Punto di
rottura. Violenze in aumento dopo l’uccisione del capo jihadista Droukdal da parte
dei francesi. In Mali cresce il malcontento, in Burkina Faso gli sfollati
interni
di Fabrizio Floris *
Dopo
l’uccisione del leader di al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi), l’algerino Abdelmalek
Droukdal, da parte di militari francesi lo scorso 3 giugno, la situazione per
la popolazione del Sahel è sempre più di sofferenza.
I CIVILI
SONO OGGETTO di attacchi continui da parte di
gruppi jihadisti e di militari degli eserciti dei tre Paesi più esposti – Mali,
Niger, Burkina Faso. Vi sono quindi persone che sono state sfollate più volte:
sono scappate in Niger dal Burkina Faso, poi hanno subito attacchi e sono
dovute nuovamente fuggire. Il problema è particolarmente rilevante nell’area di
Liptako-Gourma: il triangolo di confine dove convergono Burkina Faso, Mali e
Niger. Nell’ultimo attacco al villaggio di Binedama nella regione di Mopti in
Mali, il 5 giugno, sono stati uccisi 26 civili. Quella del Sahel è una delle
crisi a maggiore intensità di crescita nel mondo. In Burkina Faso, in
particolare, il numero di sfollati interni è passato, secondo Unhcr, da 560.000
all’inizio di febbraio a 848.000 alla fine di aprile: 288.000 persone in soli
tre mesi. Il conflitto coinvolge gli eserciti di almeno tre Paesi, una
molteplicità di gruppi jihadisti che sono una sorta di franchising dei due
brand che agiscono nell’area: Al Qaeda e Isis. Amnesty International ha
documentato tra febbraio e aprile di quest’anno 199 esecuzioni extragiudiziali
in Mali, Burkina e Niger da parte dei vari eserciti saheliani che si sono
macchiati di crimini e abusi molto gravi nei confronti dei civili, come
dimostrano anche diversi report delle Nazioni unite, il cui effetto è di
favorire ulteriormente il reclutamento dei gruppi jihadisti.
IN QUESTO
PERIODO c’è anche un conflitto legato a
dinamiche locali, che oppone gruppi dell’Isis contro gruppi di al Qaeda questo
anche in conseguenza della politica del Mali che ha cercato il dialogo con i
movimenti filo al Qaeda rafforzando per contro l’azione militare contro quelli
vicini all’Isis. Il presidente Ibrahim Boubacar Keita è oggetto di crescenti
contestazioni, sfociate la settimana scorsa in una grande manifestazione a
Bamako. Ed è probabile che Abdelmalek Droukdal abbia lasciato il suo rifugio
algerino proprio per andare a mediare il conflitto interno in Mali.
NELL’AREA
SAHELIANA sono attivi i militari francesi,
varie missioni internazionali e gli statunitensi di Africom, ma incidono
significativamente più sul livello di tensione che sul controllo del
territorio. Secondo Denis Tull, esperto di Africa occidentale dell’Istituto di
ricerche strategiche di Parigi (Irsem) la morte di Droukdal non avrà effetti
importanti perché i gruppi jihadisti hanno sempre dimostrato di essere
indipendenti dai leader e la loro uccisione ha lo stesso effetto che si ha
quando si tira un calcio ad un formicaio. Negli anni poi si è verificato,
secondo Camillo Casola dell’Ispi un processo di africanizzazione del jihad
saheliano, la cui leadership storicamente straniera (algerina, mauritana) è
stata sostituita da maliani.
SECONDO
UNHCR siamo vicini a un punto di rottura
per le popolazioni locali. Il presidente dell’Alto commissariato Onu per i
rifugiati Filippo Grandi, ha lanciato un appello perché sia possibile fornire
assistenza adeguata, accoglienza e protezione alle popolazioni sfollate nel
Sahel (3 milioni di persone): un programma per complessivi 186 milioni di
dollari che include anche le dotazioni per prevenire e affrontare il Covid-19.
In questo contesto cresce l’apprensione per gli ostaggi (una decina), inclusi i
nostri connazionali P. Luigi Maccalli e Nicola Chiacco.
*
da il manifesto 14 giugno 2020
nella foto: Bamako,
5 giugno, la piazza chiede le dimissioni del presidente Ibrahim Boubacar Keita
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