Intervista al Prorettore alla sostenibilità dell’Università La Sapienza candidato alle politiche con il M5Stelle
«C'è bisogno di arginare il pericolo di avere vecchie
soluzioni. Faccio un appello ai Friday for future: sono pronto a coinvolgerli
da subito per andare avanti insieme»
di Adriana Pollice *
Candidato con i 5S Livio De Santoli, prorettore alla
Sostenibilità dell’Università La Sapienza di Roma, presidente del Coordinamento
Free – Fonti rinnovabili efficienza energetica.
Molti partiti si richiamo all’agenda Draghi, come giudica
il lavoro del ministro Cingolani?
L’attività svolta negli ultimi anni, non solo negli ultimi due, è stata
ondivaga. Tutti hanno sempre affermato l’importanza di prendere una strada
decisa verso la decarbonizzazione ma nei fatti, quando si trattava di mettere
in piedi delle soluzioni, non sono arrivate. C’è una grande confusione sul tema
dell’energia e del clima anzi del clima se ne parla molto poco. Ci deve essere
la volontà di tutti, a partire dal prossimo governo, per affrontare in tempi
concreti l’uscita dalle fonti fossili, un processo lungo che a maggior ragione
va cominciato subito.
La destra, Calenda e Renzi propongono il nucleare.
Non è praticabile come soluzione a breve termine. Abbiamo un impegno con l’Ue:
tagliare di più del 50% le emissioni entro il 2030. Mancano solo 8 anni perciò
dobbiamo utilizzare le tecnologie esistenti. Le uniche che possono dare una
mano in termini di costi, operatività, finanziamenti privati sono le
rinnovabili. Elettricità futura ha spiegato che si possono fare 8 gigawatt di
rinnovabili l’anno a costo zero con elettrico, termico e il contributo dei
privati. La funzione dello Stato deve essere quella di semplificare le
procedure: se siamo ancora qui, con un rateo di miglioramento inferiore a un
gigawatt l’anno, vuol dire che non arriveremo mai ai target che siamo chiamati
a fare. E poi dobbiamo impegnarci sul fronte dell’efficienza energetica, di cui
nessuno parla. Le rinnovabili devono andare di pari passo con la riduzione dei
consumi.
Servono oppure no i rigassificatori?
La posizione sul punto deve essere netta: non possiamo sostituire il gas con
altro gas. Lo potremo fare in un piccolo periodo transitorio ma si devono
gettare le basi per l’uscita da questa fonte fossile, se non cominciamo subito
perderemo solo tempo. Abbiamo un problema con il gas russo da eliminare e
quindi è chiaro che nell’immediato occorre sostituirlo con le forniture
algerine. Ma, senza una strategia che guardi a un futuro sostenibile,
elimineremo il problema con la Russia per averlo domani con l’Algeria. Probabilmente,
in una fase transitoria e limitata, occorrerà un rigassificatore ma non è la
soluzione, che va cercata nelle nostre risorse: il sole, il vento, le
rinnovabili.
Quali sono le politiche più urgenti?
Serve subito il Piano nazionale integrato di energia e clima, stiamo aspettando
l’aggiornamento da più di un anno e mezzo, occorre farlo e occorre che sia
coerente con il percorso di uscita dalle fonti fossili. Bisogna anche spingere
sulle semplificazioni, lo dice anche l’Ue: tutti i paesi membri devono assicurare
le autorizzazioni per gli impianti delle rinnovabili entro i 2 anni; noi ci
mettiamo 4, 6 anni di media. Dobbiamo individuare aree non vincolate e renderle
libere da tutti i freni burocratici.
Insistere con soluzioni arretrate è un blocco allo sviluppo?
L’agrivoltaico, ad esempio, così come le comunità dell’energia sono
fondamentali per dare una valenza sociale al settore. La transizione è una
rivoluzione anche culturale e include la valutazione delle disparità sociali
che esistono in Italia. Le comunità dell’energia consentono la partecipazione
dei cittadini al vantaggio economico del rendere rinnovabile un condominio o un
paese. L’agrivoltaico dà una mano alle aziende agricole per migliorare la loro
produzione con i proventi dell’energia.
I detrattori affermano che la transizione fa perdere
posti di lavoro.
Una cosa che non si può proprio sentire, ci sono degli studi e io sono pronto a
mostrarli, anche del mio dipartimento, che spiegano il vantaggio in termini di
occupazione che uno sviluppo coerente, integrato e idoneo delle rinnovabili può
comportare. Non è vero che i posti che si perdono sono maggiori di quelli che
si acquisiscono, anzi è il contrario. Non bisogna proporre dati sbagliati
all’opinione pubblica, questa storia non è suffragata da niente. Se dovessimo
raggiungere gli obiettivi previsti per il 2030, 70/80 gigawatt di rinnovabili
in più, potremmo avere oltre 100mila nuovi posti permanenti più quelli
temporanei.
Perché ha accettato la candidatura?
C’è bisogno di arginare un pericolo, quello di proporre vecchie soluzioni.
Occorre competenza e l’apporto della società civile. Per questo mi metto a
disposizione, è un momento drammatico e se perdiamo altro tempo ci ritroveremo
a leccarci le ferite. Faccio un appello ai Friday for future, che stanno
lamentando l’assenza del loro coinvolgimento: sono pronto a contattarli da
subito, facciamo tavoli tecnici per spiegarci, noi da un lato e loro
dall’altro, per capire come andare avanti insieme.
·
da il manifesto - 17 agosto 2022
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