Pandemia e
guerra. La missione europea Irini prevede un numero limitato di comparse: per
ora partecipano solo navi greche e italiane, la Francia deve ancora arrivare
mentre la Germania, che pure aveva promosso l’iniziativa, sta ancora decidendo
cosa fare. Così a Tripoli e in Cirenaica arrivano armi e mercenari da ogni dove.
di Alberto Negri *
La guerra
sotto casa continua, con i suoi 20 milioni di fucili, sei milioni di abitanti e
quelle centinaia di migliaia di «invisibili» profughi che nessuno vuole, ora
attanagliati come tutti anche dalla pandemia. La Libia è il ventre molle
dell’Europa, proclamava Churchill nel ‘42 mentre le truppe del generale
Montgomery avanzavano ben oltre El Alamein. Deve essere ancora così perché oggi
la Libia (come la Siria) è sempre più una faccenda tra Erdogan e Putin e i loro
alleati sul campo e nella regione, con gli Usa innervositi dalla presenza russa
e gli europei che si stanno misurando con un altro flop annunciato, la missione
Irini contro il traffico d’armi.
Lasciamo
annegare profughi in mare ma nei porti libici e via terra i rifornimenti
bellici arrivano eccome, dai turchi, dagli arabi e persino dagli europei. Alla
faccia dell’embargo e delle false tregue da coronavirus. Che ci sia aria di un
altro fallimento europeo e dell’Onu – che non è ancora riuscito a sostituire il
suo vecchio inviato Ghassam Salamé – lo si intuisce anche da una pagina che il New
York Times dedica alla Libia e ai giochi dell’amministrazione Trump con il
generale della Cirenaica Khalifa Haftar. Il quotidiano americano ci informa che
la Libia è stata «lasciata ai russi» proprio da Trump che ha subito l’influenza
del principe degli Emirati Mohammed bin Zayed e soprattutto di Al Sisi, «il
dittatore preferito» del tycoon americano. Al Sisi avrebbe convinto Trump un
anno fa ad appoggiare l’offensiva di Haftar contro Tripoli ma intanto l’Egitto
ha aperto una base militare segreta per la Russia, destinata a rifornire i
mercenari della Compagnia Wagner e le milizie della Cirenaica. Gli americani
avrebbero messo inoltre le mani su documenti che comprovano i legami tra Mosca,
gli ex gheddafiani e Seif Islam, figlio maggiore del dittatore ucciso nel 2011,
reclutati per condizionare le mosse di Haftar ritenuto dai russi un alleato non
così affidabile: per sostenerli Mosca li ha anche dotati di una tv satellitare
(Libya Alhadat).
In tutto
questo l’Europa sembra avere un ruolo assai secondario. In realtà è complice di
una tragica sceneggiata. L’operazione navale Irini per contrastare il traffico
d’armi appare una buffonata partorita dopo la Conferenza di Berlino del gennaio
scorso. Le navi sono dislocate solo nell’est del Paese, non possono operare
nelle acque territoriali libiche e neppure via terra. E siccome la maggior
parte dei rifornimenti di Haftar arrivano dal confine con l’Egitto, è chiaro
che l’embargo viene continuamente violato.
Ma neppure
Sarraj può lamentarsi. Nessuno pensa davvero di disturbare la Turchia, insieme
al Qatar il principale sponsor di Tripoli, un membro storico della Nato con cui
l’Europa scende sempre a patti per trattenere tre milioni di profughi. Non
solo: le ispezioni sulle navi devono avvenire con il consenso dello stato di
bandiera e Ankara, per prevenire «sorprese», mantiene cinque fregate di fronte
alle coste libiche.
La
sceneggiata, poi, prevede un numero limitato di comparse. Alla missione Irini
per ora partecipano solo navi greche e italiane, la Francia deve ancora
arrivare mentre la Germania, che pure aveva promosso l’iniziativa, sta ancora
decidendo cosa fare. Così a Tripoli e in Cirenaica arrivano armi e mercenari da
ogni dove. Anche armamenti europei, triangolati con carichi dall’Arabia saudita
e dagli Emirati arabi che sono i maggiori acquirenti dell’industria bellica
occidentale. La missione Irini serve agli europei per salvare la faccia ma è
inefficace anche nei confronti del contrabbando di petrolio che prosegue senza
sosta mentre il Paese dal 17 gennaio – data del blocco delle esportazioni – ha
perso tre miliardi di dollari e la produzione è scesa a 80mila barili, quasi
niente, il che dovrebbe allarmare pure l’Eni il maggiore operatore straniero.
Sarraj e
Haftar con i loro sponsor sono quindi liberi di farsi la guerra e lo stanno
dimostrando le ultime battaglie durante le quali Haftar ha subito una serie di
sconfitte da parte del governo di Tripoli che è tornato a controllare tutta la
costa a ovest della capitale fino alla frontiera con la Tunisia.
Il livello
dello scontro si sta alzando: Sarraj ha escluso qualsiasi trattativa mentre il
portavoce di Haftar ha dichiarato che il generale «sta combattendo una guerra
di liberazione contro l’esercito turco». Ed è proprio questa presenza della
Turchia che qualche giorno fa ha spinto una delegazione di Bashar Assad nel
quartiere generale di Haftar a Bayda per firmare un accordo ripreso dalle
telecamere. Siria e Libia sono sempre
più guerre «comunicanti». In vista di un rientro ufficiale nella Lega araba,
Damasco si avvicina al campo filo-saudita, emiratino ed egiziano alleato di
Haftar, uno schieramento anti-turco e anti-Fratelli Musulmani. Quello che più
piacerebbe a Trump – con raìs e monarchi assoluti – se a sostenerlo non ci
fosse la Russia di Putin.
*
da il manifesto -18 aprile 2020
Nessun commento:
Posta un commento