di
Massimo Marino
Ci
mancava Kabul per completare il quadro di chi parla di declino dell’Occidente. Un’
estate così miserabile, così triste, così apocalittica in qualche momento, non
me la ricordo. Che si guardi al Pianeta o che si guardi solo al nostro modesto
ombelico italiano sembra di assistere ad una marcia funebre. Disastro
climatico, disastro sanitario, disastro migratorio.
Disfattismo?
Eccesso di imbelle pessimismo? Non mi sembra. Anzi, per quanto mi riguarda penso
che non sarebbe mai tardi per darci una mossa. Di fronte alle tre crisi
continuo a pensare:
-
Che ne vanno studiate in modo meno superficiale le ragioni e indicati i
responsabili. Oggi non è così.
-
Che vanno approfonditi i modi di uscirne, ponendo obiettivi concreti, efficaci
e ragionevolmente ottenibili, invece dei blabla da social club. Oggi non
vedo proposte adeguate.
-
Che si debbano cercare le forme di aggregazione sociale, solidale, organizzata
e dotata di quelle leadership plurali che servirebbero per affrontare le crisi.
Impegno realizzabile ma oggi vedo modesti narcisi, non idee né protagonisti
adeguati al compito.
La
crisi climatica
Dalla
COP 21 (Conferenza delle Parti di Parigi, novembre 2015) sono passati quasi sei
anni e la COP 26 (Glasgow, organizzatori UK e Italia, novembre 2021) constaterà
inevitabilmente che gli impegni, a suo tempo già dichiarati non adeguati da
molti, non sono stati presi seriamente quasi da nessuno. Praticamente la gran
parte dei paesi (non sanzionabili in alcun modo se non lo fanno i loro elettori)
sono lontani dagli obiettivi e le azioni promesse non sembrano in corso. I
pre-colloqui di COP 26 girano a vuoto su tre argomenti:
1) Scaricare le colpe: è’ tutta colpa di
Cina e India. Fingendo di dimenticare i consumi unitari di fossili e le
emissioni di gas serra dell’Occidente, cioè USA ed Europa, che sono di gran
lunga i maggiori e la vera causa della crisi. Un cittadino americano consuma
circa otto volte il consumo medio individuale calcolato sull’intera popolazione
del pianeta.
2) Introdurre mediaticamente il concetto
di irreversibilità (alcuni fenomeni naturali sarebbero ormai
irreversibili quindi mettiamoci l’anima in pace e tiriamo avanti) senza
approfondire troppo le conseguenze di questa grave rinuncia a mantenere gli
impegni.
3) Mettersi d’accordo su quanti soldi
l’Occidente è in grado di impegnare in funzione anticrisi e sulle condizioni
per garantire che siano sempre le stesse multinazionali dei fossili e
dell’automotive e i loro cugini delle banche e della finanza a ottenere a loro
favore questi soldi.
Dal 2015 non c’è stato nessun atto
concreto per invertire seriamente il flusso di estrazione e consumo di fossili.
Nel mondo anzi l’estrazione di petrolio, metano e carbone ha continuato ad
aumentare all’incirca del 2% all’anno. In alcune aree dell’Occidente europeo una
modesta parte del carbone è stato sostituito dal gas metano. In pratica ad oggi
i cinque appuntamenti annuali COP degli ultimi anni si sono rivelati una
montagna di chiacchiere come d'altronde in più occasioni ci ha ricordato
Greta Thumberg. La situazione italiana dal 2014 (governi Letta, Renzi,
Gentiloni, Conte1-2, Draghi) rispecchia perfettamente questa situazione di immobilità
del modello energetico.
Invece di diminuire, le emissioni
annuali di CO2 nel mondo sono rimaste stabili (con lievi aumenti in alcuni anni)
dal 2015 al 2019, quando hanno raggiunto i 33 miliardi di tonnellate. Soltanto
il Covid nel 2020 ha portato ad una riduzione di quasi il 6% sull'anno precedente.
La concentrazione di CO2 in atmosfera
era di 400 ppm all’epoca di COP 21 nel 2015. Nel novembre del 2019 è stato
annunciato il nuovo preoccupante record: 410 ppm. Squilibri metereologici,
siccità e inondazioni, proliferazione degli incendi spontanei e dolosi in varie
parti del pianeta, sono le evidenti conseguenze della assenza di fatti
nuovi. L’unica vera novità sembra
essere la costatazione che le previsioni da tempo annunciate sul deterioramento
del clima in mancanza di drastici interventi si stanno rivelando
inaspettatamente imprecise. La velocità della crisi sembrerebbe essere molto
maggiore di quanto previsto. Ho in più occasioni parlato di generazione
cento, intendendo i nati dall’inizio dell’anno 2000 che nel corso di questo
intero xxi° secolo vivranno i pesanti effetti di questa crisi. Per certi versi
potrei essermi sbagliato per eccesso di ottimismo e la crisi sarà forse vissuta
in pieno già nella prima metà del secolo anche da quella parte di nati nel
dopoguerra del secolo scorso più longevi. I primi annunci sono ormai evidenti.
Nell’ultima parte di un mio precedente
intervento (qui) ho indicato obiettivi realistici ed
essenziali della transizione indispensabili per invertire la rotta. In sintesi:
- uscire dall’era dell’auto (che non
vuol dire eliminarle ma almeno dimezzarne l’uso in termini di km/persona/anno )
spostando la mobilità, dove non è possibile andare a piedi o in bicicletta, su
reti pubbliche metropolitane nelle principali città. Per l’Italia servono 1000 km di rete cioè 4-5
volte quella esistente. Progetto fattibile entro 10-15 anni.
- dimezzare i consumi di carne combattendo
il modello alimentare che alimenta emissioni, impoverimento del suolo,
diffusione dell’obesità. La scuola è probabilmente la prima linea per riorientare
i comportamenti su come e cosa mangiare.
- riformare i modelli di costruzione o
ristrutturazione delle abitazioni sia attraverso la protezione naturale sia con
apparati tecnologici per schermarci dall’insolazione estiva diretta ed evitare
così il condizionamento, sia usando tetti e superfici per il fabbisogno
energetico per il riscaldamento e per le utenze elettriche, ottenendolo
da rinnovabili attraverso pannelli e altre tecnologie. In Italia abbiamo almeno
15 milioni di tetti di abitazioni e capannoni utilizzabili di cui molto meno
del 10% sono coinvolti da interventi a fini energetici.
La crisi sanitaria
A 18 mesi dalla comparsa ufficiale del
Covid nel mondo si fanno strada valutazioni che ritengono che forse non ne
stiamo uscendo affatto, che non bastano le vaccinazioni e che per uscirne ci
vorranno anni. In Italia come in altri paesi stiamo cercando in realtà di non
far collassare le strutture ospedaliere e trovare un equilibrio fra il numero
di ammalati e di morti e la continuità delle attività economiche. Che è
cosa diversa da una strategia di eradicamento del covid. Fra gli altri trovo
chiaro e sintetico il punto di vista recente del sociologo Luca Ricolfi (qui e qui).
A due mesi dalla comparsa del Covid
nell’aprile 2020 lo psicologo spagnolo Tomas Pueyo pubblicò due lunghi
interventi (ne parlai qui), ricchi di dati e tabelle riguardanti
vari paesi, nei quali in sintesi si sosteneva
che “il balletto” con il coronavirus sarebbe durato a lungo nel mondo e che
solo con rapidi, brevi ma durissimi lockdown, accompagnati da altrettanto
rigide procedure di comportamento ( mascherine, distanziamento, tracciamento e
rigido isolamento dei positivi ) in
attesa di cure e/o vaccini davvero efficaci, avremmo limitato i danni. Gli
interventi di Pueyo, tradotti in decine di lingue, sono stati letti da molte
decine di milioni di persone nel mondo, fra le quali non sembrano esserci in
Italia né i promotori entusiasti delle campagne provax (alcuni dei quali ad
aprile 2020 sostenevano che entro 3-6 mesi ci sarebbe stato il vaccino che avrebbe risolto tutto, né
quelli delle campagne novax (nelle mille sfumature da “il virus non esiste” a
“i vaccini portano malattie” fino a “è solo un influenza” oppure “i morti sono
finti “). L’approccio sensato di Pueyo è rimasto pressoché ignorato; nelle
centinaia di dibattiti e interventi che ho seguito in 18 mesi non ho mai
sentito citare da politici, esperti o contestatori le riflessioni, tutt’oggi
assolutamente attuali, di Pueyo.
Va detto infatti che non c’è stato
nessun vero lockdown in Italia nella primavera del 2020 in particolare nelle
aree industriali del nord. A fine aprile 2020 quotidiani regionali
indicavano che in Veneto almeno 15mila aziende avevano “derogato” di fatto ai
decreti continuando la propria attività sulla base di un singolare criterio di
silenzio-assenso prefettizio. In Lombardia le deroghe di fatto sono state
almeno il doppio. Si tratta solo di esempi ma determinanti per la tragedia
lombardo-veneta durata almeno 12 mesi e concause della cosiddetta seconda e
terza ondata di contagi. Ricordo anche il fallimento di Immuni e di una seria
azione di tracciamento-isolamento in buona parte mancata in varie zone del
paese. Infine, ricordo i festeggiamenti romani per i successi mondiali del
calcio italiano, il rave musicale recente sospeso solo dopo una settimana
quando era finito, quanto si profila dopo la riapertura nel passato weekend
degli stadi di calcio con
l’avvio della serie A (27mila persone nello stadio romano sedute, accalcate,
urlanti per almeno due ore). Facciamo finta che ne stiamo uscendo
appellandoci a san gennaro, alle vaccinazioni o ad un protocollo di cura
certificato e fra qualche mese si vedrà.
Dichiarazioni contraddittorie,
desolante strumentalizzazione politica, protagonismo immeritato quanto incompetente
di governatori di vario colore, hanno progressivamente indebolito la
credibilità delle iniziative e allentato i comportamenti individuali che sono
il principale strumento di difesa. Comportamenti di una consistente
minoranza ai quali la variegata nebulosa novax ha fornito una deleteria
giustificazione.
Che la difficoltà a mettere sotto
controllo il virus sia diffusa a quasi tutte le latitudini del pianeta non è
alibi per tacere alcuni nostri errori e soprattutto non promuovere quella
necessaria riorganizzazione delle strutture sanitarie, che era tema rilevante
già prima, ma che non riesce ad emergere neanche oggi come tema prioritario e
urgente.
Al di là del Covid il settore della
salute e sanità (pubblica e privata) è un grande imbuto che accoglie risorse
economiche enormi, addirittura difficili da misurare. La sanità pubblica
(aziende, ospedali e ps, ambulatori, medicina generale di famiglia, pediatri,
assistenza domiciliare, guardie mediche, farmaci mutuabili e ricerca interna)
assorbe annualmente circa 120 mld (dati 2020, legge di bilancio pre-covid). In
realtà almeno un terzo di questa spesa attraverso le convenzioni viene ormai
dirottata al privato. In aggiunta la spesa privata fatta direttamente dalle
famiglie che ne hanno la possibilità è di circa 40 mld compresa parte dei costi
per RSA, mutue e fondi assicurativi. In valori reali i dati della spesa
pubblica sono pressoché stabili o lievemente in crescita negli ultimi 20 anni
anche se la composizione interna è mutata (da qui la diffusa opinione sui
“tagli alla sanità”): diminuzione delle spese per il personale (data in primis
dal blocco del turnover) e aumento dei consumi intermedi (spesa per i farmaci
ordinari e per malattie rare). L’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (legge
833 del 1978) introducendo l’assistenza sanitaria per tutti con abolizione
delle mutue professionali e poi l’affido
delle competenze alle Regioni, è stata una riforma storica, per vari aspetti
esemplare nell’intero occidente. Ha dovuto fare i conti progressivamente con la
sostenibilità economica, con i fenomeni corruttivi e clientelari, con la
pesante interferenza degli interessi privati.
Le due riforme correttive, la prima
basata sulle Aziende, considerate la strada giusta per ridurre i costi (legge 502/1992),
la seconda invece puntando sulla Razionalizzazione dei costi dei servizi offerti
(legge 229/1999) hanno progressivamente trascurato i servizi territoriali e la
necessità di fare rete fra scuola, assistenza, ambulatori, medici di famiglia e
le strutture maggiori, le aziende ospedaliere e il pronto soccorso.
L’attenzione dei media sulla presunta
sfida fra il sì e il no ai vaccini. Lo scarso interesse alle possibili
alternative di cura per il covid e la mancata definizione di seri protocolli
ufficiali. Lo strabordare di numeri quotidiani privi di significato dove non si
rispetta neanche la matematica elementare basata su contagi, ricoveri in terapia
intensiva, decessi, che andrebbero espressi sulla popolazione di uno
Stato o una Regione e non in valori assoluti. La valutazione dei dati
quotidiani grezzi che invece andrebbero espressi almeno come andamento
giornaliero visualizzato in media mobile a sette giorni. Un modo
ciarlatano, distorto, di fare informazione strampalata.
Tutto ciò ha diffuso qualunquismo e
sfiducia e consolidato una consistente minoranza che in fin dei conti
ritiene che il peggio è passato, che il vaccino non è indispensabile e che
non vale la pena mantenere le precauzioni di base, ignorando che nella gran
parte del pianeta il virus è ancora in espansione, le vaccinazioni sono
privilegio per pochi e sulle cure alternative c’è molta incertezza o disimpegno.
Se nell’immediato non abbiamo altre
possibilità che completare il primo ciclo vaccinale non possiamo ignorare che tutto
ciò ha allentato tragicamente i comportamenti individuali e l’efficacia del
tracciamento mentre ostacola il
procedere di un dibattito sulla necessità di rivedere i capisaldi del nostro
sistema sanitario e della qualità della salute. Non riusciamo ad andare più in
là dell’idea che l’unica eventuale riforma si basi solo sull’aumento più o meno
alto della spesa annuale da mettere in bilancio. Si veda il dibattito
strumentale sul MES sanitario.
Accenno qui solo con qualche battuta alle
convinzioni che mi sono fatto su come si debba ricentrare l’impegno
sulla salute aggiornandolo al nuovo secolo di fronte alle tre crisi di
cui qui si parla.
1) È necessario aumentare il livello di
salute di base delle nuove generazioni (che viene prima della cosiddetta
prevenzione) nell’arco della scuola primaria e secondaria (circa 6-18 anni) introducendo
una nuova materia specifica comune a tutti i gradi di istruzione
(salute-alimentazione-clima-conversione ecologica) ad esempio raddoppiando le 33
ore recentemente reintrodotte per la cosiddetta educazione civica-ambientale.
Tutta la popolazione giovane, compresi i giovani immigrati, attraverso le
strutture scolastiche e combattendo la dispersione deve praticare una
attività sportiva idonea in modo costante e pressoché gratuito, con l’introduzione anche del
medico scolastico a livello di distretto. Riflettere in modo pratico su
come mangiare, come consumare e riciclare, come muoversi e come vivere in casa.
Non parlo della solita generica lagna ambientalista diffusa in qualche scuola
senza lasciare tracce, ma di imparare a praticare comportamenti nella vita
quotidiana concreti, creativi, sostenibili. Ci sono già esempi nati dalla
iniziativa individuale di insegnanti virtuosi.
2) Il baricentro dell’assistenza sanitaria deve
spostarsi dagli ospedali (il cui numero in Italia forse deve diminuire non
aumentare) a nuove sedi di ambulatori attrezzati di zona che raccolgano al loro
interno in un'unica struttura tutto quello che in buona parte già
esiste (medici di famiglia da riconvertire, laboratori di analisi,
fisioterapie, assistenza domiciliare, guardie mediche, assistenza
sociosanitaria comunale, affiancati da una piccola rivendita di farmaci urgenti).
Queste strutture di zona dotate di una esile presenza infermieristica e delle
apparecchiature strumentali e di analisi meno complesse devono essere in
funzione H24 per sette giorni alla settimana e tranne eccezioni estreme devono
filtrare e lavorare in rete con gli ospedali riducendo drasticamente gran parte
dell’attività dei Pronto Soccorso Ospedaliero. Garantendo assistenza adeguata a
qualunque ora di giorno e di notte con un mini-ticket per le visite e con la disponibilità
immediata dei farmaci più comuni.
La crisi migratoria
Della crisi migratoria noi conosciamo
in fin dei conti una minuscola frazione attraverso l’eco mediatico (a fasi
alterne a seconda della maggiore o minore assenza di altre notizie) e la
visione di qualche singolo fotogramma, quello dei barconi, degli sbarchi e in
qualche caso l’eco dei morti in mare. Per lo più prevale l’uso interno del tema
che si presta bene per ogni campagna elettorale.
Milioni di profughi da guerre locali e
crisi ambientali sono invece ammassati per lo più lontani da noi.
Di quella minoranza che arriva ai
nostri confini, in parte consistente fatta oggi dai cosiddetti migranti
economici, non conosciamo le storie né di un attimo prima né di un attimo dopo l’avvistamento
in mare e lo sbarco. Del prima e del dopo dei migrati, come degli scafisti,
degli organizzatori dei barconi, del centinaio di gruppi e gruppetti criminali che
gestiscono l’affare, compreso lo sfruttamento successivo dei migrati (specie
delle donne) solo pochi validi cronisti d’inchiesta tentano di gettare una
luce. Il più è fuffa mediatica e agitprop politica fra i cosiddetti razzisti e
antirazzisti. Ho in più occasioni sostenuto (es qui) che non mi entusiasmano né gli uni né
gli altri. Difficile capire se creano più problemi i comportamenti di Salvini o
quelli di Carola Rackete pur considerando che entrambe le posizioni hanno
alcune sacrosante ragioni ma pochissime idee su come affrontare come società e
come istituzioni il problema nella sua oggettiva complessità.
Bisogna sradicare qualunque forma di
immigrazione clandestina o irregolare (dal mare, da terra, dal cielo o
attraverso i visti turistici), chiudere i porti e cancellare gli scafisti, in particolare
quella parte più organizzata come banda criminale che agisce sull’arco
africano, mediorientale e in parte asiatico. Il Mediterraneo è come un pozzo il
cui fondo è collegato ad una immensa falda acquifera. Se con un secchio tiri
fuori dal pozzo qualcuno e poi te ne disinteressi svuotando il secchio per
terra, semplicemente rinnovi il livello del pozzo con acqua nuova pressoché
all’infinito. Si tratta quindi di fare in modo meno disastroso tutto quello che
è possibile fare. Né il salvinismo né il racketismo ci sono molto utili.
Lo Stato deve sostituirsi agli scafisti, aprendo canali di immigrazione diffusa,
regolata, permanente, aprendo l’iscrizione a liste di
immigrazione in tutti i principali paesi (a partire da ambasciate e consolati)
in particolare quelli nelle aree o a ridosso di aree coinvolte da guerre o
calamità. Chiamiamoli corridoi umanitari permanenti. Esistono già
da alcuni anni pochi esempi praticati da alcune associazioni cattoliche con un
minimo supporto del ministero competente. Molti italiani sono a conoscenza di questo
nome soltanto da pochi giorni a causa dei voli di profughi da Kabul che però
hanno caratteristiche emergenziali mentre i corridoi umanitari dovrebbe
diventare la forma principale, stabile e permanente di
immigrazione programmata e legittima. Ad esempio si potrebbe iniziare portando a
termine davvero il progetto di svuotare con un ponte aereo o navale i luoghi di
detenzione libici dove vengono reclusi migliaia di migranti di diversa
provenienza, invece di rifinanziare la guardia costiera libica come fatto dal
Parlamento a metà luglio. Aprendo una
intensa battaglia per imporre all’intera UE questo metodo che mi sembra la sola
Merkel abbia in qualche modo compreso nel caso dei siriani. Organizzare forme
regolari di immigrazione, sbarrare la via a qualunque forma di immigrazione
irregolare, organizzare le strutture di integrazione indispensabili
(abitazione, scuola, aggiornamento culturale, canali di indirizzo lavorativo) è
sicuramente un impegno ingente ma non ha nulla di impossibile. Peraltro, è meno
strumentalizzabile da quelle forze xenofobe che in fin dei conti dalla irrisolta
situazione attuale hanno tutto da guadagnare.
*
Che si condivida o no queste proposte,
che se ne privilegino altre simili o decisamente diverse, credo che non si
possa evitare di mettere in primo piano la drammatica assenza di
protagonisti organizzati del cambiamento. In Italia per una decina di anni
molti di noi (io per primo) si sono affidati, magari senza particolari
entusiasmi, alle possibilità di cambiamento data dal singolare successo del
Movimento 5Stelle in un deserto culturale e politico in cui né la nebulosa
vagamente ambientalista, tantomeno i rimasugli della cosiddetta sinistra
producevano altro che frammenti insignificanti di idee, di progetti, insieme a
leader inadeguati alla sfida. Tant’è che oggi ne l’ecologismo né la sinistra
del passato sono in grado di proporre al paese un qualunque progetto in grado
di superare il consenso di più del 2-3% degli elettori. La comparsa della
tenerissima quindicenne Greta Thumberg, che ha messo in campo anche da noi
migliaia di giovanissimi, ci ha dato nuove speranze ma non si capisce che altro
le potremmo chiedere adesso che è diventata diciottenne e continua a denunciare
che non sta cambiando nulla. Le due nuove sigle che si sono così aggiunte nel
campo ambientalista (Friday For Future e Extinction Rebellion) almeno in Italia
sono rapidamente diventate gruppuscoli, due delle tante siglette in aggiunta a
Greenpeace, Legambiente, WWF, etc.. etc.. . Il nuovo partito (tale dovrebbe
essere) di Conte, che dovrebbe nascere sulle ceneri di quel che resta dei
grillini, non ha ancora deciso in modo definitivo se sarà un terzo polo
radicale collocato al centro della scena politica e culturalmente autonomo da
tutti, o un altro gregario del cosiddetto campo progressista candidandosi in
questo caso ad una rapida dissoluzione al primo appuntamento elettorale.
Eppure, dalla società italiana in
più occasioni è emersa una chiara maggioranza (certo senza padri e riferimenti),
disponibile ad un radicale cambiamento sociale. A parte il lontano referendum antinucleare
del novembre 1987 ricordo i referendum del giugno 2011 (acqua pubblica, beni
comuni, di nuovo no al nucleare), il sorprendente successo grillino delle
elezioni politiche del febbraio 2013, il rifiuto della riforma costituzionale
di Renzi (dicembre 2016), la debacle dei vecchi partiti di destra e sinistra rottamati
nelle elezioni politiche del marzo 2018.
Nel resto dell’Europa siamo
all’immobilismo più totale. Le elezioni in Germania di settembre difficilmente
vedranno una nuova leadership fuori dal campo CDU-SPD insieme all’uscita di
scena della Merkel, forse l’unico vero leader europeo. Gli altri paesi più
rilevanti preannunciano eventuali nuove leadership ancora più desolanti di
quelle attuali: Boris Johnson, Pedro Sanchez, Emmanuel Macron.
Davvero possiamo sopportare di
affrontare le crisi che incombono con questo scenario desolante rassegnandoci
all’idea che non si possa fare nulla per cambiarlo?
nelle
foto: 1) c’era una volta un lago 2) condizionatori, dal video musicale Crow
(Forest Swords) 3) panorami, dal video musicale
Gosh (Jamie XX)