25 dicembre 2020

Orsi bianchi, alci, lupi e caribù dell’Alaska aspettano che il climate change ribalti Trump

 di Giuseppe Sarcina *

Petrolio da una parte; orsi polari e renna caribù, dall’altra. Il 17 agosto scorso l’amministrazione di Donald Trump ha completato le procedure per autorizzare le perforazioni in una parte dell’Arctic National Wildlife Refuge, proprietà del governo federale di Washington. L’asta per assegnare le licenze è prevista per metà gennaio, probabilmente poco prima del 20, quando Joe Biden presterà giuramento come 46° presidente degli Stati Uniti. L’area sdoganata è grande più o meno come la Calabria: 6.070 chilometri quadrati che si estendono lungo la costa Nord-Est dell’Alaska, dove la geografia degli umani cede il passo alla natura più selvaggia, più remota, più intatta.

L’Arctic National Wildlife Refuge ha resistito trent’anni agli assalti di lobbisti e petrolieri. In chiusura di mandato The Donald sembrava essere riuscito ad aprire la breccia decisiva per devastare la riserva. Ora però si prepara l’ennesimo colpo di scena. Per mano del neo presidente Biden? Piuttosto per il petrolio ai minimi.

È la casa degli orsi bianchi, bruni e neri. Una riserva eccezionale per la biodiversità: oltre 200 specie di uccelli; otto differenti mammiferi marini; i lupi; il bue muschiato; le alci e, soprattutto, centinaia di migliaia di renne che migrano in questo lembo di Artico per riprodursi. Per migliaia di anni l’ecosistema è rimasto immutato, con qualche tribù di nativi a fare sostanzialmente da comparsa. Dal 1960 le istituzioni locali, con un accordo bipartisan, si sono sempre impegnate a tutelare l’ambiente.

* da pianeta 20/21 ( corriere della sera) 23 dicembre 2020

Nella foto: Renne caribù nell’Arctic Wildlife National Refuge. La loro migrazione è una delle principali attrazioni per il turismo permesso nell’area. Non ci sono praticamente strutture di accoglienza, a parte pochi rifugi

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