Ad
Amburgo, al vertice dei G20, la situazione si fa incandescente. Ad accendere la
miccia, però, non sono state certo le proteste. L’atteggiamento irresponsabile
dei leader mondiali è impressionante. Sul piano ambientale lo testimoniano in
primo luogo le cifre. Gli Stati, a cominciare da quelli europei, pronti alla
levata di scudi sul mancato rispetto degli impegni sul riscaldamento del
pianeta da parte di Trump, continuano a destinare come nulla fosse fiumi di
denaro per l’estrazione di petrolio, gas e carbone tramite le agenzie di
credito all’esportazione e le istituzioni nazionali, bilaterali e multilaterali
di sviluppo. L’Italia è in prima fila, sostiene le fonti energetiche più
inquinanti con 2,1 miliardi di dollari l’anno, mentre alle rinnovabili destina
appena 123 milioni. E pensare che al mondo fanno credere che bisogna stare col
fiato sospeso per sapere se questa volta Trump ha stretto la mano alla Merke
di Luca Manes *
Fra il 2013
e il 2015 i Paesi del G20 garantiscono 71,8
miliardi di dollari in fondi pubblici al settore dei combustibili fossili. Al
comparto delle rinnovabili va solo un quarto di questa somma. Lo
rivela “Talk is Cheap” un rapporto redatto da Oil Change International,
Sierra Club, WWF e Friends of the Earth USA, e sottoscritto tra gli altri anche
Re:Common, lanciato nelle ore che hanno preceduto il summit delle 20 principali
potenze globali in programma ad Amburgo (Germania) il 7 e 8 luglio.
Gli stati
“favoriscono” l’estrazione di petrolio e carbone tramite le agenzie di credito
all’esportazione e istituzioni nazionali, bilaterali e multilaterali di
sviluppo. Nel caso dell’Italia,
presidente di turno del G7 di fatto “boicottato” da Donald Trump, il sostegno pubblico alle fonti energetiche più
inquinanti in primis tramite la Sace (agenzia pubblica di credito all’export
nostrana) ammonta a 2,1 miliardi di dollari l’anno, a fronte di un misero
totale di 123 milioni per le rinnovabili. Le più avanzate ricerche
scientifiche indicano che se si vogliono
rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul Clima, almeno l’85 per
cento delle riserve di combustibili fossili devono rimanere nel sottosuolo. Eppure i paesi del G20 destinano fino a 13,5 miliardi
di dollari per nuove esplorazioni, una forte contraddizione rispetto
alla levata di scudi di molti leader, in particolare quelli dell’Unione
europea, nei confronti del clamoroso passo indietro dell’amministrazione Trump
rispetto all’intesa sui cambiamenti climatici presa alla COP 21 di Parigi del
2015. Le agenzie di credito all’export meno “amiche del clima” sono nell’ordine
quelle di Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti, con la Chexim cinese l’ente
che maggiormente sostiene l’estrazione del carbone.
“E’ vergognoso che l’assicuratore pubblico italiano sia in
prima fila nel finanziarie l’espansione dell’uso del carbone e nuove
esplorazioni di gas in giro per il mondo”, ha dichiarato Antonio Tricarico di
Re:Common. “Si pensi ai nuovi impianti a carbone di Punta Catalina
in Repubblica Domenicana, o quello di Long Phu 1 in Vietnam, per non parlare
delle mega operazioni offshore dell’ENI in Mozambico. Tutti progetti garantiti
da ‘Stato Pantalone’, che facilmente dimentica gli impegni presi a Parigi
quando si tratta di foraggiare gli affari dei soliti noti”, ha concluso
Tricarico.
Per
scaricare il rapporto in inglese: http://priceofoil.org/2017/07/05/g20-financing-climate-disaster
Fonte: Re:common * da
comune-info.net 7 luglio 2017
Nessun commento:
Posta un commento