Alla fine,
non c’è stata nessuna sorpresa. Il 14 dicembre 2020 i grandi elettori, i
delegati che scelgono formalmente il presidente degli Stati Uniti sulla base
del voto popolare, si sono riuniti nei rispettivi stati e hanno assegnato la vittoria a Joe Biden. Questo dopo che i tribunali
avevano respinto le denunce di brogli presentate da Donald Trump. Il sistema,
insomma, ha retto alla minaccia di un presidente uscente che fa di tutto per
restare aggrappato al potere. Ma questo non vuol dire che gli Stati Uniti non
pagheranno un prezzo per il caos delle ultime settimane.
Alla lunga le istituzioni non possono sopravvivere se metà dei politici e degli
elettori considera gli avversari come una minaccia alla propria sopravvivenza.
Gli Stati Uniti sembrano scivolare verso questo scenario. Di recente il Partito
repubblicano dell’Arizona ha mandato un’email ai suoi sostenitori chiedendo se sono disposti a
morire per ribaltare il risultato delle elezioni, e i grandi elettori si
sono dovuti riunire in un luogo segreto per timore di attacchi. In
Wisconsin i delegati sono entrati nell’aula da una porta laterale. Peggio
ancora, il rifiuto di Trump di accettare la sconfitta è ormai una pratica
comune tra i repubblicani: un mese e mezzo dopo le elezioni locali, in alcuni
stati i candidati conservatori non hanno ancora accettato la vittoria degli avversari democratici, con le
stesse argomentazioni del presidente uscente, anche in distretti dove la loro
sconfitta era ampiamente prevista. Naturalmente non pensano davvero di poter
ribaltare l’esito del voto, ma la strategia è più ambiziosa e pericolosa:
delegittimare in modo preventivo le amministrazioni democratiche a tutti i
livelli e mandare in crisi l’intero il sistema.
( da Americana, La newsletter sugli Stati Uniti a cura di Alessio Marchionna -20 dicembre 2020 su internazionale.it)
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