28 febbraio 2022

L’araba fenice del salario minimo


di Roberto Ciccarelli

Nello stagno della politica italiana ieri ha fatto discutere un rapporto dell’Inapp secondo il quale il 46% dei percettori del cosiddetto «reddito di cittadinanza» sarebbero «lavoratori poveri». Secondo il presidente Inapp Sebastiano Fadda «si potrebbe dire che basterebbe migliorare le condizioni retributive e lavorative di questi lavoratori per quasi dimezzare immediatamente l’attuale numero dei percettori del reddito di cittadinanza», cioè oltre 3,7 milioni di persone. Fadda inoltre ha parlato di «qualità del lavoro, delle retribuzioni, della produttività e della riduzione della precarietà».

All’angolo per la sospensione della loro dirigenza disposta da un tribunale di Napoli ieri i Cinque Stelle hanno colto solo una parte di questa riflessione contenuta nell’indagine Plus su un campione di oltre 45 mila individui dai 18 ai 74 anni. Hanno isolato la questione urgente del «salario minimo» dalla necessità di cambiare radicalmente la legislazione che ha precarizzato la società, da quella di aumentare i salari anche tramite la contrattazione. Politiche assenti dall’orizzonte confuso e a termine del governo Draghi.
Ieri è giunta la notizia che il governo Scholz farà partire l’aumento a 12 euro del salario minimo in Germania dal primo ottobre, mentre il governo Sanchez ha preso un analoga iniziativa in Spagna. Tutto questo avveniva mentre c’era qualcun altro che ha ricordato che la Commissione Europea ha annunciato una direttiva sul salario minimo dalla quale però non si può attendere risultati miracolosi in mancanza di una progettualità politica a livello nazionale.

Ascoltato il gran rumore fatto dai loro alleati un altro partner della maggioranza Frankenstein si è svegliato dal torpore draghiano: il Pd. Così è stato rilanciato un tavolo con le «parti sociali» su contrattazione, rappresentanze imprenditoriali e sindacali e salario minimo. Ma il problema è che nessuno lo fa, davvero. Dopo tanti anni, nessuno ha pensato a calendarizzare un’iniziativa nelle commissioni lavoro. Ieri qualcuno se ne è ricordato. Si tratterebbe però di verificare se il Pd è d’accordo con la proposta dell’ex ministra M5S del lavoro Catalfo. Non sembra proprio così. E ieri Sinistra Italiana si è detta disponibile al confronto. Ma l’attuale ministro del lavoro Orlando ha ricordato che «questo è un governo complicato. Fino a che ce la si fa con gli accordi, bene, ma se non ce la facciano non escludo che prenderemo in considerazione l’ipotesi di intervenire per legge».

Grazie all’Inapp ieri si è scoperto che quasi la metà dei percettori del «reddito di cittadinanza» sono «lavoratori poveri», non «fannulloni». Da questa misura condizionata, ristretta dal governo, è stata esclusa la maggioranza dei lavoratori poveri. Ci si chiede se non sia necessaria una sua estensione. Una misura pre-distributiva gioverebbe a una politica salari. Se esistesse.

* da il manifesto 24 febbraio 2022

Nessun commento:

Posta un commento