Autonomia differenziata. Le polemiche a partire dai pre-accordi tra Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e il governo Gentiloni, e poi la pandemia, hanno messo in luce un paese assai più frammentato e diviso di quanto molti fossero consapevoli
di Massimo Villone *
«Fear of the walking dead» recita il titolo di una nota serie televisiva. Bene si adatta all’autonomia differenziata, che dovrebbe a buona ragione essere defunta, e invece cammina ancora tra noi. Lo testimonia l’inserimento tra i collegati al bilancio del disegno di legge attuativo dell’art. 116.3 della Costituzione, fatto con la Nota di aggiornamento del DEF (NADEF). Con il danno collaterale di una probabile sottrazione al referendum abrogativo, per il limite delle leggi di bilancio di cui all’art. 75 della Costituzione. Intendiamoci. L’inserimento di per sé non dà certezze quanto ai tempi o all’approvazione. Molti collegati non hanno poi visto la luce. Ma qui abbiamo due dati significativi.
Il primo, è che in una originaria stesura dell’elenco
dei collegati il ddl sull’autonomia differenziata non era presente, ed è poi
comparso nella versione definitiva, al primo posto. Questo ci dice di una
pressione politica per l’inserimento che non ha trovato opposizioni
significative.
Il secondo, che il ddl si inserisce nella dialettica interna alla maggioranza, e
specificamente nel tormentone del dualismo Lega di lotta e di governo. Per cui
il ddl può essere visto o come offa per la Lega di governo vicina a Draghi (i
Fedriga, Zaia, Giorgetti) o come ciambella di salvataggio per Salvini mentre
affonda – come indica il voto amministrativo – il suo disegno
nazional-sovranista. O entrambe le cose. Ci stupirebbe se l’autonomia non
entrasse nell’agenda degli annunciati appuntamenti settimanali di Salvini con
il premier Draghi.
Ma era giusto ritenere l’autonomia differenziata defunta, o almeno caduta in catalessi? Ragionevolmente, sì. Le polemiche a partire dai pre-accordi tra Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna e il governo Gentiloni, e poi la pandemia, hanno messo in luce un paese assai più frammentato e diviso di quanto molti fossero consapevoli. Per il diritto alla salute, il regionalismo ha nei fatti distrutto il sistema sanitario nazionale, come bene afferma da ultimo l’Anaao-Assomed. Per l’istruzione, la pressione della pandemia ha aggravato il ritardo già pesante che lede i diritti degli studenti di tutte le età in un terzo del paese. In molteplici settori si è evidenziata la necessità di forti politiche pubbliche nazionali e di regole volte a ridurre il divario Nord-Sud secondo le indicazioni dell’Europa. Mentre i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) non sono nemmeno giunti alla pista di lancio.
Invece, vengono segnali negativi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Le polemiche sulle risorse “territorializzabili”, l’aggiunta ai fondi europei di quelli per la coesione già destinati al Sud, il “repackaging” di vecchi progetti, i bandi che aprono alle zone forti del paese come quello sugli asili nido, la comparativa debolezza delle amministrazioni meridionali, la mancanza di una chiara strategia su punti nodali come i porti, la logistica e la manifattura, prefigurano una mera riparazione dei danni da Covid e un ripristino delle preesistenze.
L’intento di costruire un paese nuovo e diverso rischia di dissolversi. Capiamo che il momento favorisce ciò che fa ripartire subito il PIL. Ma se solo questa è la logica, l’esito è concentrare le risorse sulle aree forti del paese, dove il rendimento a breve termine degli investimenti può essere presentato come maggiore, più agevole e certo. E dove, non a caso, il lobbying su chi decide è più efficace.
È bene che i governatori del Sud protestino perché mancano 7 miliardi, ed è scontata la difesa di ufficio di Giovannini sul 40% per il Sud. La questione del quantum, però, è più complessa, e si aggiunge ad altre. In specie, l’autonomia differenziata si scontra con gli obiettivi di rilancio del paese tutto assegnati a parole al PNRR. I governatori dovrebbero pretendere di vedere le carte tuttora nascoste, farle valutare da studiosi ed esperti indipendenti, e cercare sinergie da far valere nelle sedi di concertazione. Proprio in quelle il Sud negli anni è stato colpito e affondato, per colpa dei suoi ignavi governanti e per dolo degli altri.Lasciamo perdere la favola menzognera che l’autonomia differenziata conviene al Sud come al Nord. Mettiamo la questione almeno in standby per il tempo del PNRR, e vediamo quale paese viene dall’attuazione del Piano. Diversamente, il rischio è una collisione che spinge il Sud tra i walking dead. Per essere poi seguito dal paese tutto, che rimane nella stagnazione.
* da il manifesto - 9 ottobre 2021
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