13 agosto 2015

Il governo s’è schierato con i signori dei rifiuti




«Il partito delle discariche e degli inceneritori segue una strategia lineare. Rallenta come può il passaggio alla raccolta differenziata porta a porta ed enfatizza l’incipienza delle inevitabili emergenze». 

È una guerra. Guerra economica, ma guerra vera, feroce. E il governo, con il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti, impegnatissimo, non è neutrale. La preda in palio è l’immondizia, in gergo tecnico Rsu (rifiuti solidi urbani), un tesoro attorno al quale si muovono interessi miliardari. Da una parte c’è il partito della raccolta differenziata, del trattamento e del riciclaggio. Un partito fatto da aziende specializzate con i loro interessi, spalleggiato dagli ambientalisti. Dall’altra c’è il partito delle discariche e degli inceneritori: grandi aziende (molte municipalizzate), grandi interessi e collegamenti densi con i partiti di governo, quali che siano. Le regole del gioco, in nome del bon ton istituzionale, impongono di ignorare l’esistenza della criminalità organizzata, che della partita è protagonista sempre più ingombrante e sfrontato.

Il decreto attuativo dell’articolo 35 dello Sblocca Italia, con il quale Galletti tenta di imporre alla regioni 12 nuovi inceneritori, è schiettamente schierato con il partito dei “metodi tradizionali”: inceneritori e discariche, appunto. Per capire quale sia veramente la posta in gioco basta osservare la più stridente contraddizione nella strategia del governo Renzi. Da una parte si sostiene la necessità di costruire nuovi inceneritori per soddisfare una presunta domanda insoddisfatta. Dall’altra si liberalizza il traffico di rifiuti da una regione all’altra per far fronte al più drammatico problema dei cosiddetti termovalorizzatori: quelli attualmente in funzione sono quasi tutti sottoutilizzati, con pesanti ricadute sui conti delle società che li gestiscono, e hanno dunque disperato bisogno di importare rifiuti da bruciare, da qualunque parte provengano. 

A segnalare il problema non sono movimenti ambientalisti o i grillini, bensì Intesa Sanpaolo. Pochi giorni fa un documento del suo centro studi ha confermato il rischio che da tempo qualche gufo segnala inascoltato, e cioè che l’operazione inceneritori sarà fulminata da un’inevitabile procedura d’infrazione europea: “Se è vero che l’attuale capacità di trattamento è sottoutilizzata (la capacità di trattamento viene utilizzata per circa l’80%), per ottimizzare l’uso della dotazione impiantisca, dovranno essere bypassati due principi chiave della gestione dei Rsu: 1) il principio di prossimità, in base al quale i luoghi di produzione dei rifiuti e di trattamento e smaltimento devono essere attigui; 2) il principio dell’autosufficienza, in base al quale lo smaltimento dei Rsu deve avvenire nella regione di produzione in modo da minimizzarne il trasporto”.

Il partito delle discariche e degli inceneritori segue una strategia lineare. Rallenta come può il passaggio alla raccolta differenziata porta a porta ed enfatizza l’incipienza delle inevitabili emergenze. A Roma la differenziata è tenuta a freno da anni, la storica discarica di Malagrotta è satura, così è gioco facile rilanciare l’idea dell’inceneritore di Albano (anche se sulla sua oscura origine è in corso un processo per corruzione) oppure prepararsi a mandare i rifiuti della capitale a Terni, dove l’A ce a (municipalizzata di Roma) ha già un inceneritore e vorrebbe farne uno di portata tripla. 
A Genova la differenziata è di poco superiore al 10 per cento, ma niente paura: l’inesorabile emergenza sarà risolta mandando treni di immondizia all’inceneritore di Torino e a quello di Piacenza, tutti e due gestiti dalla Iren, la municipalizzata nata dalla fusione delle precedenti società di Torino, Genova e dell’Emilia. Iren è quotata in Borsa e non va benissimo. Nel 2014 i suoi ricavi sono scesi del 14 per cento e l’utile netto del 20 per cento, ha 2,3 miliardi di debiti contro un fatturato di 2,9, e ha appena annunciato che per un po’ i comuni azionisti devono scordarsi il dividendo. Anche le altre grandi municipalizzate quotate, Hera di Bologna e A2A di Milano e Brescia, hanno il problema di sfruttare meglio gli impianti di termovalorizzazione. Il vero tesoro nel decreto Galletti è dunque proprio la libertà di andare a comprare rifiuti in giro per l’Italia. Ma gli inceneritori hanno un ciclo di vita lungo, 20-30 anni, e per ripagare il capitale investito bisogna che ci sia immondizia da bruciare fino alla fine. Se dunque nel frattempo i comuni italiani imboccassero la strada virtuosa della differenziata porta a porta, che ridurrebbe quasi a zero i residui da incenerire o mandare in discarica, i signori degli inceneritori sarebbero rovinati. 

Pochi giorni fa le cronache finanziarie ci hanno offerto un trailer del film che vedremo nei prossimi anni. Hanno annunciato la fusione due società quotate attive nel trattamento dei rifiuti, la Kinexia di Pietro Colucci e la Biancamano di Giovanni Battista Pizzimbone. Quest’ultimo, amico di Marcello Dell’Utri, aveva rilevato nel 2009 le attività ambientali del gigante cooperativo Manutencoop. Colucci si è distinto nel novembre scorso per la partecipazione alla cena da mille euro con Matteo Renzi per finanziare il Pd. “Il mercato dei rifiuti si sta concentrando su grandi soggetti ”, ha spiegato Colucci al Sole 24 Ore, come se la fusione fosse una mossa per la sopravvivenza, poi ha detto però che la nuova società sarà la maggiore in Italia. Nascerebbe con 260 milioni di fatturato e 370 di debiti, infatti l’operazione si farà solo se i debiti di Pizzimbone (il cui bilancio 2014 è stato bocciato dai revisori dei conti) saranno convertiti in azioni dalle banche creditrici. Tra le quali spicca naturalmente Intesa Sanpaolo. Auguri. 

12 Agosto 2015

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