15 aprile 2012

Presidenziali in Francia: tempi duri per il bipolarismo e per gli ecologisti


di Massimo Marino

Il 22 aprile si svolge il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia, il primo di una serie di appuntamenti elettorali europei che nel corso del prossimo anno potrebbero cambiare o riconfermare l’attuale immagine devastata dell’Europa.

Il 6 maggio si svolgerà il ballottaggio fra i primi due dei nove candidati, seguito in giugno dalle elezioni politiche per l’Assemblea nazionale (la camera francese) che prevedono due turni. Seguirà, probabilmente nell’aprile 2013, il voto in Italia e poi in novembre le elezioni politiche in Germania. Con in mezzo, il 6 novembre 2012, le presidenziali in USA. I tre appuntamenti europei non sono da poco: esiste la fondata probabilità che i tre personaggi che hanno imperversato nella politica europea, almeno quella pubblica degli ultimi anni (Berlusconi, Sarkozy e Merkel) escano , e in modo definitivo, di scena.

Formalmente la campagna elettorale francese è breve e iniziata da poco ma di fatto è avviata dal novembre scorso. Per presentare i candidati è necessaria la raccolta di 500 firme di grandi elettori ( parlamentari europei o nazionali, sindaci, consiglieri regionali..) e ci sono riusciti in nove, sostenuti dai partiti di appartenenza che in buona parte un mese dopo formeranno coalizioni nei collegi uninominali a due turni delle politiche. Un meccanismo in 4 tempi strampalato, espressione del sistema semipresidenziale inventato dopo la nuova Costituzione del 1958 che oggi esprime la cosiddetta V Repubblica; che impone di fatto un sistema bipolare ( fra i peggiori esistenti) ed il solito tendenziale bipartitismo fra conservatori e socialdemocratici ( in Francia l’UMP del neogollista Sarkozy che ha annunciato solo all’ultimo la sua seconda e ultima candidatura, ed il PS che dopo un giro di primarie interne a sette ha visto emergere Hollande); un sistema ormai poco tollerato dagli elettori.

Alla candidatura di Nicolas Sarkozy ( UMP-Unione per il Movimento Popolare e Nuovo Centro) si contrappongono Francois Hollande ( Partito socialista, Radicali di Sinistra), Eva Joly ( l’ex magistrato espressa da EuropeEcologie-Le Verts), Marine Le Pen ( l’estrema destra del Fronte Nazionale fondato dal padre), Jean-Luc Melenchon ( PCF dei comunisti francesi e Movimento della sinistra, federazione di vari gruppi da cui resta fuori l’ area trotskista ), Francois Bayrou ( l’emulo francese di Casini, per qualche tempo faro ambito del nostro Rutelli, ma rapidamente finito nell’angolo con il suo MoDEM ), due candidati di area trotskista, Philippe Poutou (Nuovo partito anticapitalista) e Nathalie Athaud (Lotta operaia). Infine Dupont Aignau (Alzati Repubblica, gollisti fuoriusciti dall’UMP).

Fino ad un mese fa il risultato sembrava scontato, con il prevalere di Hollande, più che per meriti propri per la figura impresentabile di Sarkozy, incappato in numerosi incidenti e scandali tanto da esitare nella ricandidatura, con la moglie Carla Bruni unica cosa presentabile rimasta, ma infine decisamente ripescato dal plateale appoggio della tedesca Angela Merkel e dagli evidenti sostegni di settori economici, non ultimo il settore dell’industria nucleare che, con l’EDF, è un potente apparato economico del paese. Per giunta insidiato dalla ormai storica concorrenza dell’estrema destra della famiglia Le Pen.

Il risultato, almeno per il primo turno, è diventato più incerto per la vera e propria novità data dall’inaspettato successo del candidato della sinistra Melanchon che, a partire da fine novembre, è tumultuosamente salito nei sondaggi sopra il 15% fino a raggiungere e forse superare la candidata della destra, riempiendo le piazze con grandi manifestazioni di sostegno in molte parti del paese, erodendo il voto di Hollande e praticamente azzerando Eva Joly. Quest’ultima sembra essere l’agnello sacrificale degli accordi tormentati siglati infine fra verdi e socialisti a novembre, che riguardano la coalizione con lista comune per le elezioni politiche, il programma di legislatura (2012-2017) avvitatosi attorno al tema del fuoriuscire quanto e quanto rapidamente dal nucleare. E naturalmente la spartizione dei collegi fra i due alleati nel voto e dei ministri nel caso di vittoria a giugno.

Nella media dei sondaggi ad oggi Hollande e Sarkozy risultano alla pari sotto il 30% (una novità straordinaria sul passato dove i due in testa sommavano spesso l’80- 90%); Melanchon e Le Pen risultano entrambi al 15%, Bayrou un po’ sopra il 10% . Mentre Eva Joly, critica con l’apparato di partito che la sta esponendo ad una pessima figura, fino al punto di aver pensato di ritirarsi dalla corsa, dal 6% di dicembre è scesa al 2%, praticamente svuotata da Melanchon, un ex socialista di sinistra, da anni uscito dal PS fondando un proprio gruppo ed ora leader del Fronte della sinistra, ( per la prima volta non rappresentato da un comunista); da sempre definito neo-giacobino e ambientalista e del tutto intransigente sul problema della fuoriuscita dal nucleare.

Hollande resta ancora favorito per il secondo turno, dove è scontato l’appoggio ufficiale dei verdi, e quello dichiarato ma informale della sinistra, che alle politiche di giugno presenta una propria coalizione. Ma Sarkozy, che sta accentuando nelle ultime settimane accenti più estremisti, specie sul problema immigrazione, spera nel serbatoio dell’estrema destra mentre resta indefinito il destino dei voti dei MoDem che si ritiene andranno in prevalenza verso Hollande.

Lo scenario si è rapidamente riaperto malgrado una campagna fino a ieri spenta, dove i media rilevavano le differenze minime fra i due candidati principali e segnalavano nei sondaggi il pericolo di un forte astensionismo, specie al secondo turno. Tant’è che Melanchon ha inserito nel suo programma l’abbandono della V Repubblica ed il passaggio alla VI, richiedendo la cancellazione del semipresidenzialismo, dove il Presidente della Repubblica nomina premier e ministri e di fatto controlla in gran parte il potere legiferante delle camere, proponendo il ritorno al sistema parlamentare classico, ed eliminando con il proporzionale il doppio turno ed il bipolarismo che il sistema attuale impone forzosamente agli elettori.

Il programma di Sarkozy è apertamente di “lacrime e sangue”: difesa del Fiscal Compact europeo recentemente introdotto con la finalità apparente di riportare il livello di debito sul Pil al 60% accentuando politiche di austerity (tagli alla spesa, più tasse, sanzioni automatiche, legge sul pareggio di bilancio). Conferma del nucleare (che l’EDF francese esportava fino a qualche tempo fa in tutto il mondo) e scarso interesse alle tematiche sostanziali della conversione ecologica. Dimezzamento dei tassi annui di immigrazione e inasprimento del controllo sociale e delle norme per la sicurezza. Conferma della presenza francese in Afghanistan e della tradizionale interferenza in varie zone del pianeta (vedi Libia). Tutte questioni sulle quali Hollande tende a differenziarsi in qualche modo, anche perché difficilmente potrebbe incassare quella parte rilevante di elettorato che sta apertamente nelle variegate sinistre e negli ecologisti.

Il programma comune fra Socialisti ed Ecologisti, discusso a lungo per quasi sei mesi fra le due delegazioni incaricate, è stato infine siglato dal Comitato nazionale del PS il 15 novembre, poi discusso e approvato in un difficile Consiglio federale degli ecologisti il 19 novembre con 96 favorevoli e 31 contrari . Il programma generale per il 2012 e la proposta di candidature nei collegi nelle liste comuni EELV-PS è stato approvato dagli ecologisti il 18 dicembre in un clima ancora più difficile con 87 sì e 34 no. L’accordo con il PS è a tutto campo: prevede il sostegno al secondo turno di chi va al ballottaggio, la garanzia di circa 60 candidati nei collegi uninominali della lista comune stimando la possibilità di 15-30 eletti molto probabili ( i verdi hanno ottenuto 4 eletti dal 2007 alla camera di 577 membri). Non sono noti numero e nomi degli eventuali ministri della coalizione nel caso di vittoria a giugno. Il programma comune è alla base della pesante lacerazione che si è prodotta nel campo ecologista e ancor più nel suo potenziale elettorato.

Nel programma comune ci sono grandi novità: dal ritiro dall’Afghanistan alla fine delle interferenze francesi in Africa, dall’azione per la democratizzazione dell’FMI e della Banca Mondiale con riferimento ai principi della democrazia e dei diritti dell’uomo, dal ripristino almeno parziale del proporzionale nel voto all’istituzione di un Ministero per i diritti delle donne, da un piano di emergenza per dare una casa a 20.000 indigenti senza tetto al diritto di voto degli immigrati nelle elezioni locali; ed anche una ridiscussione dell’età pensionabile a partire dai 60 anni, una tassa per le transazioni finanziarie, in piccola parte adesso già attuata da Sarkozy, un impegno a produrre 600.000 posti di lavoro nella green economy; fino alla riconversione della mobilità con forti investimenti nelle forme di trasporto collettive e il bando totale degli OGM…. Infine la sospensione del progetto del nuovo grande aereoporto di Notre dame de Landes nella Loira su cui si è sviluppata una notevole mobilitazione contraria fino alla grande manifestazione del 24 marzo scorso. Ma il vero nodo su cui si è acceso lo scontro riguarda il nucleare.

I socialisti, da sempre aperti sostenitori dell’industria nucleare, sono stati messi in grande difficoltà dall’incidente di Fukushima. Era un argomento tabù fino al dramma giapponese nel Paese dove EDF e AREVA, che produce i nuovi reattori EPR, sono i principali attori a livello mondiale. Il futuro dell’industria nucleare è piombato con effetti dirompenti nella scena politica creando qualche segno di tardivo scetticismo anche nel PS che fino a qualche mese fa aveva ad esempio alla guida di AREVA da un decennio Anne Lauvergeon, manager di area socialista . L’accordo fra i due partiti impegna a ridurre dal 75% attuale al 50% entro il 2025 l’origine nucleare dell’elettricità consumata in Francia chiudendo 24 reattori. Ma non c’è l’impegno all’abbandono definitivo del nucleare ne del progetto dell’EPR con il quale AREVA e EDF, i due colossi (pubblici) nucleari francesi, puntano alla supremazia nel mondo ( compresi i 4 reattori per l’ex amico Berlusconi e l’ENEL fermati dal referendum). La questione dell’EPR, che non è da poco, è stata di fatto non risolta e accantonata.

Il compromesso di novembre ha fatto infuriare Eva Joly, l’ex magistrato anticorruzione poco propensa a compromessi di questo tipo, che di fatto ha abbandonato per un mese la campagna elettorale in avvio dove era stata appena scelta dalle primarie interne dove aveva vinto sull’altro candidato, Nicolas Hulot, con il 58% dei 30.000 votanti. Dissenso accompagnato da alcune pesanti dichiarazioni in cui appellava i dirigenti socialisti come “marionette del nucleare” mettendo in dubbio in un primo momento il sostegno a Hollande nel ballottaggio. Il compromesso ha lacerato la base degli ecologisti, molti dei quali hanno apertamente accusato la Duflot, segretaria del partito, ed il gruppo dirigente (praticamente quasi tutti nell’elenco dei collegi sicuri o fra i possibili ministri ) di svendere e portare al massacro i valori degli ecologisti. Ma soprattutto gli effetti del compromesso sono stati dirompenti sul potenziale elettorato del partito uscito trionfatore dalle elezioni europee del 2009 dove Europe-Ecologie aveva ottenuto più del 16% (alla pari con i socialisti), con il successo confermato nelle regionali del marzo del 2010 dove, alleati con il PS, con più del 12% gli ecologisti avevano eletto 255 consiglieri regionali conquistando 24 delle 26 regioni del paese dove, in opposizione al governo centrale, gestiscono le amministrazioni regionali con i socialisti.

I primi problemi erano però già emersi al congresso di formale nascita del nuovo movimento, nel novembre 2010 a Lione, dove parte della componente originaria proveniente dai vecchi verdi aveva di fatto imposto un nuovo nome al partito nascente modificato da Europe-Ecologie ad EuropeEcologie-Les verts con il consenso del solo 53% dei circa 4000 delegati e la contrarietà dello stesso Cohn Bendit, per la prima volta messo da parte dal gruppo che, con la Duflot, confermata segretaria del nuovo soggetto, ha preso il controllo dell’apparato, ormai di dimensioni rilevanti, nel quale i principali protagonisti della vittoria del 2009 ( Jose Bovè, Yannick Yadot, Sandrine Belier, la stessa Eva Joly ) sono tutti con Cohn Bendit nel parlamento europeo. I primi effetti si sono percepiti nelle successive elezioni cantonali, elezioni secondarie che dividono la Francia in circa 4000 enti amministrativi secondari, dove il voto ecologista è sceso all’ 8%.

Al di là del grave conflitto interno, il difficile compromesso con il PS ha avuto immediati effetti sui sondaggi elettorali ( in Francia un po’ più seri e indipendenti di quelli che ci propinano nei nostri talk-show i vari Floris e Vespa) nei quali la Joly già a fine novembre era al 6% ed è progressivamente piombata all’1,5-2% mentre la polemica diventava apertamente pubblica. Un caso nazionale per gli effetti evidenti: se l’elettorato ecologista non vota in massa Hollande al secondo turno, la sua possibile vittoria diventa molto più difficile e per giunta il peso degli ecologisti comunque sarebbe ridimensionato. Per il momento la lacerazione ha portato all’azzeramento del voto per la Joly, che da tre mesi è praticamente addirittura scomparsa dai sondaggi ( che neppure più la citano) a favore di Melanchon che sul nucleare ha preso una posizione netta: referendum nazionale sul nucleare ( riproponendo pari pari quello italiano) e totale fuoriuscita dal nucleare a favore delle rinnovabili e del risparmio.

Il caso Melanchon va però al di là della questione energetica; il candidato del Fronte della sinistra ha assunto posizioni durissime sull’insieme delle questioni sociali: ad esempio eliminazione del precariato, ritorno ad una età pensionabile più bassa partendo dai 60 anni, nazionalizzazioni di alcuni settori centrali dell’economia e della finanza, cancellazione del presidenzialismo e dei sistemi uninominali a favore del proporzionale. Con posizioni radicali che tentano di coniugare insieme posizioni classiche dell’estrema sinistra e la transizione ecologica, Melanchon al momento è al centro dell’attenzione tanto che si parla di “ melanchonizzazione” della campagna elettorale: piazze piene (come il 17 marzo alla Place de la Bastille), sondaggi recenti sopra il 15%, aperto appoggio di parte rilevante del sindacato CGT che partecipa con le proprie bandiere alle manifestazioni, per la prima volta forte presenza giovanile ( in parte attratta anche dalla destra della Le Pen). Una novità per il Fronte dopo le delusioni cocenti delle precedenti candidature di Robert Hue ( 3,3% nel 2002 ) e Marie-George Buffet (1,9% nel 2007), entrambi ex segretari del PCF, con le scarne manifestazioni dell’epoca che vedevano una prevalente presenza di pensionati del vecchio comunismo francese. Nelle ultime settimane Hollande ha dovuto cambiare toni assumendo accenti più radicali, ad esempio confermando le 35 ore, ( che Sarkozy non è riuscito a smantellare) e la riduzione degli straordinari; seguito il 5 aprile dalla collega di partito Martine Aubry, presidente del consiglio in pectore, che in tv ha per la prima volta fatto larghe aperture ai temi di Melanchon.

Nel conflitto apertosi nel campo ecologista Cohn Bendit ha preso apertamente posizione per il compromesso raggiunto e nel meeting ecologista di Strasburgo di metà marzo, dove è stato anche duramente e ripetutamente attaccato da alcuni, ha sostenuto che l’accordo è il massimo ottenibile in un paese dove, al contrario della Germania, l’idea della fuoriuscita totale dal nucleare non è ancora preponderante. Ed in una recente intervista all’Unità del 12 aprile ha aggiunto che la vittoria di Hollande è fondamentale per un cambiamento dell’intera Europa aggiungendo ( e parafrasando un vecchio precetto di altri tempi) che non si può costruire la transizione ecologica in un solo paese. Per la prima volta risultando non a tutti convincente se non altro perché sul documento comune del compromesso dal PS ( su cui le pressioni del fronte nucleare si sono manifestate pesantissime) sono già emerse “letture” diverse che tendono a ridimensionarlo. E per nulla aiutato del recente incidente ad un impianto nucleare del quale come al solito è emersa una maggiore gravità rispetto a quanto inizialmente dichiarato da EDF e governo. Mentre il dissenso della Joly per quanto frenato è ormai sulle pagine di tutti i giornali.

L’oggettiva difficoltà a mantenere una posizione di realpolitik in presenza di sistemi elettorali vergognosamente inadeguati a lasciare libertà di espressione democratica agli elettori, specie in una Europa dove la crisi sociale, la richiesta di più democrazia rappresentativa e aneliti alla democrazia diretta e dal basso, insieme al conflitto ecologico diventano sempre più dirompenti, non è questione francese ma ha caratteri extra-nazionali e mette in crisi prima di tutto le espressioni politiche del vecchio e a volte troppo moderato ambientalismo verde, anche se difficilmente può essere sostituito dai soliti paradigmi dei movimenti comunisti del secolo scorso.

La radicalità di minoranze consistenti che, come nei referendum italiani, possono diventare in occasioni particolari espressione di maggioranza, richiede una grande capacità di riflessione e mediazione, ma anche nuovi paradigmi di aggregazione ed una più ferma radicalità. Se in Francia l’esperienza di EuropaEcologie potrebbe andare a pezzi a favore di un comunista giacobino ed ecologista, in Italia dove gli ecologisti di fatto sono pressocchè inesistenti, i contenuti della conversione ecologica sono assunti, seppure in modo frammentario, da altri movimenti, da quello di Grillo prima di tutto, mentre nella stessa Germania dove i Grünen hanno profondamente e positivamente modificato il paese, nell’appuntamento delle politiche del 2013 si fa consistente il loro possibile ridimensionamento elettorale da parte dei Piraten che salgono mese per mese nei sondaggi. Mentre in Spagna , nelle elezioni politiche recenti, fallita la tentata aggregazione del mondo ecologista, con l’affermazione dei partiti della estrema sinistra autonomista è arrivata la vittoria dei conservatori di Rajoy che, pur in presenza di una durissima crisi sociale, hanno prevalso e mandato a casa tutti , chiudendo l’ epoca socialista di Zapatero.

Coniugare l’idea della conversione ecologica con la riconquista della democrazia sostanziale e dei principi naturali del diritto alla giustizia sociale per tutti resta l’unica difficile strada per una diversa Europa, una strada che si presenta estremamente complicata, un vero percorso di riforme rivoluzionarie che non ha alternative credibili, e comunque non accettabili. In Francia il complicato paradigma è duramente messo alla prova.

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