Intervista a Silvio Greco, incaricato del Via alla piattaforma eolica al largo della Sicilia. L’impianto offshore, tra i più grandi d’Europa, prevede 290 pale galleggianti
di Luciana Castellina
( da il manifesto - 13 ottobre 2021)
Silvio Greco, ha ricevuto l’incarico di responsabile scientifico per la valutazione dell’impatto ambientale del mega progetto di 290 pale eoliche su piattaforme galleggianti nel mare adiacente alla costa sud occidentale della Sicilia di cui ha ampiamente parlato l’ExtraTerrestre del 30 settembre scorso. L’impegno gli è stato affidato in quanto dirigente di ricerca e direttore della stazione zoologica romana e calabrese, «Anton Dhorn», il più importante Ente italiano di ricerca scientifica sul mare, vigilato dal Miur. Era stato fondato nel lontano 1870, quando evidentemente dell’acqua che circonda il nostro paese, che vanta la maggiore lunghezza di coste d’Europa, ci si interessava di più di quanto si fa oggi, visto che proprio del mare nei piani per la transizione ecologica fin qui previsti ci si occupa così poco.
A Silvio Greco (dandogli del tu, perché è membro della
nostra Task Force «Natura e Lavoro», rubrica sul Manifesto on line «Attenti ai
dinosauri») chiedo ulteriori dettagli su questo progetto che si configura come
il più importante fra quelli avviati.
Lo è certamente non solo per le sue dimensioni – potrà produrre tanta energia
quanto due centrali nucleari di media grandezza, circa 2.900 megawatt
l’equivalente di energia sufficiente per 3,4 milioni di famiglie – ma perché
finalmente imbocca la strada principale, quella fino ad ora del tutto
sottovalutata: il ricorso alle fonti rinnovabili, il vento e il sole.
Installazioni simili sono state già costruite, la più grande del mondo è a 15
km dalla costa di Aberdeen in Scozia.
Totale istallato 50 megawatt, l’equivalente di energia sufficiente per 55.000 abitazioni. Altrettanto è stato fatto in altri paesi del nord Europa e negli Stato uniti ma da noi le piattaforme galleggianti avranno un ruolo anche più rilevante perché da un lato il Mediterraneo meridionale è particolarmente ricco di vento, dall’altro ne è quasi priva la terra circostante (e questo sconsiglia impianti di pale eoliche a terra, come del resto prova la scarsissima efficienza di quelle pur numerose già installate al sud). Inoltre questo eolico off shore siciliano sarà tecnologicamente più avanzato perché l’ancoraggio sarà garantito solo da ancore penetranti, così evitando l’ingombro dei massi. Le torri saranno dunque appoggiate direttamente sulla zattera.
Francesco Forgione, sindaco recente di Favignana, si è
lamentato perché una risorsa siciliana – in questo caso il mare che circonda la
sua isola – verrà sfruttata senza poi ricavarne niente, visto che l’energia si
consuma soprattutto nel nord industrializzato.
Capisco il suo sfogo, conoscendo gli immensi problemi di un Comune come quello
di Favignana, alle prese con enormi difficoltà finanziarie, ma in questo caso
lo sfruttamento non sarò nocivo come quando negli anni ’50 si costruirono qui
le petrolifiche «cattedrali nel deserto». L’impianto è localizzato qui per via
di una specifica ricchezza siciliana: un vento particolarmente costante sul suo
mare. Ne potrà venire per di più molta altra ricchezza: occupazione, penso ai
trasporti marittimi alle costruzioni, all’aumento della pesca per l’effetto
ombra delle piattaforme galleggianti. Proprio ieri nel porto di Trapani si è
conclusa la prima parte della campagna oceanografica nell’area oggetto
d’indagine, un viaggio durato un mese che ha visto i ricercatori della Stazione
Zoologica Dhorn, coordinati dal capo missione Simone Canese, impegnati nella
raccolta dati delle matrici ambientali. In particolare i ricercatori si sono
occupati di valutare gli impatti ambientali sulla avifauna, i rettili e i
mammiferi marini, gli effetti sulle comunità bentoniche, l’impatto fisico dei
sistemi di ancoraggio delle strutture e impatto dei cavi sui fondali marini e
gli effetti sulle comunità di pesci. Domani, sempre da Trapani, partirà una
seconda missione che si concluderà fra 30 giorni. Inoltre non ci saranno danni
per il turismo, perché i galleggianti saranno ancorati a 25 km dalla costa e
assai distanziati e saranno preziosi per i pescatori. Come hanno dimostrato gli
esperimenti già effettuati i pesci affluiscono numerosissimi attorno agli
impianti.
La giornalista Daniela Passeri nella recente inchiesta
pubblicata su «l’ExtraTerrestre» ha indicato molte ditte metalmeccaniche e
siderurgiche coinvolte dalla società che costruisce l’impianto, Renexia
(italiana), quasi tutte straniere.
Sì, è così. Purtroppo in Italia non si è progettata alcuna filiera, alcuna
strategia complessiva che potrebbe consentire la ristrutturazione di molte
aziende oggi in crisi, a partire dalla Italsider, che devono puntare a quanto
la transizione ad una economia sostenibile renderà – se si viole davvero
transitare – indispensabile. Tutto, certo, difficile, lungo, e costoso. Ma non
sarebbe ben più costoso trovarsi – come ci avverte un altro membro della nostra
task Force, Enzo Pranzini, fra qualche decennio, non fra qualche secolo, con i
nostri meravigliosi litorali turistici, dalla riviera romagnola a quella ligure
per non parlare di Favignana e delle altre nostre tantissime piccole isole –
sommerse dal mare destinato a crescere per via del disastro ecologico?
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