21 giugno 2012

La narco-guerra in Messico: un problema anche italiano


di Lucia Capuzzi *

E’ la regina della coca. La ‘ndrangheta domina ormai il mercato della polvere bianca in Europa. Grazie ai rapporti coi narcos colombiani e soprattutto alla recente alleanza con uno dei principali cartelli della droga messicani: Los Zetas.
Negli ultimi dieci anni, rotte e gestione del traffico di coca hanno subito una rivoluzione. Quest’ultima proviene quasi interamente da tre Paesi latinoamericani: Colombia, Bolivia e Perù. Negli anni Ottanta e Novanta erano i colombiani a gestire il business: la droga veniva inviata nei centri di consumo (Stati Uniti ed Europa) via aerea o con la collaborazione dei malviventi messicani. Che, però, si limitavano ad agevolare il trasporto degli stupefacenti sul loro territorio: dove, come e a quanto smerciare era deciso dai boss di Cali e Medellín. Dall’inizio del 2000 – in seguito all’indebolimento dei grandi gruppi criminali colombiani -, il sistema è cambiato. I messicani hanno assunto la gestione diretta del traffico. Non si limitano a trasportare la coca – a svolgere il lavoro di “muli” come si dice nel gergo mafioso -: ora ne decidono il prezzo, le rotte, le destinazioni. Queste attualmente sono principalmente tre: il mercato Usa – a cui è destinato il 40 per cento della coca prodotta – attraverso la porosa frontiera Sud -, quello europeo – dove arriva una identica quantità mediante il corridoio caraibico: le Antille sono il trampolino verso il vecchio continente – e quello emergente africano. Spesso i narco-voli diretti in Europa fanno scalo nei pochi controllati aeroporti dell’Africa occidentale. La maggior parte della coca prosegue via nave verso l’Italia, la Spagna o l’Olanda. Un 20 per cento resta lì, per incrementare il consumo locale. Europa e Africa sono sbocchi sempre più rilevanti per le bande criminali, specie dopo che l’aumento dei controlli lungo il confine statunitense ha reso meno allettante il mercato americano.  

La ‘ndrangheta è il partner perfetto: con la sua rete capillare riesce a smerciare la droga per tutto il continente. L’alleanza è vantaggiosa per entrambi. I messicani si occupano del trasporto all’interno del continente e del viaggio intercontinentale. La ndrangheta si occupa di garantire sbocchi sicuri e una serie di piazze redditizie. Per una curiosa ironia della sorte, ‘ndrangheta e Los Zetas sono “cresciuti” insieme. Ovvero hanno scalato i vertici criminali negli stessi anni. La prima ha soppiantato “Cosa nostra” nel grande business della droga. I secondi, ex militari arruolati come sicari dal cartello del Golfo, se ne sono staccati nel 2009, per diventare ora il gruppo più diffuso sul territorio messicano. Los Zetas, infine, preferiscono la ndrangheta a Cosa nostra perché difficilmente i calabresi si pentono, dato che il legame criminale in genere è sovrapposto a quello familiare, di sangue. I legami fra i due sono state dimostrate da quattro operazioni realizzate dalla Procura distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

Il 17 settembre 2008 sono state arrestate 166 persone tra Italia, Messico e Stati Uniti nell’ambito dell’operazione Solare. Mesi di indagini, con la collaborazione della Dea e dell’Fbi, hanno permesso di smantellare una rete che agiva da entrambe le sponde dell’Atlantico con l’obiettivo di introdurre coca in Italia, dal porto di Gioia Tauro. A coordinare il traffico, la cosca Aquino-Coluccia che, attraverso una cellula a New York (la famiglia Schirrippa), aveva stretto un “patto criminale” con Los Zetas – all’epoca ancora parte del cartello del Golfo - per rifornirsi di polvere bianca.
Il 13 luglio 2010, la Procura regina ha dato il via all’operazione “Il Crimine”, seguito di Solare. Quest’ultima ha colpito le principali famiglie di Regio Calabria, Vibo Valentia e Crotone come i Pelle di San Luca, i Comisso di Siderno, gli Aquino Coluccio  e i Mazzaferro di Gioiosa Ionica, i Pesce-Bellocco e gli Oppesano di Rosarno, gli Alvaro di Sinopoli, i Longo di Polistena, gli Iamonte di Porto salvo. Arrestato anche il capo della ndrangheta in Lombardia, Pino Neri. Oltre ai fermi, l’inchiesta ha dimostrato che la mafia calabrese non era più un insieme di cosche scoordinate ma si era data un’organizzazione verticistica, fortemente strutturata su base territoriale, articolata su vari livelli e capillarmente diffusa. 

L’11 marzo 2011 è scattata “Crimine 2” che si è concentrata sulla penetrazione della ndrangheta in Lombardia e sulle sue ramificazioni estere (in Svizzera, Germania, Canada e Australia). L’indagine ha permesso di mettere in luce il “modello ndrangheta” che agisce attraverso succursali provinciali saldamente legati ai vertici che, da Reggio Calabria, gestiscono il traffico di droga e armi e si infiltrano nella rete economica legale dei territori in cui operano.  
Queste tre operazioni sono state in qualche modo “propedeutiche” a “Crimine 3” o “Soleare 2” perché hanno permesso ai magistrati di comprendere  funzionamento e organizzazione della ndrangheta.
Il 14 luglio 2011, a tre anni da Solare, “Crimine 3” è riuscita a documentare nel dettaglio le relazioni tra ndrangheta e Zetas. Tra il 2004 e il 2008, il Cartello del Golfo ha introdotto negli Usa, 80 tonnellate di cocaina pura. Poi, aveva cominciato a concentrarsi sul mercato europeo, delegando la mediazione al suo braccio armato, Los Zetas. Una cellula, situata a New York, ha preso contatti con i calabresi attraverso la famiglia Schirrippa, una cosca di profilo minore, dietro cui si celavano le potenti famiglie Macrì e Coluccio. Al vertice, secondo quanto emerso da “Crimine 3” c’era Domenico Oppedisano, super boss arrestato nel 2010. Dopo il colpo subito con Solare, il business non si è fermato. La rete “transoceanica” si è ricostituita sotto il controllo delle cosche Bruzzese, Aquino, Commisso, Jerino di Siderno e Gioiosa Jonica che, grazie all’alleanza coi Pesce di Rosarno, si sono infiltrate nel porto di Gioia Tauro e agivano attraverso la compagnia fantasma Diamante Fruit. 

I rapporti tra narcos e ndrangheta sono ormai documentati. Nonostante le operazioni condotte e gli arresti fatti, il traffico tra le due sponde dell’Atlantico prosegue. L’obiettivo di questo convegno è analizzare la rete criminale che unisce due mondi apparentemente diversi, Messico e Italia. E collega direttamente quest’ultima a un fenomeno tragico quanto “invisibile” nei mezzi di comunicazione e nella coscienza dell’opinione pubblica: la narcoguerra che dilania il Paese latinoamericano. Dal 2006, lì sono state massacrate circa 60mila persone nella duplice lotta tra cartelli della droga e autorità e gruppi criminali rivali per il controllo della “piazza”. A farne le spese è la popolazione civile. Dato che in Messico, appena il 2 per cento dei crimini viene risolto, nessuno può conoscere l’esatto bilancio di vittime civili sacrificate in nome del business di coca. Di certo sono tante, troppe. I convegni non risolvono i problemi. Ma li rendono visibili. Danno voce e dignità ai sessantamila morti messicani. Che sono, sempre più, anche un problema italiano.  

     * giornalista di Avvenire, esperta di questioni messicane

Torino: sabato 23 giugno  ore 9,30 - palazzo Capris, via S.Maria 1, Fondazione Fulvio Croce dell’ Avvocatura

LA NARCO-GUERRA IN MESSICO
Così lontana così vicina. Un problema anche italiano

CONVEGNO promosso da International Help Onlus e SUR, Società Umane Resistenti
introducono Gianni Sartorio e Gianfranco Crua
intervengono: Lucia Capuzzi, giornalista di Avvenire, esperta di questioni messicane - Piero Innocenti, già Questore e Dirigente della Polizia di Stato con incarichi di intelligence e contrasto al narcotraffico in America Latina

sul narcotraffico leggi anche qui

Nessun commento:

Posta un commento