Presentata dall’Eni la 18a edizione del rapporto World
oil, gas and renewables review.
Sono stati 1.271.000 i barili bruciati ogni giorno,
con una crescita doppia rispetto a quella media globale. Ma negli Usa si arriva
a 20.811.000 barili di petrolio al giorno
Nonostante una sensibilità ambientalista (almeno
apparentemente) sempre più diffusa, nell’anno più caldo da oltre due secoli per l’Italia
i consumi di petrolio sono continuati a crescere: nel 2018 la popolazione
mondiale si è bevuta 99.340.000 barili di petrolio al giorno (+1,4% sull’anno),
gli europei 15.542.000 (+0,2%) e gli italiani 1.271.000 (+2,8%, dunque
esattamente il doppio della crescita globale).
Sono questi i dati contenuti nella 18° edizione del
rapporto World oil, gas and renewables review,
primo volume, quello dedicato al petrolio (l’altro arriverà in autunno),
presentato ieri dall’Eni, dove il trend viene analizzato con dovizia di
dettagli. I dati raccolti arrivano a stimare i consumi procapite, che in Italia
ammontano in media a 7,83 barili l’anno: si tratta di oltre una tonnellata di
petrolio a testa, eppure sembra ancora un dato virtuoso se confrontato con
quello medio dell’Ue (9,57), di quello tedesco (10,15) o degli altri principali
paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti (23,12) del Canada (24,16) o
dell’Arabia saudita (34,91).
Il consumo procapite di petrolio cinese (3,36) è
invece meno della metà di quello italiano, ma le cose naturalmente cambiano se
si osservano i consumi assoluti per Paese. In cima alla lista ci sono gli Stati
Uniti, che nel corso del 2018 hanno bruciato 20.811.000 barili di petrolio al
giorno (+2,7%), seguiti proprio dalla Cina (13.025.000, +3,6%) e dall’India
(4.782.000, +4,7%); per trovare il primo paese europeo in classifica occorre
scendere alla decima posizione dove spicca la Germania con 2.327.000 barili di
petrolio consumati al giorno, in calo però del 5,4% sull’anno.
In un’ottica globale, nel corso del 2018 i
protagonisti assoluti nel mondo del petrolio sono stati gli Stati Uniti di cui
Donald Trump sarebbe orgoglioso: se nel mondo sono cresciute le riserve (+0,4%)
è grazie soprattutto alla crescita in Usa; se anche la produzione è cresciuta
di 2,5 milioni di barili al giorno, per l’88% la causa va ricercata negli Usa,
che hanno toccato un nuovo record consolidando la prima posizione nel rank dei
produttori mondiali di petrolio. «Nel bilancio regionale del greggio 2018 per
la prima volta si azzera il deficit delle Americhe – osservano dall’Eni – che fino al 2010 ha superato
anche i 5 Mb/g. L’impennata delle produzioni Usa e la crescita del Canada
superano di gran lunga il fabbisogno interno, generando un netto declino della
dipendenza da petrolio dell’area nord americana».
In uno scenario simile un Paese come l’Italia potrebbe
sembrare pressoché irrilevante nelle dinamiche globali, ma ha almeno due grandi
compiti da dimostrare. Il primo è che il livello della qualità di vita può
distaccarsi da quello del petrolio consumato, in quanto i nostri consumi sono
già oggi un terzo di quelli statunitensi; il secondo è che si può fare di più e
meglio, per non soccombere all’avanzata dei cambiamenti climatici e trovare una
via di sviluppo sostenibile affrancata dai combustibili fossili. Questo oggi è
il compito del Piano nazionale energia e clima, che dovrà essere completato
entro la fine dell’anno: resta però ancora molto da lavorarci su, perché ad
oggi gli impegni cumulati non arrivano a un terzo di quelli necessari per
rispettare l’Accordo sul clima di Parigi.
da greenreport.it - 30 Luglio 2019
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