Dare a gas e nucleare la patente green sarebbe una beffa oltre che un errore madornale
di Rossella Muroni *
Riemerge a tratti come fiume carsico
l’aumento del costo dell’energia, insieme alla voglia di gas e nucleare nella
tassonomia verde europea. Da settembre a oggi quasi non è passata settimana in
cui qualcuno non abbia dato l’allarme sul caro bollette. Pressoché sempre sul
banco degli imputati è stata messa la transizione. Anziché i principali
responsabili, ossia il costo del gas, le speculazioni e la forte ripresa degli ordinativi
superata la fase più critica della pandemia.
Mentre il governo italiano ha spesso usato
toni allarmistici, il mondo ecologista – insieme ad alcune autorevoli
voci politiche tra cui quella del vice presidente della Commissione europea
Timmermans – ha da subito fatto una diagnosi precisa. Risentiamo
tanto delle oscillazioni del costo del gas perché c’è ancora troppo metano nel
nostro mix energetico. Se avessimo più rinnovabili e fossimo più avanti
nella transizione energetica non subiremmo questi rincari, non dipenderemmo
dalle fluttuazioni di mercato né dalle speculazioni. In altre parole il
problema è il nostro ritardo sulla transizione energetica.
Lo ha ribadito con parole più accese l’A.D.
dell’Enel Starace, che non può certo venire annoverato nella
categoria degli ambientalisti ideologici. A pochi giorni dalla presentazione
del nuovo piano di sviluppo con cui Enel anticipa al 2040 l’obiettivo ‘net
zero’, ha usato più o meno queste parole: “Da decenni viviamo
esposti alla volatilità dei prezzi del gas. Perché dobbiamo dipendere da questa
strana follia?”. Riconoscere questa evidenza, ovviamente, non significa
pensare che il governo non debba preoccuparsi di come sterilizzare i rincari
per famiglie e piccole imprese. Ma il problema non si risolve aumentando
la nostra dipendenza dal gas, che ne è la causa.
La risposta di Cingolani è arrivata dal vertice dei ministri europei
dell’energia, in cui ha perorato la causa del nucleare di nuova generazione –
come la fusione, che però nella vita reale non siamo in grado di realizzare – nella
tassonomia. Senza chiudere neanche ad altre tecnologie e alla ricerca sulla
cattura di CO2. Che evidentemente servono per includere anche il gas. Una
escursione termica siderale. Anziché preoccuparsi di come sbloccare le
rinnovabili, il ministro della Transizione ecologica è andato in Europa a
parlare di fusione e gas. Indizio piuttosto evidente che questo governo
forse non crede davvero alla transizione.
Più o meno nelle stesse ore, un
articolo di Repubblica aggiungeva un particolare interessante. Eni ha
annunciato di avere preso parte al recente round di finanziamento di CFS.
Ovvero la società spin-out del MIT di cui il Cane a sei zampe è già il maggiore
azionista. CFS ha raccolto dal mercato complessivamente oltre 1,8 miliardi di
dollari mentre lavora per raggiungere l’obiettivo di immettere nella rete
energia da fusione a confinamento magnetico entro i primi anni del decennio
2030. E la quota in carico ad Eni sarebbe raddoppiata arrivando a 360 milioni
di dollari. Una assonanza e un tempismo così in sintonia tra le uscite
di Cingolani e Descalzi che è lecito chiedersi chi decida davvero della
politica energetica italiana.
Tornando in Europa, dare a gas e nucleare
la patente di attività verde sarebbe una beffa oltre che un errore
madornale. Il nucleare ad oggi non ha risolto il problema della
sicurezza durante il funzionamento. Né quello delle scorie. E ha costi e tempi
incompatibili con quelli della transizione. Sprecare per il gas gli
investimenti che dovrebbero andare alla conversione ecologica ci renderebbe
ancora dipendenti dai fossili e toglierebbe risorse alle rinnovabili. Si
rallenterebbe così la nostra transizione. Non abbiamo più tempo e gli sforzi
maggiori verso l’obiettivo delle zero emissioni nette li dobbiamo compiere nei
prossimi 10 anni. Per questo è tanto importante che atomo e gas fossile restino
fuori dalla tassonomia.
La risposta al caro bollette non deve
mettere all’indice la transizione ecologica, né contestare gli obiettivi
climatici e le misure europee. Questo è il tempo di accelerare per
un’Italia e un’Europa sempre più rinnovabili ed efficienti. Perché è
quello che serve per affrontare la crisi climatica e per l’economia. Proprio
ora che la differenza tra costo dell’energia fossile e rinnovabile si è
ulteriormente ampliata. Infatti gli investimenti sulle fonti pulite sono ancora
più convenienti e avrebbero ritorni in tempi ancora più brevi. Ma è
chiaro che non possiamo contare su questo MiTe per ridimensionare il ruolo del
gas e per rivedere in questo senso anche il capacity market.
Tutto questo mi preoccupa come pure il
fatto che nella Legge di Bilancio manchi un contributo forte
del ministero della Transizione Ecologica. La manovra, ad
esempio, non prevede l’avvio del necessario taglio ai sussidi
ambientalmente dannosi. Oltre 19 miliardi secondo il ministero addirittura
oltre 34 secondo Legambiente. Fondi che potrebbero essere meglio impiegati per
spingere la transizione e sostenere soggetti fragili e settori più colpiti. Ma
non manca un nuovo rinvio della plastic tax.
Non proprio le giuste premesse per la
transizione.
* da Huffington Post – 6 dicembre 2021
( la pubblicazione dell’intervento
non comporta la totale condivisione dei contenuti )
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