di Annalisa Camilli
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“Oggi mi si apre il cuore perché il
testimone del femminismo italiano è passato a donne giovani e preparatissime: è
uno di quei casi in cui le figlie non hanno avuto bisogno di distruggere le
madri”. Paola Mastrangeli, del Centro Alma Sabatini per l’uso non sessista
della lingua, con il suo intervento chiude la presentazione del primo Piano contro la violenza maschile e la violenza di genere
presentato dal movimento Non una di meno alla Casa internazionale delle donne
di Roma il 21 novembre, ed elogia la capacità di dialogo e di coesione che
hanno saputo esprimere le diverse generazioni di femministe italiane.
Balza all’occhio il carattere
intergenerazionale della proposta elaborata dal movimento femminista italiano
per contrastare la violenza di genere, così come colpisce il pluralismo delle
posizioni e delle sigle che hanno dato vita al progetto. “Non so nemmeno dire
quante mani hanno scritto questo libretto”, spiega Marina Montanelli, una delle
relatrici, mentre la sala Carla Lonzi della Casa internazionale delle donne
scoppia in un applauso.
“A partire dalle loro differenze, ma
anche dalle relazioni che hanno saputo costruire, queste giovani donne hanno
fatto un lavoro enorme. E hanno riscoperto la passione e la rabbia costruttiva
della lotta per l’autodeterminazione. Ma io non avevo dubbi sul fatto che
questo sarebbe successo”, aggiunge Mastrangeli e le donne in sala sventolano il
libretto fucsia di 57 pagine che contiene la proposta da presentare alle
istituzioni, dopo un lungo processo durato un anno. Il piano è stato presentato
contemporaneamente a Roma e a Milano.
Cosa prevede il piano
La proposta è stata elaborata nei lavori di decine di assemblee che si sono svolte su tutto il territorio nazionale e si basa sul presupposto che “la violenza maschile contro le donne non può essere superata nell’ottica dell’emergenza” perché è strutturale: “Ogni giorno è esercitata sui corpi e sulle vite di milioni di donne”.
La proposta è stata elaborata nei lavori di decine di assemblee che si sono svolte su tutto il territorio nazionale e si basa sul presupposto che “la violenza maschile contro le donne non può essere superata nell’ottica dell’emergenza” perché è strutturale: “Ogni giorno è esercitata sui corpi e sulle vite di milioni di donne”.
Le accuse a Harvey Weinstein, e la campagna #metoo che ne è
seguita, hanno mostrato l’estensione del fenomeno delle molestie sessuali e
delle violenze subite dalle donne di tutto il mondo sul posto di lavoro e in
ogni momento della vita, ma ha anche aperto uno spazio politico di denuncia e
di solidarietà, secondo le femministe di Non una di meno.
Il piano antiviolenza prevede dodici
capitoli e articola delle proposte per superare le discriminazioni e le
violenze di genere in tutti gli ambiti in cui avvengono a partire dal mondo del
lavoro, ma anche nel linguaggio o nell’istruzione, fino ad arrivare a settori
come la salute. Ecco i punti principali del piano.
- Reddito di autodeterminazione per le donne che decidono di uscire dalla violenza.
- Nessun obbligo di denuncia nei pronto soccorso senza il consenso della donna.
- Più fondi per i centri antiviolenza.
- Garanzia d’indipendenza e laicità dei centri antiviolenza.
- Politiche per la genitorialità condivisa come l’estensione dei congedi di paternità a tutte le tipologie contrattuali, non solo nel lavoro subordinato e non solo in presenza di un contratto di lavoro.
- Investimenti sulla formazione e su percorsi di educazione nelle scuole e nelle università che mettano in discussione e superino il “binarismo di genere” e gli stereotipi di genere.
- Formazione nel mondo del giornalismo e dell’informazione per smettere di rappresentare la violenza di genere come una “emergenza” o un “problema di sicurezza e ordine pubblico”, di indicare le donne come “vittime” e gli uomini maltrattanti come “presi da un raptus”.
- Eliminazione dell’obiezione di coscienza per l’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) negli ospedali pubblici, che permette al 35 per cento degli ospedali italiani con un reparto di ginecologia e ostetricia di non praticare gli interventi.
- Sostegno dell’aborto farmacologico nei consultori.
- Apertura delle case pubbliche della maternità per evitare la violenza ostetrica durante il parto.
- Finanziamenti ai consultori per garantire l’accesso alla contraccezione, all’informazione e alla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili.
- Il riconoscimento della protezione internazionale per le donne di origine straniera che si sottraggono a ogni forma di violenza come per esempio la tratta degli esseri umani.
- Una banca dati sulle molestie nei posti di lavoro.
- Una banca dati per monitorare le differenze di retribuzione salariale.
- Una banca dati sull’applicazione della legge 194/78 che regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza.
Una questione economica
Nel piano antiviolenza hanno un ruolo fondamentale l’ambito lavorativo e le politiche sociali. “La violenza domestica e quella sul posto di lavoro possono essere prevenute solo se si mette in discussione un modello anche economico basato sullo sfruttamento e sulla precarietà di cui pagano il prezzo soprattutto le donne”, spiega Marina Montanelli di Non una di meno.
Nel piano antiviolenza hanno un ruolo fondamentale l’ambito lavorativo e le politiche sociali. “La violenza domestica e quella sul posto di lavoro possono essere prevenute solo se si mette in discussione un modello anche economico basato sullo sfruttamento e sulla precarietà di cui pagano il prezzo soprattutto le donne”, spiega Marina Montanelli di Non una di meno.
“Le donne sono quelle che si trovano
più spesso in situazioni di disoccupazione o di precarietà lavorativa che le
costringono a tornare a svolgere lavori domestici e di cura anche per far
fronte ai tagli al welfare degli ultimi anni”, continua Montanelli. Le proposte
articolate da Non una di meno rivendicano un salario minimo universale europeo,
come risposta ai tagli allo stato sociale che pesano soprattutto sulle donne,
ma anche per affrontare la disparità salariale tra uomini e donne che in Italia
è molto alta.
Non una di meno chiede che il
welfare sia ripensato proprio a partire dalle donne
Le femministe propongono delle
misure economiche di sostegno alle donne che denunciano la violenza: “Spesso,
infatti, le donne che subiscono molestie, minacce e violenze sul posto di
lavoro si scontrano anche con la difficoltà materiale di denunciare, perché
hanno paura di essere licenziate”. Anche per le donne disoccupate o precarie
che subiscono violenze dai mariti e dai compagni denunciare è difficile, perché
sono non sono economicamente indipendenti. Infine Non una di meno chiede che il
welfare sia ripensato proprio a partire dalle donne.
“Siamo contrarie al reddito
d’inserimento appena varato dal governo, perché oltre a essere una misura
irrisoria che riguarderà pochi beneficiari, è una misura basata sul modello
familistico, cioè possono accedere a questo tipo di misura solo le famiglie, ma
questo comporta dei problemi proprio per le donne e la loro autonomia”,
conclude Montanelli. Le femministe della rete Non una di meno presenteranno il
piano antiviolenza nella giornata mondiale contro la violenza sulle donne il 25
novembre, quando è prevista la manifestazione nazionale del movimento a Roma.
* giornalista di Internazionale , 22
novembre 2017
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