8 febbraio 2021

Banda ultralarga, il 41% delle linee funziona ancora con il doppino di rame.

Servono nuove regole (e sanzioni in caso di ritardi).  

Siamo ancora molto lontani dall'avere una nuova rete di telecomunicazioni in fibra su tutto il territorio. Nelle aree non ritenute redditizie dagli investitori privati gli investimenti pubblici potrebbero slittare di almeno un anno e mezzo. L'altro problema è che Infratel non ha strumenti per costringere gli operatori a mantenere le promesse. Così il 20% del dichiarato nel 2018 non è ancora coperto da connessione veloce.

 


di Fiorina Capozzi *  

Per la diffusione della fibra in Italia non resta che sperare nei soldi del Recovery fund. Nonostante gli investimenti fatti dagli operatori e da Open Fiber, la controllata di Cassa Depositi e Prestiti e dell’Enel, la rete di nuova generazione resta ancora un miraggio per milioni di italiani. Secondo gli ultimi dati dell’Autorità di vigilanza sulle telecomunicazioni, diffusi il 18 gennaio, poco meno della metà (il 41,4%) delle linee telefoniche nazionali (20 milioni) funziona ancora con il doppino di rame. Appena il 7,5% ha una connessione di nuova generazione. Buona parte del Paese (il 43,9%) viaggia su un misto fibra-rame e il resto (7,3%) sfrutta un sistema fibra-onde radio (FWA). Ciò spiega del resto perché, secondo il terzo rapporto Censis-Auditel, 3,5 milioni di italiani siano rimasti senza connessione nei giorni del lockdown e tuttora non abbiano la possibilità di utilizzare internet veloce per lavorare e studiare.

Detta in altri termini, siamo ancora molto lontani dall’avere una nuova rete di telecomunicazioni integralmente in fibra diffusa su tutto il territorio nazionale. Se infatti nei centri urbani la connessione corre veloce, non accade lo stesso nelle cosiddette aree bianche e grigie, zone cioè non ritenute redditizie dagli investitori privati. Nelle aree grigie, in particolare, gli investimenti pubblici potrebbero slittare di almeno un anno e mezzo. E si tratta di zone in cui si trova circa il 65% delle imprese italiane, secondo quanto riferiva nel 2019 il Libro bianco sul digital divide della società di consulenza EY. Il governo aveva stanziato 1,1 miliardi per connettere con la fibra 9 milioni di abitazioni localizzate in aree grigie dove per definizione si svilupperà un solo operatore e la rete verrà costruita con contributo pubblico. Ma, causa contabilità Covid, l’investimento è stato rinviato.

L’intenzione dell’esecutivo è di utilizzare quella somma, assieme ad altro denaro che dovrebbe arrivare con il Recovery fund totalizzando circa 4 miliardi di investimenti in fibra di cui circa 2,5 dedicati alle aree grigie. Teoricamente, se tutto filerà liscio, la gara per avere accesso ai fondi pubblici per cablare le aree in questione potrebbe partire a luglio. Di conseguenza operativamente i lavori per posare la fibra nelle aree grigie non partiranno prima del 2022. Ricorsi permettendo. Nelle ultime gare per l’assegnazione dei fondi pubblici per la fibra, vinte da Open Fiber, i ricorsi di Tim hanno fatto slittare la reale posa della fibra di almeno un anno. A conti fatti, quindi, nella peggiore delle ipotesi, le imprese e gli abitanti delle aree grigie potrebbero dover attendere ancora un paio di anni. Un periodo monstre per il mondo di Internet. “Proprio per evitare questo rallentamento, in altri Paesi europei, come ad esempio la Francia, le amministrazioni tendono ad assegnare la gara anche se c’è un ricorso pendente”, spiega un esperto che preferisce mantenere l’anonimato.

Come se non bastasse tutto questo, a completare lo scenario c’è il fatto che non esiste un sistema di sanzioni agli operatori che promettono di fare investimenti in date aree in tempi certi, ma che poi tardano o addirittura non li fanno. Tecnicamente, prima di definire un bando per l’assegnazione dei fondi pubblici, infatti la società del Mise, Infratel, effettua delle consultazioni sulle intenzioni di investimento dei diversi operatori sul territorio nazionale. L’obiettivo è capire quali sono le aree su cui dovrà necessariamente intervenire la mano pubblica. Sulla base della consultazione, infatti, Infratel definisce le zone per l’assegnazione dei fondi statali e poi controlla nel tempo se gli investimenti promessi vengono o meno realizzati. Senza tuttavia avere alcuno strumento operativo per costringere l’operatore a mantenere le promesse fatte in passato. Così accade che il 20% del dichiarato dagli operatori nel 2018 non sia oggi ancora coperto da connessione veloce. I casi eclatanti non mancano.

In Lombardia, a Fino Mornasco, la fibra di Tim, come da promesse ad Infratel, doveva arrivare a fine 2018. E, invece, la connessione ad alta velocità arriverà solo nel 2021. Situazione analoga si è verificata a Gallarate e in un altro centinaio di comuni sparsi lungo tutto la penisola. Tutto sarebbe più facile se ci fosse una sola società che costruisce la rete come vorrebbe anche il governo. Ma al momento il progetto che prevede le nozze fra la FiberCop di Telecom e Open Fiber è in alto mare. Dal canto suo, l’ex monopolista ha tentato di fare un passo in avanti depositando all’Agcom un progetto di coinvestimento su scala nazionale per cablare 1610 comuni di cui il 75% nelle aree nere e grigie entro il 2025. Ci saranno ora sei mesi di tempo per verificare l’interesse degli altri operatori, inclusa Open Fiber.

Intanto però resta il problema di chi poi controllerà la velocità con cui il progetto sarà portato avanti. Con il nuovo codice delle comunicazioni, che presumibilmente potrebbe entrare in vigore in primavera, c’è la possibilità che le cose cambino con il passaggio della competenza sul controllo degli investimenti degli operatori da Infratel all’Agcom. L’ipotesi di lavoro è un nuovo modello ad ispirazione francese in cui i privati che vogliono investire in fibra su determinate aree firmano impegni scritti che, se non rispettati nel tempo, fanno scattare pesanti sanzioni. L’opzione non piace alle aziende del settore perché limita i margini di manovra per l’aggiustamento del bilancio, ma è funzionale alla necessità di tempi certi per avere una rete di telecomunicazioni di nuova generazione nel Paese.

Infine, mentre la rete in fibra avanza lentamente, la connessione veloce, soprattutto nelle aree montane, è sempre più affidata alla tecnologia Fwa (Fixed wireless access), cioè un sistema di ponti radio che si collega poi al network in fibra. E’ un sistema che in parte viene sfruttato anche da Open Fiber, che ha vinto tutte le gare pubbliche di Infratel per costruire la nuova rete. I due maggiori operatori del settore, Eolo e Linkem, stanno investendo molto. Secondo un’indagine commissionata da Eolo, alla fine del 2019, gli accessi in FWA si attestavano attorno a 1,3 milioni di unità, ma sono destinati a superare i 2,5 milioni nel 2023. Nel segmento delle Pmi, gli accessi dovrebbero passare da 110.000 a 350.000 unità. Colmando in parte il gap delle aree grigie. Poi resta il tema delle aree bianchissime. Circa 200 Comuni dove non arriva né la fibra né l’Fwa. Per questi centri, Open Fiber ha pensato di utilizzare il satellite grazie ad un accordo con con l’operatore satellitare Telespazio, joint venture tra Leonardo (67%) e la francese Thales (33%).

* da ilfattoquotidiano.it - 8 febbraio 2021

 

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