5 agosto 2021

Due interventi non banali del sociologo Luca Ricolfi sul DDL Zan

Ddl Zan, cavallo di Troia del politicamente corretto


23 Maggio 2021 - di Luca Ricolfi

Ho cercato di capire come funziona il ddl Zan e, poiché non sono un giurista né sono dotato di un’intelligenza prodigiosa, ho impiegato circa una settimana per ricostruire la ragnatela di norme che esso introduce, spesso modificando leggi precedenti e articoli del codice penale. Sono quindi assai stupito che tante persone, negli studi tv e nelle piazze, siano convinte di possedere delle opinioni su un oggetto che – nella stragrande maggioranza dei casi – semplicemente non conoscono.

La ragione per cui ciò accade è abbastanza semplice: siamo abituati a giudicare le leggi dalle intenzioni dei proponenti, anziché dagli effetti che verosimilmente sono destinate a produrre. E’ un grave errore, perché non è raro che intenzioni ed effetti divergano, tanto è vero che lo studio degli “effetti perversi” e delle “conseguenze non attese” dell’azione è uno dei filoni di studio più fecondi delle scienze sociali. Nel caso del ddl Zan le intenzioni paiono chiarissime, e sostanzialmente condivisibili: colmare una lacuna della legislazione esistente. La lacuna è che le leggi vigenti (e in particolare la legge Mancino) puniscono con particolare severità alcuni comportamenti motivati da ostilità nei confronti di razze, etnie, nazionalità, religioni, ma si dimenticano altri possibili moventi: sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità.

Messa così, come non essere d’accordo? L’unica obiezione che mi sentirei di sollevare è di natura logica: siamo sicuri che allungare la lista delle categorie protette sia la strada giusta? Si potrebbe osservare, ad esempio, che nella lista del ddl Zan mancano i barboni, spesso oggetto di cieca violenza. E, se uno dei fenomeni che si vogliono colpire è il bullismo giovanile, come non considerare che, nelle classi scolastiche, da sempre la crudeltà dei nostri amati bambini umilia i grassi, i secchioni, gli introversi? Non mi stupirei che, in futuro, il “legislatore” – questa figura mitica del discorso politico – si decidesse a novellare periodicamente le norme esistenti, aggiungendo di volta in volta, alle categorie da proteggere, nuove e sempre diverse sensibilità offese. Ma supponiamo, per un attimo, che la moltiplicazione delle categorie sovra-tutelate sia la strada giusta, e che la lista Zan sia completa. E torniamo alla domanda inziale: al di là dei fini dichiarati, sicuramente lodevoli, quali sono gli effetti prevedibili del ddl Zan? E’ su questi effetti, infatti, che si concentrano le critiche che, non solo da destra, sono state sollevate nei confronti del disegno di legge.

Una prima classe di critiche riguarda il restringimento dell’area della libertà di espressione, determinato non tanto dall’ampliamento delle categorie protette, ma dal fatto che a decidere se la manifestazione di un’idea, di un sentimento, di un’opinione sia o non sia reato, non potrà che essere la sensibilità del singolo giudice. Questo è già un problema oggi, vigente la legge Mancino, ma viene aggravato dall’articolo 4 del ddl Zan (Pluralismo delle idee e libertà delle scelte), secondo cui le idee si possono esprimere “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Qualcuno può credere che, sul giudizio di “idoneità” di un’idea a determinare il “concreto pericolo” di atti discriminatori, non influiranno pesantemente le idiosincrasie (e le idee politiche) del magistrato chiamato a giudicare?

Ma la classe di critiche più fondata, a mio parere, è quella che osserva che il ddl Zan non si limita ad allargare le tutele di determinate categorie, ma pretende di rieducare ideologicamente i reprobi (articolo 5), intervenire attivamente sui contenuti trasmessi dalla scuola (articolo 7), e persino di legiferare sul linguaggio (articolo 1), fissando e delimitando il significato di parole come sesso biologico, genere, identità di genere, ruolo di genere, orientamento sessuale. Che simili pretese possano determinare effetti aberranti credo sia evidente a (quasi) tutti. Ne abbiamo avuto un assaggio nelle linee guida gender apparse sul sito dell’Ufficio Scolastico del Lazio, poi precipitosamente ritirate (il titolo esatto era: “Linee guida per le strategie di intervento e promozione del benessere dei bambini e degli adolescenti con varianza di genere).

Questa seconda classe di critiche mette a nudo il vero punto debole del ddl Zan. Che non è di voler assicurare una protezione speciale a determinate categorie finora trascurate (obiettivo sensato, e condiviso anche dal centro-destra) ma di voler imporre alla società nel suo insieme il linguaggio, la visione del mondo e gli obiettivi educativi di una élite politico-culturale. Questo progetto, in forme più innocenti e ridicole, era già in atto negli anni ’80, quando Natalia Ginzburg, dalle colonne della Stampa e dell’Unità – con un coraggio e un anticonformismo che agli intellettuali di oggi difetta – denunciava il velleitarismo e l’ipocrisia del politicamente corretto. Ma nel corso degli ultimi anni ha assunto forme sempre più pervasive, condizionando pesantemente il mondo dell’informazione, della cultura, dello spettacolo, persino dell’economia, con l’effetto – presumibilmente non voluto – di allargare sempre più la frattura fra le parole dell’establishment e il comune sentire dei ceti popolari. Che sia questo il vero obiettivo del ddl Zan lo prova, in modo secondo me incontrovertibile, una comparazione filologicamente puntuale fra il testo finale (già approvato dalla Camera) e le proposte di legge che l’hanno preceduto, sempre a firma di Alessandro Zan. Se si ha la pazienza di leggere, ad esempio, il disegno di legge del 2013 (primi firmatari Scalfarotto e Zan) o la proposta di legge del 2018 (primi firmatari Zan e Annibali) si può notare, con enorme sorpresa, che tutto ciò che inquieta i critici attuali del ddl Zan semplicemente non c’è. Niente articolo 4 su “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”.  Nessuna pretesa di legiferare sul linguaggio. Nessuna pretesa di intervenire nelle scuole.

Ma c’è di più. Se andiamo alla sostanza, e lasciamo perdere la tecnica giuridica adottata (intervenire su leggi precedenti, o direttamente sul codice penale), scopriamo una cosa molto interessante: le due vecchie proposte Scalfarotto-Zan e soprattutto Zan-Annibali, sono del tutto esenti dalle critiche che oggi vengono rivolte al ddl Zan. E la proposta di legge del centro-destra (prima firmataria Licia Ronzulli) è decisamente più avanzata della proposta Zan-Annibali del 2018, che si era scordata dei disabili. Dunque la situazione è abbastanza chiara. Fino a un certo punto le principali proposte di legge si sono mosse in una direzione ragionevole, o quantomeno circoscritta all’obiettivo di estendere a nuovi soggetti tutele finora previste per un insieme troppo ristretto di situazioni e di categorie. Poi, non saprei dire perché, i proponenti hanno deciso di strafare, finendo per snaturare gli obiettivi originari. Il ddl Zan, anziché limitarsi a proteggere i deboli, è diventato un cavallo di Troia per imporre a tutti una particolare concezione del bene comune, dell’educazione, e persino degli usi appropriati del linguaggio. Il tutto semplicemente riscrivendo in Commissione Giustizia i testi originari, e senza un dibattito pubblico, come invece è avvenuto in altri paesi. Il minimo che si dovrebbe pretendere è che delle preoccupazioni dei cittadini (sulla libertà di espressione) e delle inquietudini delle famiglie (per l’educazione dei figli) si discuta apertamente, senza demonizzare nessuno. Perché la posta in gioco è alta, e nessuno ha il monopolio del bene comune.

Pubblicato su Il Messaggero del 22 maggio 2021

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Ddl Zan, perché Renzi non dice la verità?

18 luglio 2021- di Luca Ricolfi

Credo che la stragrande maggioranza dei cittadini non abbiano letto un solo rigo del Ddl Zan sull’omotransfobia. Cionondimeno, i sondaggisti parlano degli orientamenti dell’opinione pubblica nei confronti della nuova legge, già approvata alla Camera e ora all’esame del Senato, come se tali orientamenti avessero qualcosa di reale. E’ un grosso equivoco. Non perché – in generale – la gente non possa avere un’idea su una legge se non ne ha letto il testo, ma perché c’è legge e legge. Ci sono leggi su cui si può avere un’opinione fondata anche senza averle lette (le chiamerò leggi “sondaggiabili”), e leggi su cui non è possibile avere un’opinione fondata finché non se ne sono compresi bene i meccanismi interni (leggi “non sondaggiabili”).

Perché?

Perché ci sono leggi che, nel loro titolo, indicano anche i mezzi usati per raggiungere un dato fine, e ci sono leggi che indicano solo il fine, senza chiarire i mezzi usati per raggiungerlo. Una eventuale legge di semplificazione del sistema fiscale che introducesse una flat tax al 25%, ad esempio, è una legge sostanzialmente sondaggiabile, perché permette a ciascuno di farsi un’idea di quel che succederebbe se dovesse passare. La legge Zan per la “prevenzione e il contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” è invece una legge sostanzialmente “non sondaggiabile”, perché i fini sono chiari (e difficilmente contestabili) ma nulla lasciano indovinare sui mezzi impiegati per raggiungerli. La discussione sulla legge Zan è complicata per questo. Tutti ne conosciamo le finalità, quasi tutti le approviamo, ma non tutti siamo informati adeguatamente sui mezzi che la legge mette in campo per raggiungere i suoi fini. Su alcuni di questi mezzi (inasprimento delle pene per i crimini d’odio) c’è sostanziale accordo fra tutte le forze politiche, di destra, di centro e di sinistra. Ma su altri mezzi, invece, non tutti sono d’accordo. Le critiche più frequenti si appuntano su tre articoli.

L’articolo 1, che pretende di fissare il significato di termini come sesso, genere, identità di genere, orientamento sessuale, sancendo per legge la possibilità di scegliere il proprio genere in base alla percezione che ognuno ha di sé.

L’articolo 7, che – tra le altre cose – introduce una giornata nazionale “contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia”, senza prevedere alcuna esenzione per le scuole elementari, le scuole cattoliche, e più in generale gli allievi minorenni.

L’articolo 4, che limita la libertà di manifestazione del pensiero se le idee espresse appaiono (a un giudice) “idonee a de­terminare il concreto pericolo del compi­mento di atti discriminatori o violenti”.

La maggior parte delle proposte alternative al Ddl Zan, compresi gli emendamenti dei renziani, si concentrano su questi tre articoli, per sopprimerli o riformularli. Sull’articolo 1 si osserva, anche da parte di autorevoli esponenti del mondo femminista, che lasciare al singolo la libertà di definire il proprio genere può determinare conseguenze inique o pericolose per le donne, come quando detenuti maschi pretendono di trasferirsi nei reparti femminili asserendo di sentirsi femmine, o come quando, con la medesima motivazione soggettiva, atleti maschi pretendono di gareggiare con le donne. Per non parlare dell’accaparramento da parte dei maschi dei benefici del welfare riservati alle donne. Sull’articolo 7 si osserva che, stante che le credenze del mondo LGBT in materia di stereotipi di genere riflettono solo una delle tante possibili visioni del mondo, nulla assicura che la giornata contro l’omotransfobia non si tramuti, in parte o in tutto, in un tentativo di diffondere tali idee, in aperto contrasto con il comma 3 dell’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (“I genitori hanno diritto di priorità nella scelta del genere d’istruzione da impartire ai loro figli”.). Sull’articolo 4, infine, si osserva che l’articolo 21 della Costituzione prevede che l’unico limite alla libertà di espressione sia la contrarietà “al buon costume”, e che è estremamente pericoloso delegare a un giudice la valutazione della pericolosità di un’idea.

Conclusione. Tutte le principali proposte alternative al Ddl Zan, comprese alcune precedentemente formulate da Ivan Scalfarotto e dallo stesso on. Zan, sono altrettanto incisive nella loro capacità di reprimere i crimini d’odio, e molto superiori nella tutela della libertà di espressione e di insegnamento (oltreché nella protezione del mondo femminile).

Non capisco quindi come Renzi e gli esponenti di Italia Viva possano presentare le proposte alternative come “un compromesso” fra la perfezione immacolata del Ddl Zan e la rinuncia ad avere una legge contro l’omotransfobia. No, la realtà è che le proposte alternative, nella misura in cui meglio tutelano la libertà, sono migliori del ddl Zan da qualsiasi punto di vista ci si ponga, eccetto il particolarissimo punto di vista del mondo LGBT, che ha tutto il diritto di difendere e promuovere le sue idee e la sua visione del mondo, ma non ha alcun titolo per imporla a tutti.

Ecco perché mi auguro che, quando proporrà i suoi emendamenti, Renzi la smetta di nascondersi dietro i rischi del voto segreto, che potrebbe affossare “la migliore delle leggi possibili”, e trovi il coraggio per dire forte e chiaro che quel che Italia viva ed altre forze politiche propongono non è un compromesso al ribasso, ma un miglioramento sostanziale del Ddl Zan.

Pubblicato su Il Messaggero del 17 luglio 2021

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