Il nuovo rapporto dello European Network Against Arms Trade (ENAAT) e del Transnational Institute racconta quella che definisce la "terza corsa agli armamenti", alla quale l'Unione europea starebbe contribuendo con un budget che nel nuovo bilancio 2021-2027 è aumentato di 13 volte rispetto al precedente. E a farla da padrone sarebbero lobbisti e aziende, che siedono negli organi di consiglio della Commissione Ue e influenzano le procedure di controllo
di Franz Baraggino *Non ci vuole
un genio a capire che più armi ci sono in giro e più aumentano le probabilità
che qualcuno si faccia male. Ed è nello spirito di questa certezza che nasce il
nuovo rapporto dello European Network Against Arms
Trade (ENAAT) e del Transnational Institute,
che punta il dito contro quella che definisce “la corsa agli armamenti dell’Unione europea“. A chi è rimasto colpito dalla tempistica con la quale alcuni Paesi europei, Germania in
testa, hanno annunciato ingenti investimenti nella spesa militare,
appena poche ore dopo l’inizio dell’attacco russo in Ucraina, interesserà sapere che il budget del Fondo Europeo per la Difesa (EDF) ha raggiunto un
valore “senza precedenti di 8 miliardi di euro per la ricerca e lo sviluppo di sistemi
militari”. Ma non solo di questo si tratta. Secondo il report, infatti, gli
attuali programmi di difesa Ue da 600 milioni di euro sarebbero inficiati
da conflitti d’interesse e accuse di corruzione. Con la fetta più grossa che,
ovviamente, va ai principali produttori ed esportatori di armi: Francia, Germania, Italia e Spagna. Con il primato
tutto italiano di Leonardo, maggiore destinatario
singolo con 28,7 milioni di euro.
Il lavoro del
Transnational Institute e di ENAAT, di cui fa parte anche la Rete Italiana Pace e Disarmo che ne pubblica il rapporto, viene ultimato
mentre il mondo assiste allo scoppio dell’ennesima guerra. Il report ricorda
che “verso la fine del 2021 i disordini nei Balcani hanno
raggiunto il punto di ebollizione. Le tensioni nel Mar Cinese Meridionale continuano a ribollire e
minacciano la stabilità regionale e globale. Le guerre e la violenza continuano
in Afghanistan, Iraq, Sahel, Siria e Yemen“. E che nonostante il suo principio fondatore di
promozione della pace, l’Unione europea “ha intrapreso un percorso per
affermarsi come potenza militare globale“. E
non deve stupire, dunque, che per la prima volta “l’Ue ha annunciato che
avrebbe, per la prima volta, finanziato e fornito armi letali a un Paese sotto
attacco nell’ambito della European Peace Facility (il
cosiddetto fondo strutturale per le Pace)”. A dieci anni dal trattato di Lisbona nel 2009, che fornisce la base
giuridica per creare una politica di sicurezza e difesa comune, “l’Ue ha creato
linee di bilancio che avrebbero specificamente assegnato finanziamenti a
progetti militari”. Una nuova fase che sembra procedere a tappe forzate. A
partire dal nuovo budget dell’EDF per gli anni 2021-2027, dove il report
segnala un aumento dei fondi del 1250% rispetto al bilancio precedente, per un
“totale che è 13,6 volte quello dei programmi precursori“.
Per capire
come l’Europa spenderà questa montagna di soldi, però, il report analizza i
precedenti programmi finanziati. “L’Azione preparatoria per la
ricerca sulla difesa (PADR 2017-2019), con un budget di 90 milioni
di euro per finanziare la ricerca sulla difesa, e il Programma europeo di sviluppo industriale della difesa (EDIDP
2019-2020) con un budget di 500 milioni di euro per finanziare lo sviluppo di
attrezzature e tecnologie di difesa”. E ancora: “L’obiettivo di queste linee di
bilancio è la ricerca e lo sviluppo su nuovi armamenti, così
come il miglioramento di quelli esistenti integrando tecnologie
all’avanguardia come l’intelligenza artificiale, i sistemi senza pilota o
autonomi“. Secondo gli analisti militari citati nel rapporto, si
tratta di armi che corrispondono “a una terza evoluzione nella corsa agli
armamenti in cui sistemi d’arma automatizzati vengono provati e testati e
possono alla fine diventare di utilizzo normale, nonostante le serie questioni legali
ed etiche irrisolte”. Il pensiero corre ai droni protagonisti di molti
conflitti, ma l’immaginazione è spinta ben oltre. Ed è lecito domandarsi come
potrà mai rispondere il nemico di turno se gli invii contro un esercito di
robot intelligenti che non sente dolore, non deve riposare, mangiare,
medicarsi.
Ma le armi
sono innanzitutto una questione di affari. E il rapporto denuncia l’opacità di
quelli targati Ue, dove “i rappresentanti dell’industria delle armi sono stati
inseriti nel comitato consultivo dei programmi PADR e EDIDP, ma
i nomi dei membri del comitato non sono stati resi noti”. E non solo: “Nove dei
sedici rappresentanti nel Gruppo di Personalità per
la ricerca sulla difesa istituito dalla Commissione europea nel
2015 erano affiliati a società di armi, istituti di ricerca sulle armi e
un’organizzazione di lobby dell’industria delle armi. In particolare le sei
aziende militari erano Airbus, BAE Systems, Indra, Leonardo, MBDA e Saab“. Basta? Nemmeno per sogno. “La proposta
della Commissione europea che ha portato all’istituzione del Fondo Europeo per
la Difesa era basata su un rapporto presentato dal Gruppo di Personalità, con intere sezioni letteralmente copiate dal rapporto del GdP e
incollate nella proposta della Commissione”, si legge nel
rapporto. I risultati? “I sette maggiori beneficiari di questa linea di
finanziamento dell’Ue sono coinvolti in esportazioni
di armi altamente controverse verso Paesi che stanno vivendo
conflitti armati o dove sono al potere regimi autoritari che violano
sistematicamente i diritti umani”.
Inoltre, gli
autori hanno scoperto che cinque degli otto maggiori beneficiari “sono stati
oggetto di accuse di corruzione negli ultimi anni”. Tra questi anche l’italiana
Leonardo, la più grade azienda a produzione militare dell’Ue, primo
beneficiario singolo della grande torta militare europea. Seguono la
spagnola Indra (22,78 milioni di euro), le società
francesi Safran (22,33 milioni di euro) e Thales (18,64 milioni di euro) e la società transeuropea Airbus (10,17 milioni di euro). Tra i paesi, la
fetta più grossa spetta alla Francia, che da sola
porta a casa un quarto dei finanziamenti erogati finora. Francesi, tedeschi,
spagnoli e italiani portano a casa il 68,4% dei fondi a
sostegno dell’industria militare e coordinano quasi il 70 percento di tutti i
progetti finanziati. “Dall’altra parte dello spettro, quasi la metà dei paesi
dell’UE ottiene ciascuno meno dell’1% dei finanziamenti”. Attenzione, però:
“Queste linee di finanziamento richiedono esplicitamente che i Paesi Ue
acquistino poi le armi e le relative tecnologie, le aggiungano al proprio
arsenale di difesa o promuovano la loro esportazione verso paesi extraeuropei”.
Come non bastasse, denunciano gli autori, “le procedure di controllo applicate
per approvare il finanziamento di nuove armi letali sono molto al di sotto anche dei più basilari standard legali ed
etici“. Un esempio? “La procedura di valutazione del rischio legale
ed etico dell’Ue per questi fondi si basa principalmente su autovalutazioni da parte dei richiedenti (principalmente
società private) che sperano di beneficiare dei finanziamenti dell’Ue”. Se
tutto questo continuerà anche con il nuovo Fondo Europeo per la Difesa da 8
miliardi di euro, dice il rapporto, l’Unione contribuirà “ad aumentare le
esportazioni di armi europee e alimenterà la corsa globale
agli armamenti, che a sua volta porterà a più guerre, maggiore
distruzione, una significativa perdita di vite umane e un aumento degli
spostamenti forzati”.
* da ilfattoquotidiano.it - 18 marzo 2022
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