A Marrakech
da oggi, 7 novembre, al 18 novembre, in parallelo alla COP-22 si terrà anche il
primo incontro delle nazioni che hanno ratificato l’Accordo di Parigi, il
cosiddetto Meeting of the Parties. Vediamo quali sono le decisioni in
gioco e perché sono molto importanti per il futuro del clima e dell'umanità.
di Lorenzo
Ciccarese *
Si apre oggi e proseguirà fino al 18 novembre la
Conferenza di Marrakech (in Marocco) sui cambiamenti climatici. L'incontro
comprende la 22a sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione
quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) (COP 22), la 12a
sessione della COP che funge da riunione delle Parti che hanno sottoscritto il
protocollo di Kyoto (CMP 12) e la prima COP che funge da riunione delle parti
del Paris Agreement (CMA 1).
Come sanno i lettori di QualEnergia.it, il 4 novembre è
entrato ufficialmente in vigore il Paris Agreement, l’accordo sul clima
approvato meno di un anno fa nella capitale francese, al termine della XXI
sessione della conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP-21).
L'Accordo, tra le altre cose, impegna i Paesi
firmatari a contenere l’aumento della temperatura media globale “ben al
di sotto di 2°C rispetto ai livelli pre-industriali” e “di
proseguire gli sforzi per limitare l’aumento della temperatura a 1,5 °C” e
di giungere progressivamente a un’economia globale a zero emissioni di
carbonio, possibilmente nella seconda metà del secolo in corso.
Il Paris Agreement è potuto diventare esecutivo
poiché, come recitano le regole della Convenzione ONU sul clima, sono passati
trenta giorni da quando - dopo la ratifica da parte di Bolivia, Canada, Nepal,
India, Malta, Francia, Germania, Ungheria, Slovacchia, Portogallo e Austria, e
la stessa Unione Europea - è stata pienamente superata la doppia soglia
dei 55 Paesi responsabili complessivamente d’almeno il 55% delle emissioni
mondiali di gas serra ad aver depositato la loro ratifica sul tavolo delle
Nazioni Unite.
L'accordo di Parigi ha richiesto meno di un anno per
passare le due soglie di ratifica. Un record in confronto agli altri
accordi delle Nazioni Unite, incluso il Protocollo di Kyoto, che ha avuto una
gestazione di 8 anni prima di entrare in vigore.
La svolta è avvenuta con l’annuncio simultaneo, lo
scorso settembre, da parte di Cina e USA (rispettivamente primo e
secondo emettitore mondiale di gas-serra, insieme responsabili del 39% delle
emissioni globali) di aver ratificato il Paris Agreement e di aver
recapitato sul tavolo di Ban Ki Moon, segretario generale dell’ONU, i propri
Piani di riduzione delle emissioni di gas-serra.
Le ratifiche delle due superpotenze hanno generato un
impeto e un contagio positivo che hanno consentito di superare le doppia soglia
55/55. Oggi sono 97 i Paesi ad aver già depositato la loro ratifica alle
Nazioni Unite. Era importante che l’Accordo entrasse in funzione prima della
XXII sessione della Conferenza delle Parti della Convenzione sui cambiamenti
climatici (COP-22), in programma a Marrakesh dal 6 al 18 novembre, poiché in
questo modo si potrà tenere in parallelo alla COP-22 il primo incontro delle
nazioni che hanno ratificato l’Accordo di Parigi, il cosiddetto Meeting of
the Parties.
E, soprattutto, prima dell’insediamento del prossimo
Presidente Usa, per scongiurare il rischio che Donald Trump, il
candidato repubblicano alla presidenza, possa dare seguito alla promessa fatta
in campagna elettorale di ritirare gli USA dall’accordo di Parigi qualora
eletto. Adesso invece, con la ratifica dell’Amministrazione Obama e l’entrata
in vigore dell’Accordo di Parigi, un'uscita immediata degli USA sarà molto
improbabile se non impossibile nei prossimi quattro anni.
Dopo decenni di dispute internazionali sul cambiamento
climatico, finalmente la comunità internazionale dà respiro a un
impegno di medio-lungo termine per contrastare la crisi climatica.
Christiana Figueres, ex segretario esecutivo della
Convenzione ONU sui cambiamenti climatici e architetto chiave del trattato di
Parigi (nonché aspirante alla successione di Ban Ki Moon) ha detto che la
giornata di oggi sarà ricordata come “l’inizio d’un futuro a basso tenore di
carbonio, un futuro eccitante, che porrà fine al predominio dei
combustibili fossili e che porterà una infinità di innovazioni e opportunità
per tutta l’umanità.”
Patricia Espinosa, la nuova segretaria della
Convenzione Onu sui Cambiamenti Climatici, ha detto che in apertura della
Conferenza di Marrakech che “l’operatività dell’Accordo sarà decisivo non solo
per affrontare i cambiamenti climatici, ma anche per sostenere la
realizzazione dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile approvato lo scorso
anno dall’assemblea dell’ONU”.
Per questo è importante che a Marrakech nei prossimi
giorni si facciano importanti passi avanti nell’attuazione dell’Accordo,
rispetto a:
- indicazioni aggiornate sulle caratteristiche dei contributi stabiliti a livello nazionale per la riduzione delle emissioni di gas-serra (Nationally Determined Contributions, o NDC);
- ulteriori disposizioni per le informazioni che devono essere fornite dalle nazioni al fine di favorire la chiarezza, la trasparenza e la comprensione degli stessi NDC;
- le linee guida per la contabilità degli NDC predisposti dalle nazioni;
- le modalità e le procedure per l'esercizio e l'uso del registro pubblico delle emissioni e degli assorbimenti da parte degli ecosistemi vegetali;
- una guida per assicurare che sia evitato il doppio conteggio, sulla base di un corrispondente adeguamento da parte delle nazioni sia per le emissioni sia per gli assorbimenti di natura antropica previsti dai loro NDC;
- le questioni relative all'articolo 6 dell'accordo di Parigi (approcci cooperativi);
- ulteriori orientamenti in relazione alla comunicazione nazionale sulle misure e sulle azioni per adattamento ai cambiamenti climatici;
- le modalità di contabilizzazione delle risorse finanziarie fornite e mobilitati attraverso interventi pubblici; elaborazione del quadro delle tecnologie messe in campo e dei partenariati tecnologici, per lo sviluppo di competenze scientifiche e il rafforzamento istituzionale a livello nazionale e sovranazionale;
- gli accordi su strumenti transnazionali e di mercato di protezione del clima; la conservazione delle foreste poiché la loro distruzione e il loro degrado causano il 15 per cento delle emissioni globali di gas-serra; i trasferimenti finanziari verso i Paesi in via di sviluppo per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici e compensare le perdite e i danni subiti non per proprie responsabilità.
A Parigi i Paesi ricchi s’impegnarono a destinare 100
miliardi di dollari l'anno, fino al 2020, per lo sviluppo di nuove tecnologie
energetiche, pulite e rinnovabili, e per l’adattamento ai cambiamenti climatici
da parte dei Paesi poveri. Alcuni Paesi, Usa in testa, hanno manifestato le
prime resistenze ad aprire i loro portafogli.
Sul tema della trasparenza degli impegni di riduzione
delle emissioni di gas-serra, a Parigi fu deciso di istituire due diversi standard
per il reporting e la verifica: un sistema più stringente di valutazione e
revisione internazionale per i Paesi sviluppati e un’analisi più lieve per i
Paesi in via di sviluppo.
Il testo dell’Accordo richiede a tutte le nazioni di valutare
i loro sforzi di riduzione delle emissioni a intervalli di cinque anni
e conseguentemente alzare la barra degli impegni. Cosa, in effetti, quanto mai
necessaria, come ci dice la scienza dei cambiamenti climatici. Le promesse di
riduzione dei gas-serra che i 195 Paesi firmatari dell’Accordo hanno messo sul
tavolo con i loro NDC cadrà ben al di sotto dell’obiettivo di 2°C.
La Cina, per esempio, intende ridurre le
proprie emissioni, ma solo a partire dal 2030. L’India il terzo più
grande inquinatore del mondo, ha approvato un piano che consentirà di
triplicare le sue emissioni entro il 2030, un miglioramento secondo i
funzionari indiani, poiché senza questo piano le emissioni sarebbero aumentate
di sette volte.
La Russia, il quarto più grande inquinatore del
clima del mondo, ha messo sul tavolo un piano business as asual, che non
prevede nuove concrete politiche climatiche.
Gli Usa viceversa hanno predisposto un piano di
riduzione abbastanza rigoroso e dettagliato, che prevede, entro il 2025, un
taglio delle emissioni federali tra il 26% e il 28% rispetto ai livelli del
2005 e lo spegnimento delle centrali elettriche a carbone. Purtroppo il piano
predisposto dall’amministrazione Obama si trova in un limbo legale.
Ventisette Stati hanno citato in giudizio l'amministrazione per bloccarlo ed
effettivamente la Corte Suprema lo ha bloccato in attesa dell’esito del
ricorso.
Alcune analisi hanno stimato che, ammesso che tutti
gli NDC siano rispettati, si verificherebbe un riscaldamento del pianeta tra
2,7 e 3,5 °C.
Dall’inizio della rivoluzione industriale e oggi c’è
già stato un riscaldamento di 1,0 °C. Per raggiungere l’obiettivo di 1,5
°C molti esponenti della comunità scientifica ritengono che dovremmo ridurre la
concentrazioni di gas serra in atmosfera e passare dalle attuali 400 parti per
milione di CO2 a non più di 350 parti per milione di CO2.
Al momento, a parte i sink naturali di carbonio
(oceani ed ecosistemi vegetali terrestri), non esistono tecnologie mature di
carbon sequestration and storage in grado di ‘risucchiare’ i gas serra
dall’atmosfera e immagazzinarli.
Alcuni studi stimano che per raggiungere l’obiettivo
di mantenere il riscaldamento sotto i 2°C è necessario che il livello globale
dei gas serra raggiunga il culmine di 54 miliardi di tonnellate di CO2eq entro
il 2030 e declini sino a 21 miliardi di tonnellate di CO2eq entro il 2050. Questo
presuppone che entro il 2050 debba maturare un settore energetico
completamente decarbonizzato. Per cominciare, nell’arco di cinque anni ogni
centrale a carbone dovrà essere chiusa.
Diversi studi hanno però dimostrato che, sulla base
dei tagli delle emissioni annunciati a Parigi dalle nazioni, il mondo è sulla
cattiva strada e rischia un aumento di temperatura di circa 3,5 °C alla
fine del secolo. Ciò causerebbe una serie di conseguenze ambientali
disastrose, tra ondate di calore, aumento del livello del mare, danni alle
colture, estinzioni di specie e diffusione di malattie.
Purtroppo alla CMA 1, che si svolge in questi giorni a
Marrakech, l’Italia potrà partecipare come ‘osservatore’, avendo
ratificato l’Accordo di Parigi solo due settimane fa, con un voto favorevole
del Parlamento. Il regolamento parla chiaro: alla CMA 1 possono partecipare i
Paesi che hanno depositato la loro ratifica entro il 14 ottobre.
Il primo ministro Matteo Renzi, il 22 aprile
2016, nel suo discorso al palazzo di vetro delle Nazioni Unite, in occasione
della cerimonia di firma dell’Accordo di Parigi, aveva pur posto l’accento
sull’importanza dell’Accordo di Parigi ed aveva espresso l’impegno del nostro
Paese ad agire con responsabilità verso le generazioni future e l’occorrenza di
fare la propria parte in un’azione collettiva e condivisa di lotta ai
cambiamenti climatici. Matteo Renzi dichiarò anche che il contenuto
dell’Accordo sarebbe stato considerato come una priorità nella definizione di
politiche nazionali, a livello di UE e di G7.
Per rientrare nell’obiettivo dei +2°C, l’Italia
dovrebbe ridurre il livello di emissioni registrate nel 1990 del 30% entro il
2020, del 38% entro il 2030 e di oltre il 70% entro il 2050. Per raggiungere
l’obiettivo dei +1,5°C invece le riduzioni dovrebbero essere del 38% entro il
2020, del 60% entro il 2030 e del 90% entro il 2050.
* da qualenergia.it 7 novembre 2016
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