2 maggio 2014

Riforme dittatoriali



di Piergiorgio Odifreddi * 

Anni fa il PD si è autonominato “democratico”, così come aveva fatto decenni fa la DC. Nell’autunno scorso gli elettori del Democratico Partito hanno votato per eleggere un segretario. Due mesi fa il neosegretario del partito, dopo aver spergiurato fino al giorno prima che essendo stato eletto per fare il segretario del partito avrebbe fatto il segretario del partito, con un colpo di mano suo e del suo Democratico Partito si è invece insediato al governo. E ora cerca di far passare, con altri colpi di mano, riforme costituzionali di vasta portata, imponendo di testa sua i “valori irrinunciabili” che esse devono riflettere.
Solo voci isolate, da Rodotà a Zagrebelsky, si levano per dire a Renzi, e al suo Democratico Partito, che un parlamento eletto con una legge anticostituzionale, e un presidente del Consiglio la cui unica investitura popolare è una primaria di partito che ha coinvolto meno del 10% dell’elettorato, non hanno alcun mandato per imporre all’intero popolo italiano una nuova Costituzione, secondo linee decise da un patto di “galantuomini” della stazza di un usurpatore come Renzi e un condannato come Berlusconi. 

L’imputridimento della concezione democratica del nostro paese è facilmente tracciabile sulla base di alcune tappe fondamentali. Nel primo dopoguerra, per scrivere la Costituzione si elesse nel 1946 a suffragio universale (e l’89% di affluenza) un’Assemblea Costituente, che nel 1947 promulgò la nuova Carta. E nel 1953, quando si cercò di assegnare al partito di maggioranza assoluta un premio di seggi, si gridò giustamente e con successo alla “legge truffa”. E a gridare c’erano coloro di cui il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio di oggi millantano di essere gli eredi politici. 

Qualche decennio dopo, quando la Costituzione cominciò a mostrare i suoi anni, si cominciò a pensare che ci si poteva accontentare di riformarla sulla base dei lavori di Commissioni Bicamerali, come quelle presiedute prima da Bozzi (1983–1985), poi da De Mita e la Iotti (1993–1994), e infine da D’Alema (1997). Il che è un po’ come pretendere che le sentenze vengano emesse non più dai giudici, ma dagli imputati. O le promozioni non più dagli esaminatori, ma dagli esaminandi. Nel frattempo, si smantellava il sistema proporzionale e democratico, per imporre varie forme di “leggi truffa” maggioritarie e antidemocratiche. 

Nel 2001 l’Ulivo, predecessore del Democratico Partito di oggi, si macchiò del peccato originale di modificare la Costituzione a colpi di maggioranza semplice, invece che qualificata: cosa permessa dalle regole della legge, ma non dai princìpi della democrazia. La riforma fu poi approvata dal 20% della popolazione italiana (32% di affluenza e 64% dei votanti) in un referendum. Stabilito il precedente, anche il centrodestra fece la sua modifica della Costituzione nel 2005, sempre a colpi di maggioranza semplice: riforma poi rifiutata dal 35% della popolazione italiana (54% di affluenza e 62% dei votanti). 

Oggi il patto scellerato tra l’usurpatore e il condannato cerca di far passare una riforma costituzionale sul Senato imposta senza nessuna discussione, se non gli insulti lanciati su tutti coloro che ardiscono obiettare alcunché: non solo Grasso a Rodotà, ma anche alcuni sparuti parlamentari del Democratico Partito. Solo Renzi e Berlusconi hanno voce in capitolo, e potere di decisione. Per quanto riguarda la legge elettorale, poi, essi ripropongono un porcellinum con le stesse caratteristiche di incostituzionalità già rilevate dalla Corte Costituzionale per il porcellum, solo leggermente annacquate: in particolare, liste bloccate dai partiti, e premio al partito di maggioranza relativa

Immagino che tra poco lo sgangherato duopolio imporrà anche un giuramento di fedeltà al nuovo regime. E sono pronto a scommettere che, di fronte alla richiesta del Duce di oggi, gli italiani (che già gli si stanno accodando nei sondaggi, servili come sempre) si comporteranno eroicamente, come già fecero nel 1931 i professori universitari ai quali il Duce di allora impose di giurare: lo fecero tutti, eccetto 12. Anche questa volta a non giurare non saranno di più, e gli altri ci regaleranno un altro bel ventennio, dopo i due di Mussolini e di Berlusconi.
Noi italiani siamo candidi componenti di un gregge: il che, come diceva Einstein, significa che siamo pecore. Anzi, pecoroni. Se no, giurato che non avremmo permesso a Renzi di arrivare dove sta, e non gli permetteremmo di rimanerci un attimo di più, sapendo che presto sarà troppo tardi per levarcelo.

dal blog  Il non-senso della vita 2.0    6 aprile 2014

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