15 novembre 2020

USA: Un nuovo clima

( di Alessio Marchionna, dalla newsletter della redazione di Internazionale).

Joe Biden sarà un presidente diverso dal suo predecessore, su questo non ci sono dubbi. Per sapere quanto diverso dovremo aspettare ancora un po’, ma si può immaginare che appena entrato alla Casa Bianca farà subito tre cose per prendere le distanze da Donald Trump: mettere in atto una strategia sensata e responsabile per gestire la pandemia; cancellare i decreti che hanno reso molto difficile entrare legalmente negli Stati Uniti; e, infine, si impegnerà a contrastare la crisi climatica. L’ultimo punto è il più importante, perché riguarda il futuro del pianeta. La domanda è: le decisioni di Biden avranno degli effetti significativi?


Negli ultimi vent’anni gli Stati Uniti hanno avuto almeno quattro politiche diverse sul clima. A fine anni novanta, quando Bill Clinton era presidente, ratificarono il protocollo di Kyoto, il primo trattato globale sulle emissioni, ma ne uscirono appena George W. Bush diventò presidente. Poi arrivò Barack Obama, che mise la lotta ai cambiamenti climatici in cima alla lista delle sue priorità. E infine Trump, che ha portato il negazionismo climatico al governo. Secondo il New York Times è questa l’impronta più profonda che il presidente uscente si lascerà alle spalle e la più difficile da cancellare per Biden. Soprattutto se, come sembra probabile, non avrà il senato dalla sua parte.

Molte delle leggi e delle regole per la protezione dell’ambiente che Trump ha abrogato potranno essere reintrodotte facilmente dal suo successore, e gli scienziati sostengono che sarà possibile riparare al grosso dei danni fatti all’aria, ai terreni e alle falde acquifere. “Il problema è che l’inquinamento causato dai gas serra è cumulativo, quindi l’aumento delle emissioni avvenuto negli ultimi quattro anni produrrà effetti per decenni”. A questo si aggiunge il fatto che la presidenza Trump è arrivata in una fase molto pericolosa della crisi climatica. “Le emissioni globali sono molto più alte rispetto a dieci, venti o trent’anni anni fa, quindi ogni anno sprecato da Trump ha conseguenze ben peggiori rispetto a un anno sprecato da Ronald Reagan, da Bush o da Clinton”. La buona notizia è che oggi tutto il mondo è più consapevole della gravità della crisi climatica – come dimostrano i piani annunciati da Unione europea e Cina per azzerare le emissioni nette di anidride carbonica – e la leadership degli Stati Uniti non è più indispensabile.

Farsa pericolosa

Tornando al presente, Donald Trump sarà il presidente degli Stati Uniti per altre nove settimane, e per ora non sembra voler lasciare il suo posto a Biden. Per restare aggrappato al potere le sta provando tutte, trascinando il suo partito, e tutto il paese, in una situazione inedita che oscilla tra la farsa e una possibile crisi costituzionale. Prima la richiesta di ricontare i voti negli stati dove Biden ha vinto con un margine ridotto, che non porterà da nessuna parte (senza contare che in Pennsylvania, lo stato che ha determinato la sconfitta di Trump, non ci sarà riconteggio perché il vantaggio di Biden è sopra lo 0,5 per cento). Poi le denunce di brogli elettorali presentate in vari tribunali statali, così infondate che i giudici le hanno respinte all’istante, anche con un certo fastidio.

E ora i collaboratori del presidente starebbero esplorando una possibilità estrema: tirarla per le lunghe con i ricorsi fino all’8 dicembre, quando gli stati dovranno scegliere i loro grandi elettori che poi eleggeranno formalmente il presidente, e a quel punto convincere alcuni parlamenti statali a nominare grandi elettori favorevoli a Trump negli stati in cui ha vinto Biden, andando contro il risultato delle urne. Sarebbe un tentativo senza precedenti, teoricamente possibile ma con probabilità di successo minime. In tutto questo il presidente uscente si rifiuta di approvare i passaggi formali che servono a facilitare la transizione alla prossima amministrazione e alimenta la rabbia dei suoi elettori, che il 14 novembre si sono scontrati con gli attivisti di sinistra a Washington.

Perché i repubblicani continuano a seguire Trump? Jake Tapper, giornalista della Cnn, ha dato una spiegazione verosimile: “I repubblicani con cui ho parlato in privato mi hanno detto che tutto questo serve ad aiutare Trump ad accettare la situazione, anche a livello emotivo. Danno per scontato che lascerà il potere, anche se non accetterà mai la sconfitta. Ma non lo dicono pubblicamente perché non vogliono turbarlo e perché temono di essere minacciati dai suoi sostenitori”. E non è detto che Trump smetta di destare preoccupazione una volta fuori dalla Casa Bianca. Il Washington Post ha spiegato che tutti gli ex presidenti si portano dietro informazioni riservate che per qualche motivo potrebbero rivelare. Nel caso di Trump il rischio è più alto: lo ha già fatto da presidente; ha molti debiti, quindi è più facile da corrompere; ed è furioso contro il governo, quello che lui chiama “lo stato profondo”.

Nella foto: Cori Bush guida una protesta contro la violenza della polizia a Univercity City, in Missouri, il 12 giugno del 2020.  Nata in una famiglia della borghesia nera di St. Louis, in Missouri, a vent’anni è finita a vivere per strada, ha avuto due figli, è stata vittima di violenza domestica e abusi sessuali, ha fondato una chiesa, ha guidato un movimento contro il razzismo e il 3 novembre 2020 è diventata deputata del congresso degli Stati Uniti.

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