31 luglio 2021

Trivelle: L’arbitrato internazionale su “Ombrina mare” verso la conclusione

Ambiente. L'arbitrato è iniziato nel 2017 e c'è la Rockhopper che accusa l'Italia di presunte violazioni all'Energy Charter Treaty (Ect). Il trattato, entrato in vigore nel 1998, prevede la protezione di "investimenti stranieri" in campo energetico, e la risoluzione di conflitti fra investitori e Paesi ospitanti


di Serena Giannico *

La compagnia Rockhopper Exploration ha annunciato ai propri investitori che l’arbitrato internazionale contro l’Italia in merito alla questione “Ombrina mare” si concluderà in questo mese, a luglio. La società britannica, con sede a Salisbury, nel Wiltshire, nel Regno Unito, prevede di ricevere compensi elevati dovuti alla mancata realizzazione, in Abruzzo, di una piattaforma petrolifera e di pozzi offshore, a pochi chilometri dalle spiagge della Costa dei Trabocchi, in provincia di Chieti.

Il progetto “Ombrina mare” prevedeva anche lo stazionamento, sul posto, di una Fpso, nave desolforante altamente inquinante, la cui fiaccola, sempre accesa, brucia-idrogeno solforato: essa sarebbe stata attiva 24 ore al giorno, tutti i giorni. Tutto è stato bloccato da una strenua lotta ecologista e da una decisa sollevazione popolare. “In una conferenza agli investitori – spiega Maria Rita D’Orsogna, ricercatrice e attivista abruzzese che lavora e vive negli Usa – Sam Moody, ceo Rockhopper, stima i costi sostenuti in circa 40-50 milioni di dollari, e i mancati profitti in circa 200-300 milioni di dollari”.

L’arbitrato è iniziato nel 2017 e c’è la Rockhopper che accusa l’Italia di presunte violazioni all’Energy Charter Treaty (Ect). Il trattato, entrato in vigore nel 1998, prevede la protezione di “investimenti stranieri” in campo energetico, e la risoluzione di conflitti fra investitori e Paesi ospitanti. “Nei decenni passati – fa presente D’Orsogna – l’Ect e’ stato fortemente criticato da organizzazioni non governative europee per essere troppo favorevole alle multinazionali oil & gas, e per fare troppo poco per difendere residenti, consumatori e ambiente. “Ombrina” – aggiunge – non fa eccezione. Il triumvirato che compone l’arbitrato è stato finora poco trasparente e non ha coinvolto la gente d’Abruzzo che ha eroicamente difeso e protetto i propri mari dall’ecomostro”.

Ma chi sono i tre giuristi coinvolti? Il presidente è Klaus Reichert, tedesco-irlandese. Insieme a lui c’è un arbitro nominato dalla Rockhopper, Charles Poncet, svizzero, e uno dal Governo italiano, Pierre-Marie Dupuy, francese. “Nessuno di loro – spiega D’Orsogna – ha sentito l’esigenza di visitare i luoghi dove “Ombrina” sarebbe dovuta sorgere, di sentirne la storia e di capire l’immenso movimento popolare che l’ha contestata e fermata. Evidentemente per loro, e per Rockhopper, “Ombrina” e l’Abruzzo sono concetti astratti legati al business. Dei tre – prosegue la ricercatrice – il più pro-petrolio è Poncet, ex dirigente della Cms, mega società composta da 4.000 avvocati specializzata in supporto legale alle ditte oil and gas in tutto il mondo. Al momento delle sue dimissioni da Cms per dedicarsi agli arbitrati internazionali, nel 2017, Poncet ha dichiarato di farlo perché c’erano “troppi” conflitti di interesse. Tutto questo non ispira fiducia di imparzialità”.

Denuncia D’Orsogna: “Secondo la Corporate Europe Observatory, non-profit europea che sottolinea spesso la mancanza di neutralità dell’Ect, quando Poncet è stato selezionato dalla Rockhopper gli investitori hanno esultato dicendo che con lui vincere sarebbe sarebbe stata “una passeggiata nel parco”. Non sappiamo che linea difensiva l’Italia abbia preso, – evidenzia – ma certo è che nel 2014, quando Rockhopper ha acquistato “Ombrina mare”, avrebbe dovuto essere pienamente consapevole dei rischi economici associati e del quadro legislativo in perenne mutazione. Dopotutto c’era già stata la legge del 2010 che aveva fermato l’iniziativa. Un investimento è sempre un rischio e investire, come ha fatto Rockhopper, con un intero popolo contrario, è un rischio grande. Può andar bene, può andar male. È la regola numero uno dell’investire. Se la multinazionale ha perso soldi con “Ombrina” non è colpa dell’Italia. È perché si è stupidamente ostinata a perseguire trivelle che nessuno voleva, producendo impatti ambientali superficiali e pieni di errori, ignorando la vox populi. Bastava leggere la stampa locale, i tanti blog e anche solo… affacciarsi in Abruzzo per rendersi conto che “Ombrina” si profilava come pessimo affare”.

“Comunque vada a finire – conclude D’Orsogna – resta la soddisfazione di aver protetto i nostri mari, la nostra dignità, e di aver dato una lezione di democrazia, anche al misterioso triumvirato. Non siamo (ancora!) diventati distretto minerario e questo non ha prezzo”.

* da il manifesto - 4 luglio 2021

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