Con Tre mesi all’ora X esce la
seconda parte (di tre previste) della Saga di Matteo, un tentativo
azzardato da parte mia di lasciare, sotto forma di racconto, una traccia di
memoria storica, specie per le generazioni più recenti, che permetta una lettura
ragionata e annodi i fili necessari per capire gli ultimi 50 anni della vicenda
italiana e non solo. Attraverso alcuni personaggi che nei tre brevi racconti incontriamo
nel 1968 e ritroviamo alla fine del 1999 e praticamente ai giorni nostri nel
2018, cerco di rappresentare le ragioni, i successi e le sconfitte di una
generazione, più o meno nata nei due decenni successivi agli anni ’40, dopo la
fine della Seconda guerra mondiale.
Sembra paradossale, ma sui 50 anni che
sono passati dal ’68 ad oggi, davvero densi di storia e di sommovimenti, sono
davvero pochi i tentativi di articolare una razionale lettura di parte, invece per
lo più fatta da chi questa storia intende deformare e cancellare più che comprendere.
Lentamente,
silenziosamente, la generazione che ha vissuto il '68, nata nei primi anni dopo
la fine della guerra, esce di scena. È già uscita dalle fabbriche, dagli
uffici, dalle scuole e dalle università, dai ministeri, dagli enti pubblici e
dalle forze armate. È invece ancora attiva una guerra psicologica, parte della
guerra civile a bassa intensità in corso negli ultimi anni, condotta anche sui
media, che tenta di affermare che le lotte e le conquiste di quell’epoca furono
una aberrante anomalia e che nessun cambiamento radicale della società italiana
verrà mai consentito. È quindi più che mai in atto il tentativo di rendere
impossibile qualunque percorso riformatore della società italiana. Bisogna invece
rottamare un’epoca di irresponsabili diritti collettivi per tornare,
finalmente, alla ragione: chi ha il potere e i soldi, chi è capace di
corrompere, di fare il burattinaio nella società, è di fatto intoccabile. Gli
altri devono competere fra loro, essere responsabili, flessibili nella loro sostanziale
precarietà sociale e soprattutto non avere memoria del passato né preoccupazione
per il futuro.
Di quegli anni si vuol
far credere che furono solo la premessa della stagione del terrorismo,
nascondendo lo scenario sociale miserabile dell'Italia del dopoguerra, quello
della DC delle mille clientele, quello delle stragi fasciste, dei patti
inconfessabili con le mafie, della devastazione del territorio e dell'ambiente:
dall'Acna all'Ilva, dall’amianto di Casale alla ThyssenKrupp, dalla Terra dei
fuochi alle Ecoballe bassoliniane. Chi mai ricorda oggi che falsificando le
previsioni dei fabbisogni energetici si è tentato di avviare nel nostro paese
la costruzione di 62 centrali nucleari? che la subalternità di tutti i partiti,
senza esclusioni, ai padroni dell’automobile ha totalmente bloccato lo sviluppo
di reti di mobilità pubbliche e collettive adeguate alla richiesta ed efficienti
e che siamo quindi l’unico paese dell’Europa che non ha una rete di metro
indispensabile da decenni nelle grandi e medie città? Che abbiamo regalato la
redditizia rete autostradale alle privatizzazioni che ne incassano i guadagni e
scaricano sullo Stato la mancata manutenzione?
Se si esclude la breve fase della
Costituente, con la quale si immaginò di costruire l'Italia repubblicana post
fascista, l'unico periodo che vide nel nostro paese una significativa
primavera riformatrice (dallo statuto dei lavoratori alla riforma
sanitaria per tutti, dal superamento degli ospedali psichiatrici alla sconfitta
degli aborti clandestini, dall'obiezione di coscienza ed il servizio
civile per i giovani ad una maggiore laicità delle strutture statali, dalla
legge sul divorzio alla soppressione del delitto d'onore, dalla riforma
penitenziaria a limitate forme di rappresentanza sindacale nella polizia
e nelle forze armate, fino alla nascita di organi associativi democratici dei
magistrati, nella psichiatria, nei giornalisti), fu quello degli anni immediatamente
successivi al '68. Non tutto durò o finì con il tempo nella direzione
giusta ma tutto fu il prodotto, per molti inconsapevole, delle lotte
operaie e giovanili di quegli anni.
Quanti, soprattutto da un recupero di memoria
storica dei decenni trascorsi, sono in grado di trarre utili riflessioni
per valutare avvenimenti, protagonisti, conflitti di oggi e non ricadere
negli stessi errori e nelle stesse trappole? I movimenti sociali del '68 non
furono, come è noto ad alcuni, un fenomeno italiano, neppure solo europeo e
neppure furono, nella fase nascente, un movimento prevalentemente ''di
sinistra'' nella accezione tradizionale del termine all'epoca dei fatti.
Nella fase nascente e dirompente fu un
fenomeno con connotazioni antiautoritarie, per la diffusione della democrazia
dal basso, per i diritti del lavoro, per maggiori libertà collettive e
individuali. E comunque fu un fenomeno nei fatti radicalmente riformatore.
Quando alla fine del 2008, anno
del quarantennio, decisi di scrivere, con qualche concessione
autobiografica, il primo episodio della saga, 68 volte ti amo, con
l'idea di tentare una lettura meno banale degli avvenimenti non solo italiani
del 1968, non mi resi conto da subito in che impegno mi stavo cacciando. Il
dilagare di movimenti con una comune matrice antiautoritaria e per vari aspetti
radicalmente antisistema, in decine di latitudini del pianeta contemporaneamente, in un’ epoca dove non
c'era internet né i cellulari, neppure una parabola satellitare tv, è
oggi, ben più di allora, una sorprendente novità che fa riflettere, specie per la
contiguità e correlazione con quanto è avvenuto nei decenni successivi e
avviene oggi in varie aree del mondo, con in aggiunta che alle rivolte
antiautoritarie e anticorruzione si è affiancata l’attivazione delle
generazioni dei giovanissimi, che io chiamo generazione cento, sulla
crisi climatica che con evidenza avanza a velocità maggiore del previsto.
Alcune tesi di un quadro di
ricomposizione storica dei limiti che dal passato influenzano e continuano a
condizionare i movimenti riformatori e/o antisistema di oggi possono però
essere accennate brevemente.
- La
frammentazione e la soggezione ideologica a schemi culturali del passato.
Non c'è un solo paese europeo che abbia avuto negli ultimi 40 anni un panorama
così ricco, come l'Italia, di movimenti radicali, di mobilitazioni
sociali, di aspre battaglie, fino alla vittoria di vari referendum ( fra i
quali ben due attinenti alle scelte energetiche del paese, novità assoluta nel
mondo) e che contemporaneamente abbia avuto una così desolante,
inconsistente pletora di partitini e leaderini di più o meno vera
opposizione oppure, nel caso del M5Stelle, emerso con successo rapidamente in pochi anni, una così
preoccupante fragilità organizzativa, una così esile formazione culturale, che
lo sta pericolosamente avvicinando alla dissoluzione causa Aggressione ed
Autodistruzione.
- - La
mancanza di percorsi di aggregazione e di scomposizione dei blocchi sociali
consolidati. La illusoria valenza che si dà alla azione avanguardista, al
di là della valutazione politica, è espressione di una palese ingenuità
ben intrecciata con una buona dose di egocentrismo più o meno giovanile e
comunque di immaturità. Quanti movimenti, quante manifestazioni, quanti
obiettivi si sono spenti nel nulla. Nel piano istituzionale è assente qualunque
vocazione coraggiosa alla aggregazione di forze simili ( solve et coagula),
alla fiducia nel confronto, che lima differenze superabili e rafforza l'appeal
delle proposte, educa alla mediazione costruttiva e disinteressata (che è
l'opposto dei compromessi deteriori e del trasformismo), unisce tutto quello
che è possibile unire e crea disgregazione nei fronti opposti. L'aspirazione
all'aggregazione sociale è praticamente assente, dal dopo '68 ed è ancora
tale fino ad oggi, estranea a leaderini e partitini (con l'eccezione forse di
Alex Langer prematuramente scomparso), mentre tutti i leader e leaderini,
partiti e partitini vorrebbero rappresentare quell'ampio fronte di forze
sociali che richiedono un cambiamento radicale. Per non parlare dei partiti
del capo che non prevedono leadership plurali al loro interno. Qui l'elenco
sarebbe lunghissimo e non finisce con Bertinotti, Pecoraro o Di Pietro; oggi lo
stesso Grillo sembra avviato, o comunque incastrato, nella stessa trappola
mortale.
- - La
vocazione a vedere la presenza elettorale come unico terreno di gara
eludendo l'ipotesi di costruzione parallela di altro potere in basso
attraverso forme di società e di comunità alternativa stabile. Pochi
esempi virtuosi in passato nelle case del popolo, il mutuo soccorso,
l'autogestione.
In 68
volte ti amo Matteo e le quattro donne, Valentina, Marta, Giulia
e Suor Angela, hanno molti aspetti in comune fra loro ma le loro storie tendono
progressivamente a divaricarsi prendendo direzioni diverse nell’infuocato e
tormentato clima di quell’epoca.
Suor Angela
parte per l’America Latina dove anche il clero è coinvolto dall’ondata popolare
di ribellione sociale antiautoritaria. Giulia, immigrata dal sud in una
fabbrica del nord e divenuta operaia combattiva, si ammala a causa delle
condizioni ambientali del lavoro in cui è quotidianamente impegnata. Marta da
giovane liceale militante nel movimento degli studenti viene sfiorata dai germi
dell’estremismo che porteranno anche alla tragedia del terrorismo, dilagato
nelle viscere della società italiana fra la seconda metà degli anni 70 e la
prima metà degli anni ’80. Valentina porta avanti la scelta della ricerca di
alternative sul piano individuale che la porterà in India dove in un vicolo di
Bombay la sua vita avrà una inaspettata svolta. Matteo, che a volte appare quasi
come una figura staccata dagli avvenimenti che lo circondano, mantiene il suo
ruolo lavorativo di ricercatore e contemporaneamente assume un ruolo di attivo
impegno sul terreno sociale e ambientale.
È proprio
in questa dirompente contraddizione fra la apparente comunanza di sensibilità e
di volontà di cambiamento dei protagonisti, nei fatti anche potenzialmente
uniti dalla comune appartenenza generazionale e invece la loro progressiva
tendenza a prendere strade diverse e mai ad incontrarsi, che va letto il senso
del racconto. In questo modo essi perdono qualunque possibilità di incidere
collettivamente sulla realtà sociale e inevitabilmente si relegano ai suoi
margini.
In
Tre mesi all’ora X, appena pubblicato a fine anno 2019, che si svolge negli
ultimi tre mesi del 1999, ai personaggi sopravvissuti, Matteo, Valentina e
Marta si aggiungono nuove figure della generazione successiva: Hope, la figlia
adottata di Valentina, Teresa, una giovane ricercatrice che si rivela attenta e
gradevole compagna di viaggio in giro per Mosca, Angelica, che sceglie di
abbandonare la propria carriera di ingegnere nucleare e si reca in Germania.
Infine, Lara figlia di Vincenzo e anche lei creativa musicista, che si trova ad
essere travolta dalle giornate eccezionali della caduta del muro a Berlino.
Personaggi vecchi e nuovi sono coinvolti dai cambiamenti storici, seguenti al
superamento della guerra fredda fra Est e Ovest dell’Europa, che segnano la
fine del bipolarismo ma non portano ad una nuova epoca di pace. Attraverso
frequenti rimandi indietro agli ultimi decenni vengono anche rivissuti momenti
delicati, che non si possono facilmente cancellare, del nostro passato: Il
terrorismo italiano degli anni ’70-’80 che ha paralizzato e forse rallentato e
reso più difficile una conversione riformista della società italiana. La
pericolosa avventura e la crisi della scelta nucleare, questione ancora aperta
a distanza di decenni. L’avvento dei movimenti no-global e il riaffacciarsi di
nuove forme di nazionalismo e di fondamentalismo estremista nel mondo.
Nel terzo libro, Generazione Cento, che dovrebbe uscire nel 2021, si aggiungerà lo scenario della crisi ambientale crescente e dalle nuove spirali di odio dei nuovi nazionalismi emergenti, che potrebbero condizionare l’intero nuovo secolo in corso.
Nel terzo libro, Generazione Cento, che dovrebbe uscire nel 2021, si aggiungerà lo scenario della crisi ambientale crescente e dalle nuove spirali di odio dei nuovi nazionalismi emergenti, che potrebbero condizionare l’intero nuovo secolo in corso.
Massimo Marino
gennaio 2020
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