di Marco
Bersani *
La gestione politica dell’emergenza sanitaria ha
evidenziato come non mai la storica contraddizione fra produzione economica e
riproduzione sociale che il pensiero femminista denuncia da decenni: da una
parte la pressione insaziabile dell’ideologia del profitto, dall’altra una
società della cura, magari blandita quando serve ma rigorosamente ignorata nei
fatti. Nulla pare cambiato anche nella fase due dell’epidemia: mentre in quasi
tutte le regioni del centro-sud il contagio potrebbe essersi arrestato e lì
sarebbe possibile sperimentare con gradualità l’apertura di scuole, servizi e
spazi per il tempo libero, è ancora una volta la voce del padrone che arriva
dai distretti industriali del nord a scandire i tempi delle scelte e a far
riaprire quasi tutte le attività economiche, prolungando il rischio per
lavoratrici e lavoratori e la conseguente segregazione delle fasce considerate
non produttive della società, bambini e anziani in primis
Se c’è un
dato che l’attuale emergenza sanitaria ha reso evidente è l’antagonismo,
dentro questo modello economico-sociale, tra l’ideologia del profitto e la
società della cura. É la storica contraddizione fra produzione economica e
riproduzione sociale, che, come ci insegna da sempre il pensiero femminista, si
è sinora basata sulla esclusiva considerazione della prima e la conseguente
svalutazione della seconda. Dentro la pandemia tutte e tutti abbiamo potuto
finalmente constatare come nessuna produzione economica possa darsi senza
garantire la riproduzione sociale, e come, pertanto, la cura di sé, degli
altri e dell’ambiente debba venire prima di ogni altra attività, fino a dare
nuovo significato alla stessa produzione economica. Ma ciò che si è reso evidente
per le persone, non è automaticamente dato e diventa terreno di lotta per
contrastare l’ideologia dominante, che continua a proporre la produzione del
profitto come unico faro della società. La gestione dell’emergenza sanitaria,
giunta ora alla fase due, ne è la lampante cartina di tornasole.
Nella prima
fase dell’epidemia, subendo
le vergognose pressioni di Confindustria, Governo e Regioni, pur di evitare di
dichiarare “zona rossa” le aree delle province di Brescia e Bergamo (le più
industrializzate d’Europa) e quella di Piacenza (polo logistico di tutto
il nord-ovest) hanno trasformato in “zona arancione” l’intero paese,
permettendo la prosecuzione delle attività produttive (purché essenziali, ma
lasciando la dichiarazione di essenzialità all’autocertificazione delle
imprese!) e determinando la trasformazione di un serio problema sanitario in
una tragedia (crimine?) di massa. Tutto questo ha fatto il paio con un
sistema sanitario trasformato, negli anni, da presidio territorialmente diffuso
di prevenzione e cura, ad azienda ospedaliera centralizzata, facendo diventare
terreno di business privatistico un servizio di primario interesse generale. Ci
sono voluti gli scioperi spontanei dei lavoratori delle fabbriche e la
rabbia del personale medico-sanitario, entrambi considerati carne da
macello, per ottenere qualche straccio di garanzia di sicurezza nei luoghi di
lavoro e nuove risorse per la sanità. Dentro tutto questo, sono stati
abbandonati al loro destino gli anziani, disseminando il paese di
focolai prodottisi nelle residenze assistenziali assistite (Rsa) e sono stati
rimossi dalla società otto milioni di minorenni, la vita dei quali è
stata scadenzata dai divieti e azzerata di ogni possibilità.
Nulla pare
cambiato anche in questa fase due dell’epidemia: mentre in quasi tutte
le regioni del centro-sud il contagio sembra essersi arrestato e lì sarebbe
possibile sperimentare con gradualità l’apertura di scuole, servizi e spazi per
il tempo libero, è ancora una volta la voce del padrone che arriva dai
distretti industriali del nord a scandire i tempi delle scelte e a far
riaprire quasi tutte le attività economiche, prolungando il rischio per
lavoratrici e lavoratori, e la conseguente segregazione delle fasce non
produttive della società, bambini e anziani in primis. Il diritto alla
salute – da tutti acclamato – viene così sottoposto a riduzioni filosofiche
o a veri e propri stravolgimenti, a seconda dei contesti in cui lo si colloca.
Eccolo
allora interpretato in senso strettamente
naturalistico (presenza/assenza di virus) quando si parla di diritto alla
salute, intesa invece come benessere psico-fisico, dei bambini (e degli
anziani), e può dunque tranquillamente comportare – ancora per mesi! – la
compressione del diritto all’istruzione, al gioco, allo sport, alla socialità.
Eccolo
invece evaporare per tutte le donne e gli uomini, costretti a varcare
l’ingresso dei loro posti di lavoro (magari
dovendo anche scegliere – soprattutto le donne – tra lavoro e cura dei figli,
una “complessità” che pare non sfiorare in alcun modo chi governa) per
lasciare l’altare al profitto, unica religione veramente praticata dentro
l’attuale modello economico-sociale.
Ed eccolo
infine rispuntare, di nuovo
nella versione solo naturalistica, per tutte e tutti nel tempo di
non-lavoro, quando ogni individuo dev’essere rimesso in auto-isolamento e
costantemente colpevolizzato (“è dal vostro comportamento che dipenderà l’esito
della fase due” ha detto il Presidente del Consiglio nella sua ultima
esternazione).
D’altronde,
nessuna sanzione è prevista per l’imprenditore che falsifichi la propria
auto-dichiarazione sulle misure di sicurezza, mentre multe salate, quando non inseguimenti da film degli anni’70,
vengono riservate a chi, pur nel pieno rispetto delle regole di cautela,
esce per fare una passeggiata o due passi lungo una spiaggia. Non si tratta,
ovviamente, di esaltare la disobbedienza fine a se stessa, bensì di aprire una
discussione collettiva sulla profondità del conflitto che abbiamo davanti:
possiamo continuare con un modello economico-sociale che pone il profitto a
fine ultimo di ogni attività, relegando ai margini le fasce non produttive
della società e ricattando quotidianamente quelle deboli dentro la produzione?
O vogliamo, finalmente, mobilitare energie, intelligenze e risorse per
innescare la società della cura, di sé, degli altri – bambini e anziani in
primis – e dell’ambiente?
Il mondo si
divide tra indegni e indignati. Tocca ad ognuno decidere da che parte stare.
*Attac
Italia – da comune-info.net 29 Aprile 2020
la pubblicazione dell'intervento non comporta la condivisione integrale dei contenuti
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