12 novembre 2020

Turchia, Erdogan è un sultano ferito. E per questo è ancora più pericoloso

di Francesco Sani *

L’attualità offre continuamente spunti di riflessione sul protagonismo della politica turca in Medio Oriente e in Europa. La cronaca di questi giorni ha raccontato lo scontro tra il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan e quello francese Emmanuel Macron, accusato di “islamofobia”. I rapporti tesi sono nati da una copertina del giornale satirico Charlie Hebdo, facente seguito ad un’altra che aveva infuocato le piazze musulmane (la ripubblicazione delle vignette su Maometto in occasione del processo a Parigi per l’attentato terroristico del 2015).

Ma più concretamente Francia e Turchia si stanno sfidando da tempo per motivi economici e militari nella crisi della Libia. Il fronte libico non è l’unico a vedere attivo nel Mediterraneo il paese della mezzaluna: occupa Cipro del Nord dal 1974 ma, soprattutto, provoca la Grecia. Oggetto del contendere, le trivellazioni di gas naturale in un’area di mare nei pressi dell’isola greca di Kastellorizo.

I turchi, più o meno direttamente, sono poi impegnati in molti conflitti: nella guerra civile in Siria contro Assad – e per farlo non si sono fatti scrupoli a inviare rifornimenti armati ai terroristi dell’Isis; in Kurdistan; in Somalia; in Nagorno Karabakh (dalla parte degli azeri). Infine, ricattano l’Unione Europea chiedendo lauti contribuiti per fare il lavoro sporco di bloccare ai confini le rotte dei migranti. Per capire meglio il paese guidato dallo spregiudicato “sultano”, con cui dobbiamo fare i conti, occorre avere un’idea sulle fondamenta del suo potere: la religione e l’edilizia.

Il business delle politiche urbanistiche

Il business dell’edilizia ha stravolto l’aspetto urbano del paese e il suo tessuto sociale. Grandi progetti di aeroporti, ponti, dighe, grattacieli che servono da vetrina per la megalomania di Erdoğan e del suo partito Akp. Tutti questi interventi sono stati funzionali alla sua scalata al potere, fin da quando era sindaco della metropoli sul Bosforo. I progetti, finanziati dalle banche estere, hanno avuto un notevole impatto sulla popolazione aumentandone le disuguaglianze, come è ben spiegato in un utile libro della giornalista Giovanna Loccatelli, L’oro della Turchia, (Rosenberg & Sellier). Istanbul, biglietto da visita della nazione all’estero, ne è stata particolarmente investita, ma i grandi investimenti nell’edilizia sono stati fatti in tutte le principali città.

Inoltre il potere, in Turchia, è quasi sempre una questione di famiglia: spesso gli appalti per nuove opere sono vinte da compagnie vicine al governo. Un esempio è dato dalla compagnia privata Gap İnşaat, fondata nel 1996 dalla Çalik Holding, un’industria privata attiva nel campo edile e finanziario. L’amministratore delegato è stato, fino al 2013, il genero di Erdoğan, Berat Albayrak, oggi Ministro delle Finanze.

L’Akp, un partito che mescola neoliberismo e islamismo

La visione del partito del suo presidente si basa su neoliberismo del cemento e tradizione islamista di governo. Oggi sono da considerarsi esempi di questa politica ideologica sia il ritorno di Santa Sofia a uso moschea che la demolizione in piazza Taksim del Centro di Cultura Atatürk (Mustafa Kemal Atatürk è il padre fondatore della Turchia moderna e laica). Entrambi simboleggiano il reinserimento della religione nella sfera pubblica della società turca.

L’attuale crisi economica che ha investito il paese sta al momento rallentando i mega progetti edilizi e le ultime elezioni amministrative, vinte dall’opposizione sia a Istanbul che ad Ankara, rappresentano un duro colpo per il governo. Tuttavia Erdoğan resta il politico più popolare e ben in sella al potere fino alle presidenziali del 2023, quando potrebbe essere sfidato proprio dal sindaco di Istanbul Ekrem İmamoğlu che dai sondaggi sembra godere di molto consenso.

L’esperienza di Piazza Taksim come prova di unione delle opposizioni

In Medio Oriente le “piazze” hanno un valore simbolico molto alto, pensiamo alle Primavere Arabe. La gigantesca Taksim è la piazza più moderna di Istanbul, qui si trovano i grandi hotel simbolo del “neoliberismo del cemento”. Come spazio verde si era salvato Gezi Park e l’Akp avrebbe voluto costruire al suo posto l’ennesimo centro commerciale.

Nel 2013 la sua difesa è stata l’opposizione simbolica all’occupazione selvaggia dello spazio da parte del partito del presidente, così la causa ambientalista ha potuto unire tutte le forme di opposizione: dai socialisti ai curdi, dalla comunità Lgbt agli ultras delle squadre di calcio.

Dal fallito golpe alla nuova Costituzione. Il potere di Erdoğan è così irresistibile?

Gezi Park è unico smacco incassato dell’Akp, le cui politiche neoliberiste restano estremamente aggressive sul territorio. Tra l’altro non si limitano alla realizzazione di un progetto in sé, ma lo si incensa con tutta la propaganda possibile, magari inaugurandolo in una data simbolica per l’Impero Ottomano. È il caso del Yavuz Sultan Selim, il grandioso terzo ponte sul Bosforo: è stato aperto il 26 agosto 2016, ovvero il giorno che ricorda la caduta di Costantinopoli e il passaggio della città sotto il dominio ottomano.

I turchi sono un popolo molto nazionalista ma la riduzione delle libertà – dopo il fallito golpe del 2016 e la nuova Costituzione approvata nel 2019 – iniziano a pesare. Erdoğan ha certamente perso credito a causa della crisi economica e dietro il suo atteggiamento aggressivo contro il presidente francese Macron e l’Unione Europea si nasconde il tentativo di ritrovare il consenso popolare: la difesa dell’Islam è funzionale all’affermazione degli interessi geopolitici di Ankara e della sua influenza nella regione. Il sultano ferito è per questo ancora più pericoloso.

* Laureato in Scienze Politiche e giornalista pubblicista. Scrive articoli a tema di sociologia urbana, costume e società per magazine e riviste - da ilfattoquotidiano.it - 12 Novembre 2020

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