La bicicletta è uno dei mezzi principali che oggi
usiamo per combattere il surriscaldamento globale. Inventata nel 1817 per ovviare alla moria
di cavalli dovuta alla carestia del cosiddetto anno senza estate – il 1816 –
causata dall’esplosione di un vulcano in Indonesia, che offuscò il cielo
sconvolgendo gli equilibri termici e facendo precipitare la temperatura media
del pianeta, ora la bici è uno dei nostri migliori alleati per limitare le
emissioni inquinanti prodotte dalle auto.
In Europa, tra il 2000 e il 2016, la concentrazione di polveri sottili nell’aria aveva registrato un calo graduale. Considerando che il trasporto su strada è una delle sue cause principali e che il volume dei passeggeri è rimasto costante, questo era segno che stesse migliorando la sostenibilità dei mezzi di trasporto. La strada verso l’obiettivo europeo delle zero emissioni nette entro il 2050 è lunga, soprattutto se è vero che dopo la pandemia anche i millennial stanno tornando a focalizzarsi sull’automobile. E, nonostante l’incremento dell’elettrico in questo campo, già a gennaio 2019, sulla base dei dati del ministero dello Sviluppo Economico, in Italia era già stato registrato un aumento del 3,5% delle emissioni dovute a benzina e a gasolio, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Secondo i dati della European Environment Agency, inoltre, le città italiane sono tra le peggiori, insieme a quelle polacche, per concentrazione di PM2,5. È sempre più urgente trovare allora un equilibrio tra il bisogno di spostarsi in città e la volontà che queste diventino luoghi in cui sia sano – e piacevole – vivere. È la stessa Unione Europea a puntare sulle due ruote con il Master Plan for Cycling Promotion, lanciato a primavera 2021, ma spetta ai singoli Paesi membri seguirne le raccomandazioni per raggiungere gli obiettivi di aumento del ciclismo urbano, con adeguate infrastrutture e integrazione dei servizi. A livello locale diverse iniziative vanno in questa direzione: a Berlino, ad esempio, la campagna Berlin Autofrei attraverso una raccolta firme ha avanzato una proposta di legge per chiudere al traffico tutta l’area della città circondata dal Ring – la linea di metropolitana circolare – per avere uno spazio urbano più vivibile e sicuro; Parigi, invece, è ormai ben avviata sulla strada della ciclabilità, con un piano di espansione delle piste ciclabili per altri 180 km entro il 2026 e l’obiettivo di triplicare i posteggi per le bici.
Persino la fallimentare Cop26 ha sottolineato l’importanza di
decarbonizzare i trasporti, privilegiando treni al posto degli aerei e, in
città, le due ruote, le linee di metropolitana e i mezzi elettrici. La
bicicletta è oggi il mezzo di trasporto più efficiente quanto a rapporto tra
distanza percorsa ed energia bruciata e il più veloce per gli spostamenti urbani
inferiori a 7,5 km (equivalenti a 30 minuti o meno di pedalata), ideale per
andare incontro alle necessità di un cittadino italiano, i cui spostamenti medi
sono di 4,2 km. Ma c’è un problema sul piano
culturale: chi si sposta in bici deve quotidianamente affrontare non solo i
rischi legati al traffico, ma anche la possibilità di essere insultato da parte
degli automobilisti: una vera e propria disumanizzazione dei
ciclisti – a cui ci hanno abituato decenni di protagonismo dell’auto –
rende più probabile l’aggressione e l’insulto nei loro confronti. Qualcuno poi suggerisce di usare termini
diversi per distinguere il “vero” ciclista – che pedala per sport – da chi
usa la bicicletta come mezzo di trasporto.
Un altro grosso problema riguarda il bike
sharing, ampiamente diffuso e apprezzato anche in Italia: il servizio reso
ai cittadini deve scontrarsi con atti di vandalismo tali da aver indotto la
compagnia con sede a Hong Kong GoBee a lasciare l’Europa nel 2018, quando il 60% dei loro mezzi erano stati
vandalizzati dopo pochi mesi di presenza a Torino, Milano e Firenze. È successo
anche a Manchester alle bici della compagnia
cinese Mobike. Si tratta di un servizio gestito dagli utenti tramite mobile,
per pochi centesimi all’ora e in free floating: una buona
opportunità per la nostra mobilità urbana, che però deve fare i conti con un
nodo culturale che porta a vandalizzare per passatempo ciò che appartiene alla
comunità, che molti interpretano ancora come qualcosa che “non è di nessuno”.
Se è vero che negli ultimi anni è in crescita il numero delle piste
ciclabili sul territorio, o almeno di quelle pianificate, e che gli spostamenti
in bici sono aumentati di oltre il 27% tra 2019 e 2020, il nostro
Paese è ancora lontano dalle vette di Paesi Bassi e Germania. D’altra
parte c’è il boom del cicloturismo, che secondo il Rapporto di
Isnart-Unioncamere con Legambiente, nel 2020 ha rappresentato il 18% della spesa turistica in Italia,
contro il 5,6% del 2019: un grande potenziale anche
economico, ancora non sfruttato appieno. L’Italia segue una tendenza che
ha già avuto riscontri molto positivi in tutto il mondo. A Copenaghen, le
infrastrutture e le decisioni delle amministrazioni hanno spinto i cittadini a
cambiare abitudini: grazie al Cykelslangen – un ponte ciclabile
sopraelevato presso il trafficato porto della città – aperto nel 2014 e al
più recente Lille Langebro, oltre ai crescenti spazi
cittadini dedicati, la bici è sempre di più il mezzo preferito dai locali, che
fanno a loro volta pressioni sull’amministrazione per ampliare i percorsi
ciclabili, in un circolo virtuoso. Ma anche Siviglia, ben lontana dalla realtà
danese, in pochi anni ha moltiplicato il numero di ciclisti
grazie alle iniziative dell’amministrazione, come piste ciclabili separate
dalla strada, integrazione con il trasporto pubblico, bici a noleggio gratuite
per una giornata e biciclette prestate agli
studenti per l’anno accademico. A Davis, in California, grazie ai collegamenti
extraurbani con il treno, all’autobus gratuito per studenti e impiegati
dell’università e al divieto
per gli studenti universitari di usare e parcheggiare l’auto
nel campus, è possibile – contrariamente al resto degli Stati Uniti – vivere
senza automobile e preferirle la bicicletta.
Per migliorare l’approccio italiano alla bici, ancora
lontano dal suo potenziale, è quindi auspicabile e necessario l’impiego
dei 361 milioni di euro stanziati dallo
scorso governo fino al 2024 per interventi per la sicurezza della
circolazione ciclabile cittadina e le ciclovie turistiche. Nel piano di investimento
rientrano i 45 chilometri del Grab (Grande raccordo anulare delle bici)
di Roma – il cui progetto sembrerebbe pronto a partire, dopo essere
stato recentemente al centro delle polemiche della
campagna elettorale – e altri 5.690 chilometri complessivi di nuovi
itinerari: dalla Ven-To, ancora in corso di realizzazione, alla
ciclovia dell’Acqua da Caposele ad Avellino e ancora la ciclovia da
Santa Maria di Leuca a Lecce e quella del Garda, la cui
progettazione sarà completata entro fine 2022, per poi
concludere i lavori entro il giugno del 2026; e infine la cosiddetta ciclovia della Magna Grecia. Parallelamente
alla realizzazione di queste infrastrutture per il turismo e la
ciclabilità urbana – che, superate le verifiche di fattibilità, hanno ottenuto i finanziamenti del PNRR
– è fondamentale anche spingere le due ruote, come ha fatto il bonus
mobilità che nel 2020 ha fatto toccare il record nelle vendite;
ora bisogna fare un passo oltre, incentivando l’abbandono dell’auto, da
sostituire con mezzi più ecologici e a misura d’uomo: sulla carta prova a farlo
il nuovo bonus bici 2021, che stanzia incentivi
per l’acquisto di biciclette e monopattini in cambio della rottamazione
dell’auto. Ma, nonostante sia già legge, è ancora in attesa del decreto
attuativo.
La bici poi porta anche ricchezza, misurata con
il Pib (Prodotto interno bici), ossia la
stima degli effetti economici diretti e indiretti degli spostamenti sulle due
ruote. Il Pib italiano ammonterebbe circa a 12 miliardi di euro, somma
della produzione di bici e accessori, delle “ciclovacanze” e dell’insieme delle
esternalità positive generate dai ciclisti (risparmio di carburante, benefit
sanitari o riduzione di emissioni nocive). E questo considerando che nel
2020 la bici, con il monopattino, è stata scelta il 4% di volte in meno sul totale degli
spostamenti rispetto all’anno precedente. La cifra complessiva, inoltre,
non tiene conto di misurazioni più difficili da rilevare come la diminuzione
dei tempi di percorrenza, il calo della congestione del traffico e il valore
aggiunto generato da una migliore qualità della vita percepita dai cittadini.
A Bi Ci, il secondo Rapporto Legambici sull’economia della
bici in Italia, ha incrociato il Pib con la percentuale di territorio ciclabile
nelle regioni italiane per stimare la “cicloricchezza” del Paese: la somma di
risparmio di carburante, benefici sanitari, contenimento dei costi ambientali e
sociali dei gas serra, riduzione di smog e rumore, abbattimento dei costi delle
infrastrutture e dell’artificializzazione del territorio determina un bonus
ambientale e sanitario pro capite l’anno pari a 179,5 euro in Veneto, 190 euro
in Trentino-Alto Adige e quasi 200 euro in Emilia-Romagna. Complessivamente il
valore supera il costo delle infrastrutture necessarie: se in tutte le città
italiane con più di 50mila abitanti si pedalasse come a Bolzano – dove ogni
chilometro di strada ciclabile produce un Pib di oltre un milione di euro
l’anno – Pesaro o Ferrara (tra le 12 città italiane che hanno numeri
paragonabili alle città del Centro e del Nord Europa), il Pib italiano supererebbe i 18 miliardi e garantirebbe
oltre 86mila nuovi posti di lavoro, con la
produzione di bici, la loro manutenzione e servizi logistici, invece che
importare un numero considerevole di automobili dall’estero.
Poco costosa (almeno nella sua versione base), la bici
è democratica perché accessibile a tutti e questo l’ha resa anche un emblema di
emancipazione. Forse anche per questo a fine Ottocento era considerata
una causa di follia, specialmente per le donne,
che per usarla agevolmente dovevano vestirsi in modo più pratico rispetto alla
moda dell’epoca. Ancora oggi, in alcuni Paesi non è scontato vedere una
donna che pedala. Ma la bici conviene economicamente ed è efficiente. Pedalare
fa risparmiare sulla palestra da un lato e dall’altro sulle spese per
carburante, manutenzione e assicurazione dell’auto, ma è anche un aggregante
sociale e fa bene alle comunità locali: in un’aria più pulita e in un contesto
più sicuro, pedonalizzare le città può, tra le altre cose, offrire ai bambini
aree di gioco all’aria aperta dopo la scuola e supportare teatri, bar e negozi.
Non da ultimo, chi attraversa un centro abitato in bici fa più acquisti nei negozi locali, creando un
beneficio per l’intera comunità.
In Italia sono ancora pochi gli esempi di integrazione
dei trasporti, con scarse agevolazioni per gli utenti di interscambio e ridotte
possibilità di trasporto bici su treni e mezzi pubblici locali. Il rapporto Isfort sulla mobilità presentato
di recente sottolinea l’urgenza di un piano nazionale per una mobilità urbana
in modo da farla diventare efficiente e integrata su tutto il territorio
– se necessario, anche attraverso iniziative di pricing e
interdizione al traffico. Le azioni a favore delle bici possono essere
impopolari, ma pagano sul lungo periodo. È quel che è successo negli anni
Settanta a Groningen, in Olanda, dove l’amministrazione, per arrivare al tasso
del 61% degli spostamenti urbani via bici, si
è scontrata con i negozianti del centro che temevano una diminuzione degli
avventori (che non avvenne). La stessa Amsterdam non è sempre stata la capitale delle due ruote che è
oggi, lo è diventata con iniziative dal basso avallate
dall’amministrazione. Per il momento il nostro Paese promuove la mobilità
ciclistica con un provvedimento entrato in vigore nel
2018, che prevede tra l’altro l’istituzione di Piani regionali per la
mobilità ciclistica, parte di un Piano nazionale che dovrebbe essere
varato entro fine 2021, e la nascita di
Bicitalia, una rete ciclabile nazionale integrata nell’europea EuroVelo.
Non abbiamo altra scelta: per frenare la crisi climatica bisogna agire su tutti
i fronti, compreso quello della mobilità sostenibile, che non a caso è inclusa nel Green Deal europeo. Per arrivare
alla neutralità climatica entro il 2050 bisogna ridurre le emissioni derivanti
dal sistema dei trasporti del 90%. È ora di iniziare a pedalare.
* da thevision.com – 23 novembre 2021 ( segui Silvia su The
Vision )
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