di Massimo Marino
1) Se volete farvi un’idea approssimativa su come
davvero vanno le cose della transizione ecologica, tema che i media vi offrono
a colazione, pranzo e cena con una sfilata di leader politici di destra e di
sinistra, esponenti confindustriali, editorialisti di primo piano della carta e
della rete tutti a modo loro per la sostenibilità, lasciate perdere i
sostenuti. Riguardatevi invece le tappe del recente giro d’Italia con le
riprese dall’alto di decine di paesini, medie e grandi città da nord a sud. Difficilmente
avvisterete un tetto fornito di pannelli per la autoproduzione da solare
fotovoltaico. Come è possibile? Come stanno le cose?
A dicembre 2018 gli impianti istallati (sui tetti e a
terra) erano circa 670mila, a dicembre 2019 erano 880mila (210mila in più). Due
anni dopo (i due anni iniziali del covid) erano poco più di un milione (136mila
in più). Considerate che gli edifici disponibili, tetti di abitazioni e di capannoni
industriali e agricoli, trascurando le possibilità a terra, pur non facili da
stimare, sono in Italia sicuramente più di 10 milioni. Se volessimo porci
l’obiettivo strategico di attrezzarne la metà nell’arco di 10 anni dovremmo
collocare circa 500mila impianti all’anno che, se ci fosse la volontà politica,
sarebbe assolutamente fattibile. Con il contributo pubblico si giustificherebbe
l’avvio di una sana autarchia, un segmento produttivo nazionale autonomo nella
produzione ed istallazione, economicamente virtuoso per tutti (cioè per i
cittadini, le imprese, l’occupazione, il PIL e l’ambiente).
2) L’introduzione del superbonus 110% ha aggiunto una grande
potenzialità agli interventi di efficientamento energetico. Presentato dal
governo Conte II nel DL Rilancio del maggio 2020 e avviato dal luglio rende
efficienti energeticamente abitazioni e aziende a costo quasi zero. Ostilità
politica e boicottaggi, eccessi burocratici dei diversi enti locali, aumenti
speculativi dei costi, scarsa collaborazione delle banche, qualche inesperienza
di troppo nel testo del decreto base e nelle varianti seguite, hanno messo in
ombra i risultati. Non solo lo straordinario successo dal punto di vista
edilizio con 173mila progetti finanziati (33 mld stanziati fino a tutto il 2022
risultano già finiti da maggio) ma anche il grande impatto ambientale che può portare
fino ad un risparmio dell’80% dei consumi energetici complessivi di un
fabbricato. Invece di semplificare le procedure, razionalizzare i controlli e i
costi e allungare l’iniziativa oltre il dicembre 2023 a tutto il decennio
2020-2030, il rischio è che invece in autunno il boicottaggio dell’iniziativa
targata 5Stelle-Conte, riesca definitivamente, spostando le risorse verso altri
capitoli di spesa più redditizi sul piano delle clientele, rendendo così ridicola
qualunque dichiarazione di impegno verso la transizione ecologica da parte dei
prossimi governi.
3) È singolare che nel dibattito sulla transizione energetica
che negli ultimi mesi si è aggrovigliato con i problemi dei costi delle fonti,
della guerra e di una scarsità del gas che non c’è mai stata, sia scomparso
il peso dei trasporti e della mobilità, determinanti insieme alle
abitazioni e alle aziende per il fabbisogno e la qualità dei consumi energetici.
Nella più totale indifferenza dei media nei mesi passati sono stati diffusi i
dati di fine 2021 sulla quantità di auto circolanti per abitante nel nostro
paese. Siamo a più di 670 auto ogni 1000 abitanti (700 in parecchie aree
urbanizzate) ancora in aumento rispetto al 2020 e con una età media dei mezzi salita
dai 7,9 anni del 2009 agli 11,8 anni attuali. Addirittura, quasi a 900 su 1000
se si somma tutti gli altri mezzi a motore endotermico tipo moto e furgoni. Una
vera follia, il dato di gran lunga più alto d’Europa e dell’intero pianeta se
si considera anche la densità abitativa.
Da tempo sostengo che c’è un’unica alternativa a
questa tragica deriva, dove tranne i bambini, già da piccoli però circondati da
giochi e figurine che rappresentano le auto, quasi tutti gli italiani possiedono
e si muovono su un veicolo a motore endotermico spendendo, spandendo e
sprecando soldi, gas inquinanti, tempo di vita e stress.
L’alternativa è la diffusione capillare di reti
metropolitane in tutte le città di grande e media dimensione. Tutto il resto, andare a piedi, le biciclette, il car
pooling ed il car sharing, i monopattini, la vita solitaria in casa da santone
indiano, sono utili e sacrosante alternative, gettoni per guadagnarvi il
paradiso, ma il loro impatto sui grandi numeri della mobilità, specie nelle
aree metropolitane è quasi irrilevante. Servono vettori pubblici e collettivi a
corsie dedicate, cioè metropolitane a rete nella città che si proiettino fuori
dalle aree urbane e si colleghino a treni regionali o interregionali che si
estendano con una ragionevole alta velocità, in tutto il territorio nazionale
dove non ci sono.
Con l’eccezione di Milano le reti metropolitane sono
dimenticate o messe nell’angolo e di fatto messe da parte perfino da molti
ambientalisti, plagiati dal dibattito irreale sulla diffusione delle auto
elettriche. A Roma un ulteriore estensione della linea C ed il progetto di una
linea D sembrano una chimera. I progetti suggeriti dalla Raggi e i
finanziamenti chiesti sono stati apertamente boicottati. A Torino purtroppo l’Appendino
in 5 anni è riuscita solo a riesumare il progetto sbagliato PD del 2006 che
parte da Rebaudengo e taglia fuori le parti più rilevanti del traffico
proveniente dall’area esterna di nord-est e di sud -ovest della città (San
Mauro e Orbassano) rimandate ad un indefinibile futuro. Un desolante errore, una
scelta gravissima che a mio parere andrebbe cancellata ricominciando
rapidamente da capo partendo dai due estremi. A Bologna le difficoltà di
mobilità nelle zone centrali e in quella universitaria non prevedono alcun
progetto di metro vera e propria ma metrobus e biciclette. Nulla a Firenze dove
si progetta una linea che non è dedicata e sembra prevedere semafori. A Genova
la piccola tratta di metro esistente sembra aver chiuso la partita con due
modesti segmenti da aggiungere. In molti sostengono, affrettatamente, che la
conformazione delle aree cittadine non consente facili interventi, dimenticando
che le metro nel mondo sono dappertutto: sottoterra, a raso, sopraelevate,
sotto i fiumi e i viadotti. La metro di Parigi è arrivata anche sotto la Senna
dal 1903! A Napoli le linee esistenti hanno circa 20 km di estensione e si
spera nella linea dal Centro alla stazione AV di Afragola. A Palermo e Cagliari
la costruzione di una vera rete cittadina con propaggini fino ad oltre le
periferie non è stata presa in considerazione fino a pochissimi anni fa. Nelle
città di media dimensione, intendo sopra i 100mila abitanti, che sono
all’incirca 50, l’ipotesi di tratte metro non viene neppure pensata. Si
trascura l’importanza decisiva dei tracciati dedicati e della rete, che è la
caratteristica che non a caso definisce la metro e moltiplica in modo da tutti
inaspettato il numero degli utenti. Ad oggi siamo a meno di 300 km di linee
metro funzionanti (comprese le cosiddette metro leggere) spesso solo tratte
spezzate che ne riducono le potenzialità di utenza. Tutte hanno un successo
clamoroso e non sono sostituibili dal potenziamento di bus e tram, vettori del
secolo scorso da eliminare in gran parte, oggi affogati e ingombranti nell’
intenso traffico cittadino, con enormi costi di manutenzione, carburanti e
personale, inquinamento, rumore.
Tutto il rarefatto dibattito sulla mobilità,
l’inquinamento e le emissioni di gas serra provocato da 40 milioni di auto nel
nostro paese è in gran parte costituito da generiche chiacchiere in tv dove
nessuno osa dichiarare che l’auto è un simpatico rottame tecnologico del secolo
scorso abbellito da navigatori, schermi video, splendidi audio, smartphone
incorporati, che va usata solo quando insostituibile e da chi non può farne
a meno. Per il resto facendo quattro passi da casa si deve entrare nella
rete che deve portarti ovunque. Se a qualcuno sembra fantascienza consiglio un
giro turistico in un bel numero di metropoli europee e di parecchi altri paesi
occidentali e asiatici.
Invece la ricetta avvelenata che ci suggeriscono per
non cambiare nulla va a parare nella diffusione delle auto elettriche, il cui
principale obiettivo è quello di dare una boccata d’aria con gli incentivi al
settore dell’automotive. Si stima che realisticamente al 2035, quando la
vendita (non la circolazione!) di nuove auto a fossili dovrebbe essere vietata
in tutta Europa, difficilmente più del 15-20% delle auto circolanti sarà
elettrica. Ed è già prevista una verifica con possibili deroghe in ambito UE
nel 2026.Cingolani l’ha già chiesta. Insomma, ci stanno prendendo in giro. Ancora
nel 2050 potremmo avere sulle strade una prevalenza di motori endotermici.
Dovremmo invece avere già aperto da anni i cantieri in
decine di città per la costruzione di reti metro con l’obiettivo di raggiungere
in 10 anni almeno 1000 km in più di binari e ritirare dal traffico quotidiano
il 50% delle auto, di qualunque tipo siano. Se le reti ci fossero gli utenti le
prenderebbero d’assalto, mollerebbero le auto e risparmierebbero un sacco di
soldi. Stimando 100-150mila euro al km si tratta di un investimento di 10-15
mld all’anno per 10 anni.
4) Quando negli anni ’90 si svolsero i primi
appuntamenti internazionali per il clima (il Summit per la Terra di Rio de
Janeiro nel 1992 e la COP1 di Berlino nel 1995, apparve evidente che il
principale paese dell’occidente inquinatore, gli USA, non erano disponibili a
impegni e ratifiche di accordi che potessero modificare “lo stile di vita
americano”. La Russia, la Cina, l’India, il Giappone, non mostrarono alcuna
disponibilità a fare quello che non facevano gli USA. Singolare la battuta di
Putin che l’aumento delle temperature era un’ottima notizia per la Siberia che
avrebbe consumato meno legna per scaldarsi. Nella COP3 di Kyoto nel 1997 vari
paesi europei fra cui l’Italia e pochi altri firmarono un Protocollo in cui si
indicavano impegni di riduzione delle emissioni entro il 2012 con una seconda
tappa prevista al 2020. Nessuna adesione
ne ratifica però dai paesi più importanti. Anzi nel 2011 il Canada ritirò la
firma. Nel 2012 alla COP 18 di Doha si
rinnovarono le adesioni al Protocollo in scadenza ma i firmatari (Europa,
Australia e poco altro) rappresentavano meno del 20% delle emissioni totali. Un
passo in avanti arriva nel 2015 alla COP21 di Parigi dove 196 nazioni accettano
un patto globale e condiviso che impegna a mantenere l’aumento di temperatura
al disotto di 2 gradi e se possibile a 1,5. La ratifica del Patto dai singoli paesi
da allora procede quantificando l’impegno dei singoli e i piani d’azione per
attuarlo. A Glasgow la COP 26 del novembre 2021 ridefinisce nuovi obiettivi
minimi di decarbonizzazione: un taglio del 45% delle emissioni di anidride
carbonica rispetto al 2010, da attuarsi entro il 2030, e zero emissioni nette
“intorno” alla metà del secolo. Scompare dal documento finale l’impegno alla
dismissione dei combustibili fossili ed a cancellare il loro sostegno con
contributi economici. È noto che nessuno dei percorsi e degli obiettivi,
almeno su scala planetaria, è davvero in divenire. Aumenta il consumo di
fossili, aumentano le emissioni, la CO2 ha raggiunto l’incredibile record di
415 ppm. Era sotto i 400 quando iniziarono le COP negli anni ‘90.
5) Per l’Italia gli obiettivi di riduzione definiti a
Kyoto nel 1997 sembrarono nei primi anni mantenuti. Addirittura, nel 2012 gli
aggiornamenti al 2020 sembrarono raggiungibili in anticipo di qualche anno. I
governi Prodi, Berlusconi IV, Monti (maggio 2006/aprile 2013) vedono un lento
ma graduale aumento dei consumi finali attraverso rinnovabili. Nel 2011 si
parla addirittura di boom del solare. Anche la mafia si accorge che il solare
fotovoltaico è redditizio. Con il DL del marzo 2011 scatta l’obbligo (direi
presto dimenticato) di installare impianti a fonti rinnovabili per edifici
nuovi e in ristrutturazione. Confronto ad altri paesi anche europei l’Italia almeno
sulle rinnovabili sembra vada sulla direzione giusta.
Poi sorprendentemente tutto si ferma.
Dati e osservatori concordano che dal 2014-2015 In
Italia la situazione è di stasi totale:
la decarbonizzazione del sistema energetico si è praticamente arenata. Rapporti
dell’Enea affermano che la quota di Fer (rinnovabili) sui consumi finali potrebbe
perfino ridursi perché è in stallo intorno al 17,5% del 2015. Installiamo
qualche centinaio di MW all’anno invece di qualche GW mentre i costi delle
rinnovabili diventano del tutto competitivi con qualunque altra fonte e i tempi
di attuazione dei progetti sono di gran lunga i più rapidi. Avremmo dovuto
accelerare alla grande invece è successo il contrario. È emerso di recente
che progetti presentati da quegli anni ad oggi per un totale di quasi 90 GW non
sono stati approvati o comunque restano fermi da anni presso i Ministeri (per
capirsi si tratta circa dell’equivalente di 90 centrali nucleari da 1000 MW).
Nel 2021 le FER sono arrivate appena al 19%.
Confesso che per anni mi sono chiesto senza trovare risposte
perché tutto si è fermato. Incompetenza e ignoranza? Burocrazia e localismi?
Subordinazione della politica a petrolieri e ostilità verso gli ambientalisti,
in Italia peraltro docili e miti come agnellini? Le lobby che estraggono e
vendono lingotti d’oro nero e riempiono le nostre strade di insostenibili SUV
ne hanno distribuiti qualcuno in giro?
6) Solo negli ultimi mesi mi sono dato qualche
risposta, per certi versi davvero desolante.
Dall’aprile 2013 al giugno 2018 si sono susseguiti tre
governi: Letta, Renzi, Gentiloni.
Nel maggio 2014 l’ENI (30% dello Stato) annuncia in 10
righe la firma di un accordo con GAZPROM ( la società di stato russa per il
gas) con cui si revisionano i prezzi dei contratti pluriennali ( arbitrariamente
agganciati a quelli del petrolio all’epoca sopra i 100 $) e si aumenta
massicciamente l’importazione di gas dalla Russia di fatto a discapito di altri
fornitori: Algeria, Libia ed altri paesi dell’area mediorientale-africana. Lo
sconto ottenuto sul momento sembra essere del 7% ma il petrolio crollerà nei
prezzi rapidamente. L’Italia si trova così ad aumentare decisamente la
dipendenza energetica dalla Russia. Qualcosa di simile avviene anche per la
Germania della Merkel. Va ricordato che all’epoca l'ex cancelliere tedesco
Gerhard Schröder dell’SPD, perse le elezioni contro Merkel nel 2005, era
divenuto consulente di Putin entrando nel board della società che gestisce il
gasdotto russo-tedesco (da lui approvato come Cancelliere) e membro del
consiglio di vigilanza del gigante energetico russo Rosneft, attività che
sembra aver cessato meno di due mesi fa per non incappare anche lui nelle
sanzioni antirusse.
Poche settimane prima dell’accordo si svolge il contestato
referendum in Crimea (16 marzo 2014) per il passaggio dall’Ucraina alla Russia,
che solleva proteste in molti paesi europei e molto meno in Italia. Siamo nel
pieno della guerra civile nel Donbass che porterà alle due repubbliche
separatiste di Donetsk e Luhansk dopo che i due protocolli di Minsk del settembre
2014 e febbraio 2015 non vengono rispettati da nessuno.
I principali capi di governo europei, Merkel, Cameron,
Hollande oltre a Obama avevano disdetto la partecipazione ai giochi di Soki di
febbraio (le olimpiadi invernali russe). Unico presente Letta che dopo un
convegno con Putin a Trieste aveva annunciato la sua presenza in Russia dichiarando
che lì avrebbe espresso il suo dissenso... per le leggi antigay della Duna del
2013. Le conseguenze dell’accordo ENI-GAZPROM rendono (quasi) tutti felici.
Costi un po’ abbassati, quantità abbondanti perché Putin ha bisogno di cash,
sembra che il gas russo sia anche meno umido di quello algerino. L’accordo è
annunciato da De Scalzi ex vice di Scaroni che ha appena sostituito alla guida
dell’ENI su nomina di Renzi appena subentrato a Letta (febbraio 2014).
Così da 8 anni i nostri atlantisti versano parecchie
decine di miliardi all’anno a Putin che
addirittura nella seconda parte del 2021 ci ha aumentato le quantità e sembra
ci abbia diminuito un po’ i prezzi del gas che invece sul mercato sono
schizzati verso l’alto da settembre. Sarà che avevamo tanto gas a buon prezzo, o
altro che non capisco, ma invece di riempire gli stoccaggi l’ENI si è messa
pure a rivendere un po’ di gas. A fine anno Putin con una battuta ha affermato
che in Europa e in particolare in alcuni paesi come l’Italia qualcuno si sta
arricchendo con il gas russo. L’impennata dei costi del gas e dei prodotti
petroliferi nella seconda parte del 2021 che ha terrorizzato mezza Europa, è durata
2 mesi, è stata una sorpresa e sui media si sono sentite le più incredibili
panzane di commentatori, esperti e politici che allibiti non sapevano che dire
parlando genericamente di speculazione. E’ comunque del tutto indipendente
dalla guerra russo-ucraina di febbraio 2022.
Poi qualcuno ha sussurrato l’ipotesi più credibile.
Le multinazionali del settore, a cominciare dai fondi
di investimento che a Londra e nel nord Europa determinano parte dei prezzi del mercato, fino
alle società nazionali come l’ENI e ai trafficanti che comprano e vendono
prodotti energetici, hanno dovuto ridurre i propri guadagni a seguito della
crisi epidemica e dei lockdown e riduzioni dei consumi del 2020 e parte del 2021.
Hanno così deciso, ignoro in quale sede e con quali protagonisti responsabili e
complici, di provocare l’esplosione senza alcuna giustificazione dei prezzi,
che forse gli è anche sfuggita di mano perché “la speculazione” è diventata
attraente a tutti i livelli. Togliendo gioiosi dalle nostre tasche nell’inverno
passato quanto non avevamo speso nel 2020-2021. (Solo sei mesi dopo è
arrivato Putin che ci riduce le scorte in funzione anti sanzioni e per avere
qualche arma in mano rallentando il pieno delle scorte invernali, con la
minaccia di lasciarci al freddo).
Come esempio i ricavi ENI sono passati da circa 69 mld
del 2019 a 44 del 2200 e sono risaliti a 77 mld nel 2021. Per il 2022 ENI ha
dichiarato nella semestrale di fine luglio:” Il risultato netto adjusted
è stato positivo per 7,08 miliardi di euro, risultato che si confronta con gli
1,2 miliardi contabilizzati nel primo semestre del 2021, grazie al
miglioramento dell'utile operativo…”. E se pensate alla tassa sugli
extraprofitti (all’inizio proposta per le rinnovabili) state tranquilli: ad
oggi il nostro drago non ha tagliato praticamente niente a nessuno ( tranne noi
ovviamente) e forse dovrà sanzionare anche l’azienda di cui ha il 30% e i
diritti di Golden Share.
In conclusione, abbiamo perso otto anni preziosi.
In questi anni si è abbandonata qualunque azione
concreta per la transizione, si è permessa una dipendenza energetica inaccettabile,
si è messa da parte, non so quanto consapevolmente o no, la scelta delle
rinnovabili. Dopo Letta, Renzi, Gentiloni, primi responsabili, con i governi
Conte I e II il cambiamento annunciato è stato comunque minimo. Si è persa
un’occasione che difficilmente si ripresenterà.
- Dovremmo
avere 500mila nuovi tetti produttivi all’anno, - semplificare quanto necessario
il superbonus edilizio ed estenderlo all’intero decennio, - attivare
decine di cantieri per ridurre drasticamente le auto circolanti a favore di alcune
centinaia di km di metro. Ci farebbero risparmiare un sacco di soldi, tempo e
inquinamento, promuovendo le tante altre piccole azioni diffuse di risparmio
utili alla transizione che si presenta sempre più urgente. Invece attorno al
PNRR dobbiamo sentire improbabili divagazioni sulla CO2 da insufflare nel
sottosuolo, l’idrogeno dei vari colori, i SUV e i BUS elettrici, il nucleare di
quarta generazione, la fusione.
Dal Summit di Rio sono passati esattamente 30 anni e
ogni quarto d’ora un gruppo di esperti, di scienziati, di associazioni e
comitati, praticamente ignorati, fa un appello che sottolinea la crisi
ambientale. Raramente però si indicano le cose concrete che qui ed ora
andrebbero fatte. Così gli appelli non hanno il seguito necessario. Le tre azioni
indicate sopra sono necessarie e irrinunciabili, non ne conosco altre
realisticamente fattibili e accettabili nel prossimo decennio. Chi parla
d’altro restando nel vago, che sia nero, verde o rosso, di destra o di sinistra
vi racconta balle. Qualunque
protagonista che si candidi a proporre l’alternativa le dovrebbe sostenere
senza disperdersi in chiacchiere inutili sulla sostenibilità.
Gli altri non sanno bene di che parlano, alcuni si
stanno arricchendo in silenzio, ma stanno giocando con il nostro futuro. Viva
l’Italia!
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