di Sergio Di
Cori Modigliani *
Che cosa fa, tutto il giorno, Emma Bonino nel suo ufficio? Sarebbe bello saperlo.
E' probabile
che al mattino si dedichi alla caccia dei secondi, dei minuti, delle ore. Cioè
sta cercando di prendere tempo. Al
pomeriggio, invece, infila una comoda tuta, un giubbotto di sicurezza, un
solido casco e si inerpica sulle cornici delle splendide specchiere della
Farnesina. Cioè si arrampica sugli specchi.
La immagino
così, che non sa come e quando poter dare alla nazione l'annuncio ufficiale di
informazioni che ci riguardano, scritte su un foglietto che le è stato
recapitato. In un paese normale, invece di star
qui a perdere tempo sulla Pascale e compagnia bella, da almeno dieci giorni
l'intera nazione dibatterebbe, si confronterebbe e argomenterebbe, alla ricerca
di una soluzione su un tema fondamentale, che il Presidente del Consiglio e il
Ministro degli Affari Esteri, insieme, avrebbero comunicato ufficialmente
alla nazione. Da noi, invece, e' stato censurato,
sottaciuto, nascosto. Occultato all'attenzione generale.
Perchè da
noi tutto è sempre occulto, nascosto, clandestino, opaco. Mai trasparente. Si tratta di un aspetto puramente tecnico-formale,
dotato però di una furibonda carica simbolica, che sottende una tragica
sostanza che dovrebbe indurre tutti, nessuno escluso, a interrogarsi sul futuro
della nostra nazione.
La notizia è
la seguente: "nel rispetto della consueta procedura, il Fondo Monetario
Internazionale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio, la Banca Mondiale e
l'ufficio economico del Consiglio d'Europa, hanno comunicato formalmente al
governo italiano che al prossimo G8 il nostro paese non parteciperà perchè non
verrà contemplata la sua presenza". Discriminazione? Complotto? Ce l'hanno con gli italiani e con l'Italia? Assolutamente no. Per la prima volta, dopo trentatrè anni, l'Italia -come potenza economica
mondiale- viene retrocessa al decimo posto. E' ufficiale. In verità lo era già da diciotto
mesi.
Ma grazie ad
alchimie diplomatiche (chissà quello che ci deve essere costato e nessuno verrà
mai a dircelo) era stato posposto, con la complicità dei brasiliani (sono loro
a prendere il nostro posto) che evidentemente avevano accettato di rimandare
l'evento. Non solo.
I dati
ufficiali sono impietosi: dal 2015 (praticamente domani) l'Italia non
parteciperà più neppure al G10. La nona potenza ben accolta sarà la Russia, e
la decima l'India. Forse, gli italiani, prima di
accorgersi dell'impatto spaventoso che questo inarrestabile trend sta
provocando nella gestione collettiva degli affari di Stato, aspettano il 2020,
anno in cui, continuando così, non parteciperemo neppure al G20. A quel punto,
è probabile, qualcuno si sveglierà. Ma ormai, conteremo talmente poco, ma
talmente poco, da non essere più in grado di far ascoltare la nostra
voce. La Storia, che non fa sconti a nessuno, ci condannerà alla periferia
della civiltà, identificati nel gruppo di nazioni regredite, quelle che non hanno
più possibilità di riprendersi, come un malato collassato. Nel 1949 l'Italia era distrutta.
Povera per
davvero, priva di una spina dorsale industriale funzionante, senza
infrastrutture, con un analfabetismo intorno al 70%, una disoccupazione pari al
65%. Eravamo al 29esimo posto nel ranking mondiale.
Nel 1959,
solo dieci anni dopo, un'accorta classe politica dirigente e imprenditoriale ci
aveva fatto risalire fino al 12esimo. Nel 1969 eravamo diventati la prima
industria manifatturiera d'Europa e raggiungevamo la decima posizione. Nel 1979 eravamo ottavi. Il 1 giugno del 1980 entravamo -e ce lo eravamo conquistati- nel cosiddetto
G8. Nel 1983 eravamo settimi. Nel 1985 eravamo sesti.Nel 1987 eravamo quinti. La Gran Bretagna, la Germania, la Francia, schiumavano
dall'invidia: questa piccola nazione scombiccherata era leader nel mondo in
almeno 25 segmenti di mercato su 100.
E non era
mitomania. Si trattava di fatti reali accertati.
Poi, l'8
novembre del 1989, è crollato il muro di Berlino ed è finita un'altra guerra
europea. Quella fredda.
Il fatto che
fosse fredda non vuol dire che non fosse, pur sempre, una guerra vera e
propria.
E la Storia
dimostra che le nazioni in grado di riprendersi dopo una guerra, magari persa,
sono quelle in grado di fare i conti con se stessi, di elaborare il lutto, di
leccarsi le ferite, di approfittare dell'occasione per liberarsi dalle zavorre
strutturali. Soprattutto capaci di avere una grande visione globale del nuovo
ordine mondiale.
Perchè
quando una poderosa guerra finisce, gli assetti geo-politici cambiano.
Dovunque è
stato fatto: in Russia, in Germania, in Francia, in Gran Bretagna, in Usa. Da noi no.
Nel 1999,
dieci anni dopo, dopo una spruzzata di ipocrisia giustizialista inutile quanto
spettacolare, la classe dirigente politica italiana era la stessa del 1989. Con
nomi nuovi, identità fittizie, subdole manipolazioni, ma sempre la stessa era.
La tendenza trasformista e doppiogiochista della nostra etnia, invece di essere
dibattuta, curata e superata, per evolversi ad un livello superiore attraverso
un gigantesco psico-dramma collettivo, diede vita alla struttura portante del
Gran Regno d' Ipocritania.
Si
imbarcarono tutti a vicenda, altro che resa dei conti. Nel 1999 in Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia,
Russia, non esisteva nessun soggetto politico attivo nelle classi dirigenti che
fosse lo stesso o affiliato o apparentato con i sistemi politici precedenti al
1989. Neppure uno.
Da Romano
Prodi a Silvio Berlusconi, da Massimo D'Alema a Fabrizio Cicchitto, da Umberto
Bossi a Fausto Bertinotti, da Mario Monti a Pierferdinando Casini, da Giulio
Tremonti a Corrado Passera (giusto per nominare i più noti) si sono passati
l'un l'altro la palla con la caratteristica (questa sì tutta italiana) di non
assumersi mai nessuno (nel senso di neppure uno, una volta, magari per caso) la
responsabilità di una propria colpa, un proprio errore, un proprio vizio. Tutte
queste persone insieme hanno collaborato attivamente e consapevolmente, con
macabra lucidità e serena superficialità da incoscienti infantili, al varo di
un programma di regressione collettiva della nazione Italia, i cui risultati
stanno sotto gli occhi di tutti.
In un tragico (ma interessante) articolo scritto da Luciano Parente su Il
sole24ore di qualche giorno fa dal titolo "Non
solo Merkel: ecco perchè l'Europa ci mette sul banco degli imputati"
il giornalista spiega la squallida immagine che l'Italia offre di se
stessa al resto d'Europa. Dice l'articolista: "L'Italia è pesantemente in
ritardo nell'attuazione delle regole imposte a livello comunitario. Lo scorso anno sono stati
36 i nuovi dossier aperti da Bruxelles contro il nostro Paese. Il risultato
peggiore dell'intera Unione europea..... a rilevarlo è il monitoraggio annuale
della Commissione europea appena diffuso. Si potrebbe pensare che è il
risultato negativo di un anno magari magari frutto della necessità di tamponare
a livello legislativo gli effetti della crisi economica e finanziari. E invece
no. Perché al nostro Paese i primati in questo senso non solo piace
raggiungerli ma anche consolidarli. Già perché a fine 2012 erano ben 99 le
procedure ancora aperte contro l'Italia per il "vizio" di rallentare
il passo quando si tratta di rinnovare regole e metterle al passo con gli altri
partner comunitari o di non rispettare le regole del diritto
comunitario..... il ritardo dell'Italia emerge anche da un altro dato: il
problema è avvertito non solo dai vertici della Commissione ma anche dagli
stessi cittadini. Le "lamentele" che arrivano dal basso a Bruxelles
riguardano prevalentemente ambiente, giustizia, mercato interno e concorrenza.
Ebbene la maggior parte sono indirizzate contro l'Italia (438). Tutto questo
mentre a livello complessivo l'Unione europea ha visto ridursi le procedure di
infrazione ancora aperto per ritardi o mancato ricevimento. Un calo del 25% tra
2011 e 2012 (si è passati da 1775 al 1343): segnale evidente che alcuni nuovi
strumenti per pungolare gli Stati adottati negli ultimi anni ed evitare lunghe
querelle stanno dando i loro risultati.....il problema va ben oltre il dato
numerico, perché ritardi nell'attuazione comportano una legislazione meno
aggiornata su molti temi che impattano anche con la competitività del Paese e
che, quindi, finiscono con il creare disparità rispetto a chi si è già adeguato....".
Se l'Italia non stesse dentro l'Europa come stato membro, gli europei non la
considererebbero neppure una nazione civile. Banche con bilanci falsificati,
non è stata rispettata nessuna procedura prevista già per il 2002, 2006, 2009,
2011, 2012 per ciò che riguarda il problema delle carceri, l'agricoltura,
l'innovazione tecnologica, l'applicazione del reddito minimo di cittadinanza
garantito (siamo soltanto due paesi in Europa a non averlo, noi e la Grecia).
Se non fosse stato per l'Europa molti cittadini italiani non avrebbero mai
saputo neppure che l'Ilva esisteva e che a Taranto c'era un tragico problema.
Non solo. Dieci giorni fa è partita l'ultima denuncia da parte sia del
Consiglio d'Europa che della Commissione Europea contro i ministri
dell'ambiente del governo Monti e di quello attuale, per non aver risolto il
problema rispettando la consegna europea. La lista sarebbe lunghissima. La
responsabilità non è della Merkel, di Hollande, di Cameron o di Mario Draghi.
Se uno vuole contrattare e discutere un contratto deve
poterselo permettere.
Due anni fa il governo brasiliano prese a schiaffi
quello italiano rifiutandosi di consegnare l'ex brigatista Battisti, condannato
per omicidio. Era una prova di forza del Brasile che (guarda caso proprio in
quei giorni) vedeva per la prima volta nella Storia il proprio pil superare
quello italiano. Identica vicenda con i marò indiani. L'India tiene duro per
dimostrare di essere una potenza che merita di stare nel G10 scalzando l'Italia
che si fa tranquillamente scalzare: abbiamo sempre qualcosa da farci perdonare.
Tutto ciò per rispondere alle continue sollecitazioni
di commenti e rimbrotti di sovranisti, complottisti vari, tutti furiosamente
anti-europeisti.
Non è vero che l'Europa ha fatto declinare l'Italia: è
falso. E' vero il contrario. E' stata l'Italia, paese fondatore dell'Unione
Europea, ad aver dato un solido contributo al declino dell'Europa, perchè non è
stata in grado di produrre, negli ultimi 23 anni, uno straccio di classe
dirigente politica e imprenditoriale che fosse un minimo presentabile e quindi
in grado di poter dettare legge, Leggi, normative a favore della propria
nazione e dare anche un solido e serio contributo a spostare l'ago della
bilancia dalla finanza speculativa alla battaglia sui Diritti Civili, per far
rispettare il sociale e gli interessi della collettività, per creare un'Europa
diversa. E i più forti e prepotenti hanno approfittato della corruzione
endemica della nostra nazione per espoliarci facendo i loro interessi. Perchè
mai avrebbero dovuto fare i nostri?
Quando un mese fa la Merkel si è incontrata con i
"nemici" della SPD e hanno deciso insieme di fare un governo, il
leader socialdemocratico le ha risposto" devo varare prima un referendum
tra gli iscritti per sapere se sono d'accordo o meno". E lo ha fatto:
on-line.
Quando ha avuto la cifra (il 59% erano a favore con
l'elenco delle condizioni), per diciannove giorni, hanno discusso, trattato,
negoziato, su sponde diverse e spesso antagoniste, con un unico obiettivo: fare
gli interessi della Germania. Se noi non siamo in grado di fare questo, non è
colpa di Mario Draghi nè di Angela Merkel. E' colpa del fatto che l'Italia non
ha rappresentanza.
La nostra ultima speranza per fermare questa
catastrofe già iniziata sono le prossime elezioni europee.
Da oggi tutti dovremmo cominciare a discutere
sui temi veri che ci riguardano, con l'obiettivo di spedire a Strasburgo e poi
a Francoforte e Bruxelles una divisione agguerrita (una pattuglia non basta
più, è troppo tardi) di italiani innamorati dell'Italia che vadano a combattere
in prima linea con la consapevolezza che stanno giocando un ruolo storico
decisivo. Soprattutto definitivo. Per cambiarla, questa
Europa.
Noi italiani l'abbiamo costruita. Noi italiani
l'abbiamo distrutta. Spetta a noi la responsabilità di rimetterla in piedi.
da sergiodicorimodiglianji.blogspot.it - venerdì 25 ottobre 2013