Siria. Oggi i campi sono mischiati e
l’obiettivo è uno solo, sul quale sono concordi tutti: bloccare i kurdi siriani
del Rojava portatori di un’idea di nazione democratica federalista, socialista
e femminista. Unico ambito associabile a qualcosa di sano rispetto alla palude
ideologica e politica che si muove intorno al loro destino
di Simone
Pieranni *
Nello
spietato gioco di alleanze e cambi di campo, ribaltoni e inversioni in atto in
Siria, l’incontro tra il ministro degli esteri russo Lavrov e il segretario di
stato americano Kerry rappresenta un momento importante. Mentre scriviamo
l’incontro è in corso a Ginevra, cerimoniere Staffan de Mistura.
È probabile
che l’unico risultato che verrà raggiunto, ufficialmente, sarà il cessate il fuoco
di 48 ore per consentire un respiro ad Aleppo, ma quello che conta di più sarà
il risultato del dialogo riservato tra Usa-Russia che vedremo specchiato negli
eventi dei prossimi giorni. La Siria è ormai un quadro che comincia a
ridelinearsi benché stupiscano e non poco i recenti eventi, avvenuti in archi
temporali incredibilmente brevi rispetto ai consueti tempi della Storia cui
siamo abituati.
Quello che
solitamente è accaduto su balestre temporali ampie, ormai accade nel volgere di
pochi giorni. Basti pensare alla Russia e alla Turchia, ai ferri corti dopo
l’abbattimento del jet russo da parte di Ankara e ora incredibilmente vicini.
Certo, si dirà, tanto la Russia quanto gli Usa, nei confronti di Erdogan, è
presumibile stiano prendendo tempo, ma nell’ambito delle politiche
internazionali quanto accade è chiaro. Se prima le «squadre» potevano essere
divise in due fronti, oggi non è più così. Prima c’erano Assad, Putin e l’Iran
da una parte, Usa, Turchia dall’altra, con Ankara a giocare un ruolo ambiguo rispetto
all’Isis e Washington a rimestare nel torbido con i ribelli (lasciando da parte
per un attimo la genesi dell’Isis, la Libia, l’Iraq, eccetera).
Oggi i campi
sono mischiati e l’obiettivo è uno solo, sul quale sono concordi tutti:
bloccare i kurdi siriani del Rojava portatori di un’idea di nazione democratica
federalista, socialista e femminista.
Unico ambito
associabile a qualcosa di sano rispetto alla palude ideologica e politica che
si muove intorno al loro destino. E il «gioco» turco porta con sé tutti gli
attori che preferiscono non affrontare la questione kurda e che anzi si
ritrovano contro i kurdi per evitare di fronteggiare problematiche interne
legate a minoranze. Ma la questione kurda non può essere rimandata e gli Usa si
stanno prestando a un «giro della storia» molto rischioso.
La vicinanza
turca con la Russia è stata la molla. Putin è stato uno stratega
impressionante: con un semplice incontro ha ribaltato il tavolo portando Ankara
ad applaudire l’arcinemico Assad per i bombardamenti contro i kurdi. Ha portato
gli Usa a sconfessare l’appoggio ai kurdi e perfino l’Iran a unirsi alla
compagnia.
Queste
dinamiche confermano le sabbie mobili di analisi che prediligono la geopolitica
come sola guida di riflessione sull’esistente. Affidarsi ora a un leader ora a
un altro, porta a dover compiere giravolte assurde per sostenere ora l’uno ora
l’altro. Perdendo di vista quello che dovrebbe costituire l’interesse
principale, i conflitti sociali dai quali possono nascere proposte politiche
diverse da quelle oligarchiche tanto di moda.
* da il manifesto del 27 agosto 2016
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