Il recovery ha trovato l’”anima”: eccola. Perde la sanità. Ridotte della metà le risorse ai presìdi territoriali. Il 20% dei fondi del Pnrr va a confindustria e alle famiglie resta soltanto il 5 Salute. Il Def traccia la strada: spesa giù fino al 2024
di Marco Palombi *
Chi nei mesi passati aveva pensato che la pandemia e, eufemizzando, le difficoltà incontrate dal Sistema sanitario nell’affrontarla avrebbero portato a un cambio di paradigma per il futuro, a pensare alla salute non più come una spesa ma un investimento, ha sbagliato indirizzo, Paese e soprattutto governo. L’analisi incrociata della missione “Salute” del Piano di ripresa (Pnrr) e del Documento di economia e finanza (Def) per il triennio 2022-2024 dimostrano che l’attuale esecutivo, ancor più del precedente, non vede l’ora di tornare al business as usual: cioè, all’ingrosso, a com’era il Servizio sanitario nazionale dopo la cura di tagli cui è stato sottoposto per un quindicennio.
Inizieremo dal cosiddetto Recovery Plan che in realtà non recupera quasi nulla: la cifra che il Pnrr Draghi dedica alla salute è un po’ inferiore a quella del Pnrr di Conte (circa 18 miliardi, all’ingrosso 600 milioni in meno). La parte che ci interessa è la missione 6.1 dedicata all’assistenza territoriale: 7 miliardi destinati a tre obiettivi, gli stessi già presenti nel Piano di gennaio, ma con un tale spostamento interno di risorse che ne risulta di fatto stravolta l’impostazione, peraltro essendo il ministro della Salute lo stesso in entrambi gli esecutivi, cioè Roberto Speranza. La sostanza è che gli investimenti nella rete sanitaria sono dimezzati e ora si punta tutto sull’assistenza a casa e la telemedicina (nel senso di “a distanza”).
Partiamo dal progetto originale, quello di gennaio, che era un tentativo di ricostruire la rete fisica del Ssn – falcidiata per anni da chiusure e accorpamenti, spesso a favore di strutture private – i cui effetti nefasti sono stati evidenti a tutti con l’arrivo del Covid. Primo obiettivo: 4 miliardi di euro erano destinati all’apertura di 2.564 Case della comunità (una ogni 24.500 abitanti) “con l’obiettivo di prendere in carico 8 milioni circa di pazienti cronici mono-patologici e 5 milioni circa di pazienti cronici multi-patologici”. Le Case della comunità sono strutture pubbliche in cui si troveranno medici di medicina generale e specialisti, infermieri e altri professionisti della salute, più addetti ai vari servizi sociali (nelle intenzioni questo capitolo del Pnrr doveva interagire con quello dedicato all’housing sociale e alla rigenerazione urbana). Secondo obiettivo: due miliardi per aprire 753 Ospedali di comunità (uno ogni 80mila abitanti) per ricoveri di breve durata (massimo 15-20 giorni). Terzo obiettivo: un miliardo per realizzare 575 Centri di coordinamento per l’assistenza domiciliare con “51.750 medici e altri professionisti attivi, nonché 282.425 pazienti con kit technical package attivo” per la telemedicina (per cui andranno anche definite le linee guida).Il Pnrr di Draghi stravolge questa impostazione: dimezza i fondi e il numero sia delle Case di comunità (2 miliardi) che degli Ospedali di comunità (1 miliardo) e punta tutto sull’assistenza domiciliare e la telemedicina (4 miliardi) con “l’obiettivo di prendere in carico il 10% della popolazione over 65 entro il 2026”.Più alto l’investimento una tantum per tecnologia e strutture digitali, meno onerosi i costi di gestione e, però, anche l’impatto sulla vita dei territori, specie nelle cosiddette aree interne (maggiormente bisognose di infrastrutture sociali). Questo a non dire che la telemedicina rischia di essere una bella idea con pochi agganci con le condizioni concrete della popolazione: basta immaginare migliaia di anziani alle prese col “kit technical package”.
Questa scelta del governo, come detto, è in linea con le previsioni del Def del mese scorso: alla fine del triennio 2022-2024, dice l’esecutivo, la spesa sanitaria dovrà calare in rapporto al Pil di un punto percentuale tondo (dal 7,3% del 2021 al 6,3% che era il livello previsto nel 2020 senza il coronavirus).Detta in altro modo, secondo i calcoli del Forum per il diritto alla salute, una discesa a un tasso medio annuo dello 0,7% in anni in cui il Pil nominale è previsto crescere in media del 4,2%. Cosa significa questa scelta? Che le maggiori spese dell’ultimo biennio saranno riassorbite quasi senza lasciare traccia: non solo quelle per i farmaci o le migliaia di degenze in ospedale, ma anche quella per il personale assunto (in gran parte precario) e le strutture messe in piedi per l’emergenza. L’Italia tornerà dunque a essere tra i Paesi europei che spendono meno in salute: il nostro 6,3% sul Pil di partenza (e di arrivo al 2024) ci poneva largamente dietro i dati pre-Covid di Germania (9,9%), Francia (9,4), Svezia (9,3), Olanda (8,2) e Gran Bretagna (8%), come si vede Stati con modelli molto diversi tra loro. Cosa che il governo ovviamente sa: ce la siamo cavata, “nonostante la spesa sanitaria sul Pil risulti inferiore rispetto alla media Ue”, scrive nel Pnrr.
Se la spesa pubblica è bassa, tende ovviamente a salire quella privata diretta: il 2% del Pil qui da noi, la metà in Francia e Olanda, l’1,4% in Germania.
* da ilfattoquotidiano - 9 maggio 2021
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