E’ un disastro per la natura, il cambiamento climatico e le comunità umane più vulnerabili
La Wildlife Conservation Society (Wcs) ha
rilanciato al World conservatin congress dell’Iucn, che termina domani alle
Hawaii, lo studio “Catastrophic Declines in
Wilderness Areas Undermine Global Environment Targets”, pubblicato su Current
Biology, dal quale emerge una
clossale erosine delle aree selvatiche di tutto il mondo negli ultimi 20
anni.
Il team di ricercatori australiani, statunitensi e
canadesi dice che lo studio dimostra che le allarmanti perdite che la
natura ha subito dagli anni ’90 riguardano un decimo del wilderness
globale: un’area grande il doppio dell’Alaska e la metà del bacino del Rio
delle Amazzoni. Le aree più colpite sono l’Amazzonia e l’Africa centrale.
Secondo i ricercatori, «I risultati sottolineano il bisogno immediato di
politiche internazionali che riconoscano il valore delle aree naturali, per
affrontare le minacce senza precedenti che abbiamo di fronte».
James Watson dell’Università australiana del
Queensland e della Wcs, evidenzia che «Aree wilderness importanti a
livello globale – nonostante siano roccaforti per la biodiversità in via
di estinzione, e siano importanti per il buffering e la regolamentazione
climatica locale e per sostenere molte delle comunità più politicamente
ed economicamente emarginate del mondo – sono completamente ignorate
nella politica ambientale. Senza nessuna politica per proteggere queste aree,
che sono vittime di sviluppo diffuso. I meccanismi politici internazionali
devono riconoscere le azioni necessarie per mantenere le aree wilderness, prima
che sia troppo tardi. Probabilmente abbiamo uno o due decenni per poterle
risolvere».
Watson dice che «da tempo gran parte dell’attenzione è
stata rivolta alla perdita di specie, ma si conosce relativamente poco sulle
perdite su larga scala di interi ecosistemi, in particolare nelle aree naturali
che tendono ad essere relativamente poco studiate». Per colmare questa
lacuna, i ricercatori hanno mappato le aree naturali in tutto il
mondo, definendo come “wilderness” i territori biologicamente ed
ecologicamente intatti, liberi da qualsiasi disturbo antropico
significativo. I ricercatori hanno poi confrontato la loro mappa
wilderness con quella delle are naturali redatta con gli stessi metodi
nei primi anni ‘90. Dal confronto è emerso che nel mondo restano 30,1 milioni
di km2 (circa il 20% della superficie del pianeta) ancora selvaggi, con la
maggioranza di queste wilderness in Nord America, Asia settentrionale,
Nord Africa e Oceania Tuttavia, il confronto tra le due mappe dimostra che
circa 3,3 milioni di km2 (quasi il 10%) delle aree
wilderness è scomparsa. Queste perdite si sono verificate
principalmente in Sud America, che ha registrato un calo del 30% di aree
selvagge, e in Africa, che ha subito una perdita del 14%.
Oscar Venter dell’università della Northern British
Colombia, dice che «la quantità di perdita wilderness in soli due decenni è
sconcertante. Dobbiamo riconoscere che le aree naturali, che abbiamo
scioccamente considerato de facto protette a causa della loro grande distanza,
in realtà vengono drammaticamente perdute in tutto il mondo. Senza
interventi globali attivi potremmo perdere gli ultimi gioielli della corona
della natura. Non è possibile ripristinare wilderness, una volta che
è scomparsa, i processi ecologici che sono alla base di questi ecosistemi sono
andati e non ritorneranno mai allo stato in cui erano. L’unica opzione è
quella di proteggere in modo attivo ciò che resta».
Watson è convinto che «L’Onu e altri hanno ignorato a
livello globale significative aree naturali chiave negli accordi ambientali
multilaterali e questo deve cambiare» e conclude: «Se non agiamo subito, non ci
saranno solo che piccoli resti di natura selvaggia in tutto il pianeta, e
questo è un disastro per la conservazione, per il cambiamento climatico e per
alcune delle comunità umane più vulnerabili del pianeta. Abbiamo il dovere di
agire per i nostri figli e i loro figli».
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da greenreport.it 9 settembre 2016
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