Il sostegno
al reddito è il buco più grave del welfare italiano. Le lezioni della
sperimentazione del Reddito minimo d’inserimento e i costi che avrebbe il
reddito minimo garantito
L’assistenza
sociale è il terreno privilegiato per comprendere il modello di welfare di un
paese. Le politiche socio-assistenziali rappresentano il gradino inferiore dei
sistemi di protezione sociale, fissano la soglia sotto la quale a nessuno è
permesso di scivolare, stabiliscono il diritto a una “vita dignitosa”, come
recita l’articolo 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue.
Le
caratteristiche del nostro sistema di welfare e le politiche di assistenza
realizzate rendono l’Italia uno dei paesi meno attrezzati istituzionalmente a
far fronte ai problemi sociali. La frammentarietà e categorialità delle
politiche di contrasto alla povertà, con l’assenza di un disegno istituzionale
complessivo diretto al mantenimento del reddito in condizioni di bisogno, ha
portato al consolidamento di un sistema dualistico composto da soggetti
provvisti di coperture assicurative- contributive (insiders) e soggetti
poco o nulla tutelati dalle politiche assistenziali (outsiders). In un
contesto così lacunoso, la crisi ha messo a nudo le carenze di un sistema di
protezione sociale incapace di offrire tutele adeguate ai soggetti più esposti
ai rischi di esclusione sociale come giovani, lavoratori precari e quelli che
vengono espulsi dal mercato del lavoro o che non vi sono mai entrati
ufficialmente.
Il nostro
sistema di protezione sociale si presenta inadeguato e obsoleto, fondato su un
insieme di istituti categoriali (assegni sociali, integrazioni al minimo,
pensioni di invalidità, assegni al nucleo familiare) erogati a favore di
specifiche tipologie di soggetti. La condizione di povertà, da sola, non è
sufficiente per avere accesso alle misure assistenziali. A questa devono
aggiungersi altre caratteristiche (inabilità al lavoro, anzianità, famiglie
numerose). Non sorprende allora come l’efficacia del welfare italiano nel
ridurre la povertà permane limitata: secondo i dati Eurostat, i trasferimenti
monetari in Italia riducono il rischio di cadere di povertà di 4 punti
percentuali, la metà della riduzione media nell’Ue a 15.
Inoltre, la
riduzione della povertà grazie ai trasferimenti non è cambiata nel decennio
1997- 2007. Dieci anni di (non) politiche sono state incapaci di ridurre la
povertà più di quanto si facesse nel 1997. L’aspetto più contradditorio
riguarda gli esiti distributivi delle politiche di contrasto alla povertà. In
media quasi il 50% della spesa per assegni al nucleo familiare, integrazioni al
minimo, pensioni sociali e di invalidità va a famiglie che non sono povere
prima di ricevere il trasferimento. Addirittura il 10% della spesa per le
pensioni sociali va al 20% più ricco della popolazione. In altre parole,
interventi di contrasto alla povertà sono indirizzati agli italiani più ricchi!
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