di Roberto
Pietrobon *
Mentre continuano le eruzioni
vulcaniche nella penisola del Reykjanes, dove si trova la capitale e il
principale aeroporto dell’isola, 268 mila cittadine e cittadini oggi in Islanda
sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo o la nuova presidente della
Repubblica.
L’Islanda è, insieme alla
Finlandia, l’unico paese nordico e scandinavo a non avere un monarca come capo
dello stato dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla corona danese nel 1944
quando la Danimarca era ancora sotto la dominazione nazista.
Le elezioni di oggi sono
probabilmente le più incerte e le più dibattute della storia della repubblica
se si escludono quelle che elessero, nel 1980, Vigdís Finnbogadóttir,
prima donna al mondo a capo di stato a seguito di elezioni libere. Quella
elezione seguì le forti mobilitazioni delle donne islandesi che, nel 1975,
organizzarono il primo sciopero generale femminile per la parità salariale e,
su quella spinta, convinsero Finnbogadóttir a candidarsi rimanendo presidente
della Repubblica per tre volte consecutivamente.
Anche oggi, secondo tutti i
sondaggi, ad essere eletta sarà una donna. Nonostante la decina di
candidati alla carica presidenziale le favorite sono 3 e sono tutte donne:
Katrín Jakobsdóttir, Halla Tómasdóttir, Halla Hrund Logadóttir. Tra le tre candidate
solo Jakobsdóttir è una politica a tutto tondo essendo stata, per 7 anni, la
Presidente del consiglio della Repubblica, dimessasi ad aprile proprio per
concorrere alle elezioni di oggi.
La figura del presidente
della Repubblica in Islanda è simile a quella di altre democrazie
costituzionali: oltre a conferire l’incarico al presidente del consiglio ha il
potere di respingere proposte di legge del Parlamento e a sottoporle a
referendum popolare. Può anche proporre leggi e risoluzioni all’Alþingi (la
camera unica) anche se è una prerogativa che non è stata mai utilizzata.
La scelta di Katrín
Jakobsdóttir di lasciare la guida del governo dopo 7 anni è figlia sia del
consenso che riscuote la giovane politica eco progressista nel
paese ma, anche, della crisi del suo partito, Vinstri
græn (sinistra verde), in calo vertiginoso nei consensi dopo gli
ultimi 3 anni di governo con centristi e conservatori.
Le sue dimissioni hanno
portato proprio i conservatori del Partito dell’indipendenza a riprendere la
guida del paese e i rosso verdi a doversi accontentare
di tre ministeri (uno in più di prima) nel nuovo esecutivo.
Se, da un lato, la sinistra verde ha ceduto il passo all’opposizione
socialdemocratica che vola nei sondaggi, il consenso della loro ex leader
potrebbe portare una loro esponente alla guida della Repubblica.
Gli ultimi sondaggi
pubblicati ieri attribuiscono il 27% alla ex premier, tallonata da Halla
Tómasdóttir con il 18,5% e da Halla Hrund Logadóttir con il 18,4%.
Mentre Tómasdóttir è una business woman e nota oratrice, già candidata
alle presidenziali del 2016, Hrund Logadóttir è più giovane di
Jakobsdóttir ed è l’attuale direttrice dell’agenzia energetica statale. Fino a
qualche giorno fa alcuni sondaggi prefiguravano un testa a testa proprio da
Halla Hrund Logadóttir e l’ex prima ministra rosso verde.
Secondo il professore di
politica Eiríkur Bergmann la sfida presidenziale è
«entusiasmante». «Queste elezioni sono paragonabili a quando Vigdís
Finnbogadóttir fu eletta nel 1980» ha continuato il docente
universitario «ma si può anche dire che ora la tensione è ancora
maggiore». «Non ricordo niente del genere» ha concluso
Bergmann «anche se si guarda ben oltre l’ambito delle elezioni
presidenziali la sfida tutta al femminile è incredibile e racconta
una grande storia di sviluppo sociale del nostro paese».
nella foto: Katrín
Jakobsdóttir - Ap
* da il manifesto - 1
giugno 2024
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