli ultimi cinque anni ha accolto moltissimi rifugiati da tutto il paese,
tanto che la sua popolazione è raddoppiata fino a 400.000 persone. Questo
attacco è uno sfacciato atto di aggressione contro un territorio
democraticamente e pacificamente governato».
* da il manifesto – 21 gennaio 2018
Nella foto: Miliziani curdi delle
truppe Ypg a difesa di Afrin e della Rojava
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