Nello stagno della
politica italiana ieri ha fatto discutere un rapporto dell’Inapp secondo il
quale il 46% dei percettori del cosiddetto «reddito di cittadinanza» sarebbero
«lavoratori poveri». Secondo il presidente Inapp Sebastiano Fadda «si potrebbe
dire che basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi
lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori
del reddito di cittadinanza», cioè oltre 3,7 milioni di persone. Fadda inoltre
ha parlato di «qualità del lavoro, delle retribuzioni, della produttività e
della riduzione della precarietà».
All’angolo per la
sospensione della loro dirigenza disposta da un tribunale di Napoli ieri i
Cinque Stelle hanno colto solo una parte di questa riflessione contenuta
nell’indagine Plus su un campione di oltre 45 mila individui dai 18 ai 74 anni.
Hanno isolato la questione urgente del «salario minimo» dalla necessità di
cambiare radicalmente la legislazione che ha precarizzato la società, da quella
di aumentare i salari anche tramite la contrattazione. Politiche assenti
dall’orizzonte confuso e a termine del governo Draghi.
Ieri è giunta la notizia che il governo Scholz farà partire l’aumento a 12 euro
del salario minimo in Germania dal primo ottobre, mentre il governo Sanchez ha
preso un analoga iniziativa in Spagna. Tutto questo avveniva mentre c’era qualcun
altro che ha ricordato che la Commissione Europea ha annunciato una direttiva
sul salario minimo dalla quale però non si può attendere risultati miracolosi
in mancanza di una progettualità politica a livello nazionale.
Ascoltato il gran rumore
fatto dai loro alleati un altro partner della maggioranza Frankenstein si è
svegliato dal torpore draghiano: il Pd. Così è stato rilanciato un tavolo con
le «parti sociali» su contrattazione, rappresentanze imprenditoriali e
sindacali e salario minimo. Ma il problema è che nessuno lo fa, davvero. Dopo
tanti anni, nessuno ha pensato a calendarizzare un’iniziativa nelle commissioni
lavoro. Ieri qualcuno se ne è ricordato. Si tratterebbe però di verificare se
il Pd è d’accordo con la proposta dell’ex ministra M5S del lavoro Catalfo. Non
sembra proprio così. E ieri Sinistra Italiana si è detta disponibile al
confronto. Ma l’attuale ministro del lavoro Orlando ha ricordato che «questo è
un governo complicato. Fino a che ce la si fa con gli accordi, bene, ma se non
ce la facciano non escludo che prenderemo in considerazione l’ipotesi di
intervenire per legge».
Grazie all’Inapp ieri si è
scoperto che quasi la metà dei percettori del «reddito di cittadinanza» sono
«lavoratori poveri», non «fannulloni». Da questa misura condizionata, ristretta
dal governo, è stata esclusa la maggioranza dei lavoratori poveri. Ci si chiede
se non sia necessaria una sua estensione. Una misura pre-distributiva
gioverebbe a una politica salari. Se esistesse.
* da il manifesto
24 febbraio 2022
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