26 agosto 2021

Declino dell’Occidente: le tre crisi che richiedono idee nuove

 di Massimo Marino

Ci mancava Kabul per completare il quadro di chi parla di declino dell’Occidente. Un’ estate così miserabile, così triste, così apocalittica in qualche momento, non me la ricordo. Che si guardi al Pianeta o che si guardi solo al nostro modesto ombelico italiano sembra di assistere ad una marcia funebre. Disastro climatico, disastro sanitario, disastro migratorio

Disfattismo? Eccesso di imbelle pessimismo? Non mi sembra. Anzi, per quanto mi riguarda penso che non sarebbe mai tardi per darci una mossa. Di fronte alle tre crisi continuo a pensare:

- Che ne vanno studiate in modo meno superficiale le ragioni e indicati i responsabili. Oggi non è così.

- Che vanno approfonditi i modi di uscirne, ponendo obiettivi concreti, efficaci e ragionevolmente ottenibili, invece dei blabla da social club. Oggi non vedo proposte adeguate.

- Che si debbano cercare le forme di aggregazione sociale, solidale, organizzata e dotata di quelle leadership plurali che servirebbero per affrontare le crisi. Impegno realizzabile ma oggi vedo modesti narcisi, non idee né protagonisti adeguati al compito.  

La crisi climatica

Dalla COP 21 (Conferenza delle Parti di Parigi, novembre 2015) sono passati quasi sei anni e la COP 26 (Glasgow, organizzatori UK e Italia, novembre 2021) constaterà inevitabilmente che gli impegni, a suo tempo già dichiarati non adeguati da molti, non sono stati presi seriamente quasi da nessuno. Praticamente la gran parte dei paesi (non sanzionabili in alcun modo se non lo fanno i loro elettori) sono lontani dagli obiettivi e le azioni promesse non sembrano in corso. I pre-colloqui di COP 26 girano a vuoto su tre argomenti:

1)    Scaricare le colpe: è’ tutta colpa di Cina e India. Fingendo di dimenticare i consumi unitari di fossili e le emissioni di gas serra dell’Occidente, cioè USA ed Europa, che sono di gran lunga i maggiori e la vera causa della crisi. Un cittadino americano consuma circa otto volte il consumo medio individuale calcolato sull’intera popolazione del pianeta.

2)    Introdurre mediaticamente il concetto di irreversibilità (alcuni fenomeni naturali sarebbero ormai irreversibili quindi mettiamoci l’anima in pace e tiriamo avanti) senza approfondire troppo le conseguenze di questa grave rinuncia a mantenere gli impegni.

3)    Mettersi d’accordo su quanti soldi l’Occidente è in grado di impegnare in funzione anticrisi e sulle condizioni per garantire che siano sempre le stesse multinazionali dei fossili e dell’automotive e i loro cugini delle banche e della finanza a ottenere a loro favore questi soldi.


 Dal 2015 non c’è stato nessun atto concreto per invertire seriamente il flusso di estrazione e consumo di fossili. Nel mondo anzi l’estrazione di petrolio, metano e carbone ha continuato ad aumentare all’incirca del 2% all’anno. In alcune aree dell’Occidente europeo una modesta parte del carbone è stato sostituito dal gas metano. In pratica ad oggi i cinque appuntamenti annuali COP degli ultimi anni si sono rivelati una montagna di chiacchiere come d'altronde in più occasioni ci ha ricordato Greta Thumberg. La situazione italiana dal 2014 (governi Letta, Renzi, Gentiloni, Conte1-2, Draghi) rispecchia perfettamente questa situazione di immobilità del modello energetico.

Invece di diminuire, le emissioni annuali di CO2 nel mondo sono rimaste stabili (con lievi aumenti in alcuni anni) dal 2015 al 2019, quando hanno raggiunto i 33 miliardi di tonnellate. Soltanto il Covid nel 2020 ha portato ad una riduzione di quasi il 6% sull'anno precedente.

La concentrazione di CO2 in atmosfera era di 400 ppm all’epoca di COP 21 nel 2015. Nel novembre del 2019 è stato annunciato il nuovo preoccupante record: 410 ppm. Squilibri metereologici, siccità e inondazioni, proliferazione degli incendi spontanei e dolosi in varie parti del pianeta, sono le evidenti conseguenze della assenza di fatti nuovi.  L’unica vera novità sembra essere la costatazione che le previsioni da tempo annunciate sul deterioramento del clima in mancanza di drastici interventi si stanno rivelando inaspettatamente imprecise. La velocità della crisi sembrerebbe essere molto maggiore di quanto previsto. Ho in più occasioni parlato di generazione cento, intendendo i nati dall’inizio dell’anno 2000 che nel corso di questo intero xxi° secolo vivranno i pesanti effetti di questa crisi. Per certi versi potrei essermi sbagliato per eccesso di ottimismo e la crisi sarà forse vissuta in pieno già nella prima metà del secolo anche da quella parte di nati nel dopoguerra del secolo scorso più longevi. I primi annunci sono ormai evidenti.

Nell’ultima parte di un mio precedente intervento (qui) ho indicato obiettivi realistici ed essenziali della transizione indispensabili per invertire la rotta. In sintesi:

- uscire dall’era dell’auto (che non vuol dire eliminarle ma almeno dimezzarne l’uso in termini di km/persona/anno ) spostando la mobilità, dove non è possibile andare a piedi o in bicicletta, su reti pubbliche metropolitane nelle principali città.  Per l’Italia servono 1000 km di rete cioè 4-5 volte quella esistente. Progetto fattibile entro 10-15 anni.

- dimezzare i consumi di carne combattendo il modello alimentare che alimenta emissioni, impoverimento del suolo, diffusione dell’obesità. La scuola è probabilmente la prima linea per riorientare i comportamenti su come e cosa mangiare.

- riformare i modelli di costruzione o ristrutturazione delle abitazioni sia attraverso la protezione naturale sia con apparati tecnologici per schermarci dall’insolazione estiva diretta ed evitare così il condizionamento, sia usando tetti e superfici per il fabbisogno energetico per il  riscaldamento e per le utenze elettriche, ottenendolo da rinnovabili attraverso pannelli e altre tecnologie. In Italia abbiamo almeno 15 milioni di tetti di abitazioni e capannoni utilizzabili di cui molto meno del 10% sono coinvolti da interventi a fini energetici.

La crisi sanitaria   

A 18 mesi dalla comparsa ufficiale del Covid nel mondo si fanno strada valutazioni che ritengono che forse non ne stiamo uscendo affatto, che non bastano le vaccinazioni e che per uscirne ci vorranno anni. In Italia come in altri paesi stiamo cercando in realtà di non far collassare le strutture ospedaliere e trovare un equilibrio fra il numero di ammalati e di morti e la continuità delle attività economiche. Che è cosa diversa da una strategia di eradicamento del covid. Fra gli altri trovo chiaro e sintetico il punto di vista recente del sociologo Luca Ricolfi (qui e qui).

 A due mesi dalla comparsa del Covid nell’aprile 2020 lo psicologo spagnolo Tomas Pueyo pubblicò due lunghi interventi (ne parlai qui), ricchi di dati e tabelle riguardanti vari paesi, nei quali in  sintesi si sosteneva che “il balletto” con il coronavirus sarebbe durato a lungo nel mondo e che solo con rapidi, brevi ma durissimi lockdown, accompagnati da altrettanto rigide procedure di comportamento ( mascherine, distanziamento, tracciamento e rigido isolamento dei positivi )  in attesa di cure e/o vaccini davvero efficaci, avremmo limitato i danni. Gli interventi di Pueyo, tradotti in decine di lingue, sono stati letti da molte decine di milioni di persone nel mondo, fra le quali non sembrano esserci in Italia né i promotori entusiasti delle campagne provax (alcuni dei quali ad aprile 2020 sostenevano che entro 3-6 mesi ci sarebbe stato  il vaccino che avrebbe risolto tutto, né quelli delle campagne novax (nelle mille sfumature da “il virus non esiste” a “i vaccini portano malattie” fino a “è solo un influenza” oppure “i morti sono finti “). L’approccio sensato di Pueyo è rimasto pressoché ignorato; nelle centinaia di dibattiti e interventi che ho seguito in 18 mesi non ho mai sentito citare da politici, esperti o contestatori le riflessioni, tutt’oggi assolutamente attuali, di Pueyo.

Va detto infatti che non c’è stato nessun vero lockdown in Italia nella primavera del 2020 in particolare nelle aree industriali del nord. A fine aprile 2020 quotidiani regionali indicavano che in Veneto almeno 15mila aziende avevano “derogato” di fatto ai decreti continuando la propria attività sulla base di un singolare criterio di silenzio-assenso prefettizio. In Lombardia le deroghe di fatto sono state almeno il doppio. Si tratta solo di esempi ma determinanti per la tragedia lombardo-veneta durata almeno 12 mesi e concause della cosiddetta seconda e terza ondata di contagi. Ricordo anche il fallimento di Immuni e di una seria azione di tracciamento-isolamento in buona parte mancata in varie zone del paese. Infine, ricordo i festeggiamenti romani per i successi mondiali del calcio italiano, il rave musicale recente sospeso solo dopo una settimana quando era finito, quanto si profila dopo la riapertura nel passato weekend degli stadi di calcio con l’avvio della serie A (27mila persone nello stadio romano sedute, accalcate, urlanti per almeno due ore). Facciamo finta che ne stiamo uscendo appellandoci a san gennaro, alle vaccinazioni o ad un protocollo di cura certificato e fra qualche mese si vedrà.

Dichiarazioni contraddittorie, desolante strumentalizzazione politica, protagonismo immeritato quanto incompetente di governatori di vario colore, hanno progressivamente indebolito la credibilità delle iniziative e allentato i comportamenti individuali che sono il principale strumento di difesa. Comportamenti di una consistente minoranza ai quali la variegata nebulosa novax ha fornito una deleteria giustificazione.

Che la difficoltà a mettere sotto controllo il virus sia diffusa a quasi tutte le latitudini del pianeta non è alibi per tacere alcuni nostri errori e soprattutto non promuovere quella necessaria riorganizzazione delle strutture sanitarie, che era tema rilevante già prima, ma che non riesce ad emergere neanche oggi come tema prioritario e urgente.

Al di là del Covid il settore della salute e sanità (pubblica e privata) è un grande imbuto che accoglie risorse economiche enormi, addirittura difficili da misurare. La sanità pubblica (aziende, ospedali e ps, ambulatori, medicina generale di famiglia, pediatri, assistenza domiciliare, guardie mediche, farmaci mutuabili e ricerca interna) assorbe annualmente circa 120 mld (dati 2020, legge di bilancio pre-covid). In realtà almeno un terzo di questa spesa attraverso le convenzioni viene ormai dirottata al privato. In aggiunta la spesa privata fatta direttamente dalle famiglie che ne hanno la possibilità è di circa 40 mld compresa parte dei costi per RSA, mutue e fondi assicurativi. In valori reali i dati della spesa pubblica sono pressoché stabili o lievemente in crescita negli ultimi 20 anni anche se la composizione interna è mutata (da qui la diffusa opinione sui “tagli alla sanità”): diminuzione delle spese per il personale (data in primis dal blocco del turnover) e aumento dei consumi intermedi (spesa per i farmaci ordinari e per malattie rare). L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (legge 833 del 1978) introducendo l’assistenza sanitaria per tutti con abolizione delle mutue professionali e poi  l’affido delle competenze alle Regioni, è stata una riforma storica, per vari aspetti esemplare nell’intero occidente. Ha dovuto fare i conti progressivamente con la sostenibilità economica, con i fenomeni corruttivi e clientelari, con la pesante interferenza degli interessi privati.

Le due riforme correttive, la prima basata sulle Aziende, considerate la strada giusta per ridurre i costi (legge 502/1992), la seconda invece puntando sulla Razionalizzazione dei costi dei servizi offerti (legge 229/1999) hanno progressivamente trascurato i servizi territoriali e la necessità di fare rete fra scuola, assistenza, ambulatori, medici di famiglia e le strutture maggiori, le aziende ospedaliere e il pronto soccorso.

L’attenzione dei media sulla presunta sfida fra il sì e il no ai vaccini. Lo scarso interesse alle possibili alternative di cura per il covid e la mancata definizione di seri protocolli ufficiali. Lo strabordare di numeri quotidiani privi di significato dove non si rispetta neanche la matematica elementare basata su contagi, ricoveri in terapia intensiva, decessi, che andrebbero espressi sulla popolazione di uno Stato o una Regione e non in valori assoluti. La valutazione dei dati quotidiani grezzi che invece andrebbero espressi almeno come andamento giornaliero visualizzato in media mobile a sette giorni. Un modo ciarlatano, distorto, di fare informazione strampalata.

Tutto ciò ha diffuso qualunquismo e sfiducia e consolidato una consistente minoranza che in fin dei conti ritiene che il peggio è passato, che il vaccino non è indispensabile e che non vale la pena mantenere le precauzioni di base, ignorando che nella gran parte del pianeta il virus è ancora in espansione, le vaccinazioni sono privilegio per pochi e sulle cure alternative c’è molta incertezza o disimpegno.

Se nell’immediato non abbiamo altre possibilità che completare il primo ciclo vaccinale non possiamo ignorare che tutto ciò ha allentato tragicamente i comportamenti individuali e l’efficacia del tracciamento mentre  ostacola il procedere di un dibattito sulla necessità di rivedere i capisaldi del nostro sistema sanitario e della qualità della salute. Non riusciamo ad andare più in là dell’idea che l’unica eventuale riforma si basi solo sull’aumento più o meno alto della spesa annuale da mettere in bilancio. Si veda il dibattito strumentale sul MES sanitario.

Accenno qui solo con qualche battuta alle convinzioni che mi sono fatto su come si debba ricentrare l’impegno sulla salute aggiornandolo al nuovo secolo di fronte alle tre crisi di cui qui si parla.

1)    È necessario aumentare il livello di salute di base delle nuove generazioni (che viene prima della cosiddetta prevenzione) nell’arco della scuola primaria e secondaria (circa 6-18 anni) introducendo una nuova materia specifica comune a tutti i gradi di istruzione (salute-alimentazione-clima-conversione ecologica) ad esempio raddoppiando le 33 ore recentemente reintrodotte per la cosiddetta educazione civica-ambientale. Tutta la popolazione giovane, compresi i giovani immigrati, attraverso le strutture scolastiche e combattendo la dispersione deve praticare una attività sportiva idonea in modo costante e  pressoché gratuito, con l’introduzione anche del medico scolastico a livello di distretto. Riflettere in modo pratico su come mangiare, come consumare e riciclare, come muoversi e come vivere in casa. Non parlo della solita generica lagna ambientalista diffusa in qualche scuola senza lasciare tracce, ma di imparare a praticare comportamenti nella vita quotidiana concreti, creativi, sostenibili. Ci sono già esempi nati dalla iniziativa individuale di insegnanti virtuosi.

2)      Il baricentro dell’assistenza sanitaria deve spostarsi dagli ospedali (il cui numero in Italia forse deve diminuire non aumentare) a nuove sedi di ambulatori attrezzati di zona che raccolgano al loro interno in un'unica struttura tutto quello che in buona parte già esiste (medici di famiglia da riconvertire, laboratori di analisi, fisioterapie, assistenza domiciliare, guardie mediche, assistenza sociosanitaria comunale, affiancati da una piccola rivendita di farmaci urgenti). Queste strutture di zona dotate di una esile presenza infermieristica e delle apparecchiature strumentali e di analisi meno complesse devono essere in funzione H24 per sette giorni alla settimana e tranne eccezioni estreme devono filtrare e lavorare in rete con gli ospedali riducendo drasticamente gran parte dell’attività dei Pronto Soccorso Ospedaliero. Garantendo assistenza adeguata a qualunque ora di giorno e di notte con un mini-ticket per le visite e con la disponibilità immediata dei farmaci più comuni.

  La crisi migratoria

Della crisi migratoria noi conosciamo in fin dei conti una minuscola frazione attraverso l’eco mediatico (a fasi alterne a seconda della maggiore o minore assenza di altre notizie) e la visione di qualche singolo fotogramma, quello dei barconi, degli sbarchi e in qualche caso l’eco dei morti in mare. Per lo più prevale l’uso interno del tema che si presta bene per ogni campagna elettorale.  

Milioni di profughi da guerre locali e crisi ambientali sono invece ammassati per lo più lontani da noi.

Di quella minoranza che arriva ai nostri confini, in parte consistente fatta oggi dai cosiddetti migranti economici, non conosciamo le storie né di un attimo prima né di un attimo dopo l’avvistamento in mare e lo sbarco. Del prima e del dopo dei migrati, come degli scafisti, degli organizzatori dei barconi, del centinaio di gruppi e gruppetti criminali che gestiscono l’affare, compreso lo sfruttamento successivo dei migrati (specie delle donne) solo pochi validi cronisti d’inchiesta tentano di gettare una luce. Il più è fuffa mediatica e agitprop politica fra i cosiddetti razzisti e antirazzisti. Ho in più occasioni sostenuto (es qui) che non mi entusiasmano né gli uni né gli altri. Difficile capire se creano più problemi i comportamenti di Salvini o quelli di Carola Rackete pur considerando che entrambe le posizioni hanno alcune sacrosante ragioni ma pochissime idee su come affrontare come società e come istituzioni il problema nella sua oggettiva complessità.

Bisogna sradicare qualunque forma di immigrazione clandestina o irregolare (dal mare, da terra, dal cielo o attraverso i visti turistici), chiudere i porti  e cancellare gli scafisti, in particolare quella parte più organizzata come banda criminale che agisce sull’arco africano, mediorientale e in parte asiatico. Il Mediterraneo è come un pozzo il cui fondo è collegato ad una immensa falda acquifera. Se con un secchio tiri fuori dal pozzo qualcuno e poi te ne disinteressi svuotando il secchio per terra, semplicemente rinnovi il livello del pozzo con acqua nuova pressoché all’infinito. Si tratta quindi di fare in modo meno disastroso tutto quello che è possibile fare. Né il salvinismo né il racketismo ci sono molto utili.

Lo Stato deve sostituirsi agli scafisti, aprendo canali di immigrazione diffusa, regolata, permanente, aprendo l’iscrizione a liste di immigrazione in tutti i principali paesi (a partire da ambasciate e consolati) in particolare quelli nelle aree o a ridosso di aree coinvolte da guerre o calamità. Chiamiamoli corridoi umanitari permanenti. Esistono già da alcuni anni pochi esempi praticati da alcune associazioni cattoliche con un minimo supporto del ministero competente. Molti italiani sono a conoscenza di questo nome soltanto da pochi giorni a causa dei voli di profughi da Kabul che però hanno caratteristiche emergenziali mentre i corridoi umanitari dovrebbe diventare la forma principale, stabile e permanente di immigrazione programmata e legittima. Ad esempio si potrebbe iniziare portando a termine davvero il progetto di svuotare con un ponte aereo o navale i luoghi di detenzione libici dove vengono reclusi migliaia di migranti di diversa provenienza, invece di rifinanziare la guardia costiera libica come fatto dal Parlamento a metà luglio.  Aprendo una intensa battaglia per imporre all’intera UE questo metodo che mi sembra la sola Merkel abbia in qualche modo compreso nel caso dei siriani. Organizzare forme regolari di immigrazione, sbarrare la via a qualunque forma di immigrazione irregolare, organizzare le strutture di integrazione indispensabili (abitazione, scuola, aggiornamento culturale, canali di indirizzo lavorativo) è sicuramente un impegno ingente ma non ha nulla di impossibile. Peraltro, è meno strumentalizzabile da quelle forze xenofobe che in fin dei conti dalla irrisolta situazione attuale hanno tutto da guadagnare.  

*

Che si condivida o no queste proposte, che se ne privilegino altre simili o decisamente diverse, credo che non si possa evitare di mettere in primo piano la drammatica assenza di protagonisti organizzati del cambiamento. In Italia per una decina di anni molti di noi (io per primo) si sono affidati, magari senza particolari entusiasmi, alle possibilità di cambiamento data dal singolare successo del Movimento 5Stelle in un deserto culturale e politico in cui né la nebulosa vagamente ambientalista, tantomeno i rimasugli della cosiddetta sinistra producevano altro che frammenti insignificanti di idee, di progetti, insieme a leader inadeguati alla sfida. Tant’è che oggi ne l’ecologismo né la sinistra del passato sono in grado di proporre al paese un qualunque progetto in grado di superare il consenso di più del 2-3% degli elettori. La comparsa della tenerissima quindicenne Greta Thumberg, che ha messo in campo anche da noi migliaia di giovanissimi, ci ha dato nuove speranze ma non si capisce che altro le potremmo chiedere adesso che è diventata diciottenne e continua a denunciare che non sta cambiando nulla. Le due nuove sigle che si sono così aggiunte nel campo ambientalista (Friday For Future e Extinction Rebellion) almeno in Italia sono rapidamente diventate gruppuscoli, due delle tante siglette in aggiunta a Greenpeace, Legambiente, WWF, etc.. etc.. . Il nuovo partito (tale dovrebbe essere) di Conte, che dovrebbe nascere sulle ceneri di quel che resta dei grillini, non ha ancora deciso in modo definitivo se sarà un terzo polo radicale collocato al centro della scena politica e culturalmente autonomo da tutti, o un altro gregario del cosiddetto campo progressista candidandosi in questo caso ad una rapida dissoluzione al primo appuntamento elettorale.

Eppure, dalla società italiana in più occasioni è emersa una chiara maggioranza (certo senza padri e riferimenti), disponibile ad un radicale cambiamento sociale.  A parte il lontano referendum antinucleare del novembre 1987 ricordo i referendum del giugno 2011 (acqua pubblica, beni comuni, di nuovo no al nucleare), il sorprendente successo grillino delle elezioni politiche del febbraio 2013, il rifiuto della riforma costituzionale di Renzi (dicembre 2016), la debacle dei vecchi partiti di destra e sinistra rottamati nelle elezioni politiche del marzo 2018.

Nel resto dell’Europa siamo all’immobilismo più totale. Le elezioni in Germania di settembre difficilmente vedranno una nuova leadership fuori dal campo CDU-SPD insieme all’uscita di scena della Merkel, forse l’unico vero leader europeo. Gli altri paesi più rilevanti preannunciano eventuali nuove leadership ancora più desolanti di quelle attuali: Boris Johnson, Pedro Sanchez, Emmanuel Macron.

Davvero possiamo sopportare di affrontare le crisi che incombono con questo scenario desolante rassegnandoci all’idea che non si possa fare nulla per cambiarlo?

nelle foto: 1) c’era una volta un lago 2) condizionatori, dal video musicale Crow (Forest Swords) 3) panorami, dal video musicale  Gosh (Jamie XX)

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