L’Italia spende 14,8 miliardi di
euro all’anno tra sussidi diretti o indiretti alla produzione e al consumo di
petrolio, carbone e gas. Tra i paesi del G7 è quello con i maggiori sussidi
alle fonti fossili in rapporto al PIL
La causa
principale dei cambiamenti climatici è la combustione delle fonti fossili.
Per questo Legambiente, insieme ai principali network ambientalisti di tutto il
mondo, chiede che questi sussidi siano aboliti e che si acceleri sulla
decarbonizzazione delle economie. Uno stop che consentirebbe di ridurre
le emissioni di CO2 di 750 milioni di tonnellate (5,8% delle
emissioni globali al 2020) contribuendo al raggiungimento della metà
dell’obiettivo climatico necessario a contenere l’aumento di temperatura
globale di 2°C.
Oggi le
fonti rinnovabili sono una alternativa concreta e sempre più conveniente; è
quindi semplicemente assurdo che l’estrazione e il consumo di petrolio,
carbone e gas ancora beneficino di sussidi. Su quali e quanti essi siano,
fa il punto Legambiente nel suo dossier Stop
sussidi alle fonti fossili, presentato oggi in occasione della Cop22, la
conferenza delle nazioni unite sui cambiamenti climatici in corso a Marrakech.
Secondo il
Fondo Monetario Internazionale, nel 2015 i sussidi alle fonti
fossili sono stati pari a 5.300 miliardi di dollari (10
milioni di dollari al minuto), quanto il 6,5% del PIL mondiale e più della
spesa sanitaria totale di tutti i governi del mondo. Hanno visto un
aumento del 10,4% rispetto al 2013. Questa crescita in Europa è stata superiore
alla media globale e si prevede un ulteriore incremento del sostegno alle fonti
fossili dell’11,6% con 231 miliardi di dollari di investimento.
Tra i
maggiori investitori, la Cina con 2.272 miliardi (+22%), seguita da Stati
Uniti con 699 miliardi (+14%) e Russia con 335 miliardi (5.7%). In
Europa, la maggior sostenitrice delle fonti fossili è la Germania con
55,6 miliardi di dollari (+10.5%), seguita da Regno Unito con 41,2
miliardi (+12.2%), Francia con 30,1 miliardi (+13.2%), Spagna
(24,1 miliardi), Repubblica Ceca (17,5 miliardi) e Italia (13,2
miliardi).
Quest’anno
Legambiente traccia un quadro mondiale dei sussidi alle fonti fossili, realizzato
in collaborazione con InfluenceMap (organizzazione internazionale
indipendente senza scopo di lucro nata con l’obiettivo di valutare e comunicare
il peso che le imprese hanno nei settori chiave della politica e della società
civile e quanto la influenzo), e presenta una analisi originale della
situazione italiana. Compito non facile considerata la scarsa trasparenza
relativa al tema. L’associazione ha individuato 14,8 miliardi di
euro all’anno di sussidi diretti o indiretti alle fonti fossili, al
consumo o alla produzione, da esoneri dall’accisa a sconti e finanziamenti per
opere, distribuiti tra autotrasportatori, centrali per fonti fossili e imprese
energivore e aziende petrolifere. Tutte attività che inquinano l'aria,
danneggiano la salute e sono la principale causa dei cambiamenti climatici.
Nella nebbia
del bilancio dello Stato vi sono altri sussidi indiretti che non sono stati
inseriti nel computo perché ancora di incerta applicazione o perché difficilmente
paragonabili con gli altri, come le risorse investite dallo Stato in strade e
autostrade.
“Il nostro
Paese - dice il vice presidente di Legambiente Edoardo Zanchini -
continua a comportarsi come se il problema dei sussidi alle fonti fossili semplicemente
non esistesse, quando tutte le istituzioni internazionali hanno messo in
evidenza come siano una barriera per lo sviluppo di un economia
decarbonizzata. Anche la legge di Stabilità 2017 ignora l’argomento e
prevede ancora sussidi diretti e indiretti alle fossili. Eppure, oggi le
energie pulite sono competitive da un punto di vista dei costi e cancellando
questi sussidi potrebbero crescere anche senza incentivi. Né si comprende
perché il nostro Paese debba continuare a dare miliardi di euro all’autotrasporto,
come ai grandi consumatori, senza alcun vincolo di investimento in riduzione
dei consumi di combustibili fossili".
In Italia,
secondo l’analisi di Legambiente, continua a prevalere una sorta di negazionismo,
per cui in nessun atto del ministero dello Sviluppo economico o dell'Autorità
per l’energia il tema viene nominato, mentre troviamo sempre accuse sui costi
in bolletta legati alle fonti rinnovabili.
“La ragione
- prosegue Zanchini - è molto semplice da spiegare: in questo modo si
tutelano direttamente alcuni interessi che beneficiano di questi sussidi, tra
cui lo stesso Stato italiano attraverso l'Eni che paga royalties ridicole
alle Regioni e che può dedurre dalle tasse. Ma in questo modo si bloccano
innovazioni nel sistema energetico che oggi permetterebbero di creare nuovi e
più numerosi posti di lavoro e di dare una risposta strutturale al tema del
costo dell’energia, attraverso le fonti rinnovabili e l’efficienza”.
Secondo
l'ultimo rapporto di InfluenceMap, tra i paesi del G7 l’Italia
è quello con i maggiori sussidi alle fonti fossili in rapporto al PIL.
Siamo allo 0,63% a fronte di una media europea dello 0,17% e molto oltre lo
0,20% degli Stati Uniti e lo 0,23% della Germania. E nelle raccomandazioni che
la Commissione Europea ha inviato nel 2015 al governo italiano (Country
Specific Reccomendations) si bacchetta il nostro Paese proprio per
il ritardo nell’introdurre tasse modulate secondo il principio del “chi
inquina paga”, come la carbon tax, e nel rimuovere aiuti dannosi per
l’ambiente, come quelli alle fossili.
Eppure,
pochi paesi al mondo avrebbero più interesse a ridurre i consumi energetici:
l’Italia dipende dall’estero per l’approvvigionamento e nel 2015 ha
speso 34,4 miliardi di euro, calcolando il saldo fra l’esborso per le
importazioni e gli introiti derivanti dalle esportazioni.
Al
governo Renzi Legambiente chiede coerenza rispetto agli annunci e alle
promesse fatte alle Nazioni Unite e alla Conferenza sul Clima di Parigi, e
avanza alcune proposte su come lanciare un grande programma di
investimenti nella green economy con un intervento a “costo zero” per le casse
dello Stato. Basterebbe infatti porre uno stop ai miliardi di sussidi alle
fonti fossili, e spostare risorse e investimenti verso l’innovazione ambientale
e l’efficienza energetica.
“Cancellare
i sussidi alle fonti fossili - conclude Zanchini - è infatti
la strada più semplice e lungimirante per aprire nel nostro paese uno scenario
d’innovazione, con maggiori opportunità e lavoro perché si allarga lo sguardo
dalla bolletta energetica a un uso più efficiente dell’energia in edilizia,
nell’artigianato e nei servizi, nelle piccole e medie imprese e nei
trasporti. Chiediamo a Renzi di vincere le pressioni delle lobby e di
cancellare rendite e sussidi di cui beneficiano le fonti fossili. Dopo la
vittoria negli Stati Uniti di Trump, il mondo ha bisogno di scelte chiare per
fermare i cambiamenti climatici. Prendere questa decisione prima della chiusura
del vertice di Marrakech, può essere una straordinaria occasione per far
assumere all’Italia un ruolo da protagonista nell’impegno contro i cambiamenti
climatici in Europa e nel mondo”.
Con il trend
attuale delle emissioni globali già nei prossimi 5-9 anni si consumerà il carbon
budget, la quota di emissioni complessive rimanenti che consentirebbero di
stare entro 1.5°C. Per questo a Marrakech è fondamentale avviare un processo di
revisione degli attuali impegni, in coerenza con l’obiettivo di lungo termine
dell’Accordo di Parigi da sottoscrivere nel 2018 alla COP24. Anche l’Europa è
chiamata a fare la sua parte: il processo legislativo avviato a livello
comunitario sul “Pacchetto Clima-Energia 2030” deve essere l’occasione per
adeguare gli obiettivi agli impegni europei assunti a Parigi, in tempo per la
revisione del 2018.
da ecodallecitta.it 17 novembre 2016
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