18 ottobre 2021

Reddito di Cittadinanza: Tiro assegno

 Il Reddito di cittadinanza ora costa quasi 9 miliardi. Su 1,3 milioni di obbligati al Patto per il lavoro solo 352 mila hanno attivato almeno un contratto. Cosa non ha funzionato e le ipotesi sul tavolo per modificare il sussidio.


 

di Ulisse Spinnato Vega *

 Venerdì 15 ottobre in Cdm si era scatenata la bagarre, con Lega, Fi e Iv pronte a mettersi di traverso sulle nuove risorse per il reddito di cittadinanza. Il premier Mario Draghi si è schierato però con M5s, Pd e Leu: così nel decreto fiscale sono arrivati altri 200 milioni per la misura principe del M5s di governo, che subisce attacchi feroci da metà dell’arco parlamentare e, per ammissione di tutti, necessita comunque di un tagliando, a circa due anni e mezzo dalla sua entrata in vigore. I 200 milioni servono per arrivare al 31 dicembre: per il 2022 ne occorreranno almeno 800.

Reddito di cittadinanza: con gli ultimi fondi la spesa per il sussidio sale a 8,6 miliardi

Con gli ultimi fondi in arrivo la spesa 2021 per il sussidio sale a 8,6 miliardi, contro i 7,2 miliardi previsti nella manovra a fine 2018. Il Rdc si è dimostrato un cuscinetto vitale per molti nuclei familiari, soprattutto durante la pandemia, non a caso è stato affiancato da un reddito di emergenza con requisiti meno stringenti del reddito di cittadinanza su Isee, situazione reddituale, patrimonio e anni di residenza in Italia per gli stranieri. In ogni caso, nel Bel Paese è schizzato a 5,6 milioni il numero di poveri assoluti, di cui 1,3 milioni sono minori. In più, sono 8 milioni le persone che vivono in povertà relativa, con uno su tre a rischio esclusione sociale. Dunque, sulla necessità di un trattamento minimo garantito è difficile obiettare, anche perché si tratta di una misura presente in tutta Europa. Certo, il reddito ha costi non indifferenti per l’erario. Inizialmente, furono stanziati 12,7 miliardi per il biennio 2019-2020. Poi la spesa è lievitata. Come detto, quest’anno si viaggia verso i 9 miliardi. Nella relazione tecnica del decreto legge istitutivo si calcolava «un profilo temporale della spesa aggiuntiva connessa al reddito e alla pensione di cittadinanza» con costi di quasi 22 miliardi su un orizzonte al 2023. Ma il calcolo fino al 2030 sale quasi a 27 miliardi, ed è probabilmente una stima per difetto. La misura bandiera del M5s è stata infatti già rafforzata con 4 miliardi aggiuntivi fino al 2029 dall’ultima legge di bilancio, ma anche il decreto sostegni ci ha messo sopra un miliardo.

Quasi 1,36 milioni di famiglie hanno percepito il sussidio ad agosto

C’è da dire che nel corso della pandemia la platea potenziale è cresciuta di un quinto, ma l’unica speranza è che la spinta della crescita e la ripresa occupazionale possano in qualche modo ridurre il bacino del sussidio (è difficile, però, senza politiche attive efficienti). Sono quasi 1,36 milioni le famiglie che lo hanno ricevuto ad agosto, compresi i pensionati di cittadinanza (135 mila). I beneficiari vivono al Sud nel 62,15 per cento dei casi. Le persone totalmente coinvolte sono state poco più di tre milioni, due terzi delle quali nel Mezzogiorno e nelle Isole (due milioni). Nei primi sette mesi del 2021 le famiglie che hanno percepito almeno una mensilità del reddito sono state 1,6 milioni per 3,7 milioni di persone coinvolte. L’importo medio è di 546 euro (576 euro per il Rdc e 270 per la Pdc).

La crisi cronica dei centri per l’impiego e l’interrogativo sui navigator

«Legarlo alle politiche attive è stato un errore», ha spiegato a più riprese la sociologa Chiara Saraceno, nominata dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a capo del Comitato scientifico per la valutazione del reddito di cittadinanza. Eppure, gli alibi su questo fronte sono diversi e robusti: da una parte la crisi cronica dei centri per l’impiego e dall’altra l’avvento della pandemia che non ha certo aiutato la messa a punto delle misure di ricollocamento. Ma che fine hanno fatto i navigator, considerati dagli avversari della misura il simbolo dello spreco di stampo statalista? Va precisato che i 2.980 “orientatori” si sono ridotti a poco più di 2.600. Si tratta di figure a sopporto dei centri per l’impiego che hanno un contratto di collaborazione con Anpal Servizi prorogato di otto mesi e in scadenza il prossimo 31 dicembre. Tuttavia, si sta ragionando su come salvarne almeno una parte in futuro tramite procedure concorsuali.

Tra settembre 2019 e febbraio 2021 solo 352 mila persone hanno attivato almeno un contratto

La Corte dei conti, comunque, ha tirato le somme, ha sfatato alcune leggende metropolitane e ha chiarito che nel periodo settembre 2019-febbraio 2021 (in gran parte corrispondente al primo anno di pandemia) i navigator hanno contattato e invitato a un primo colloquio a distanza con i cpi un milione di percettori del Rdc su circa 1,3 milioni di obbligati al Patto per il lavoro (53 per cento donne, 70 per cento cittadini del Meridione). Ne hanno poi presi in carico 489 mila e hanno chiuso 248 mila piani personalizzati per il reinserimento tramite formazione, apprendistato o corsi di base su come proporsi nel mondo del lavoro. In seguito, sono stati realizzati 791 mila contatti per accompagnare la messa in atto di quei percorsi, con 174 mila aggiornamenti dei piani. Inoltre i navigator hanno contattato quasi 590 mila imprese per aiutarle a coprire posti vacanti per 477 mila unità. Il problema è che su quel milione di obbligati al patto, solo 352 mila (dato Anpal di ottobre 2020) hanno attivato almeno un contratto, di cui il 65 per cento a tempo determinato (di questi, il 69,8 per cento dura meno di sei mesi).

*  da  tag43.it - 18 ottobre 2021

Solo tre beneficiari su quattro arrivano alla licenza media e non lavorano da cinque anni

Tuttavia, la vera piaga è che quasi tre beneficiari del reddito su quattro arrivano al massimo alla licenza media e non lavorano da almeno cinque anni. Solo il 3 per cento ha un titolo di studio di istruzione terziaria e poco più di 430 mila hanno lavorato negli ultimi due anni. «Dai valori rilevati, che descrivono i livelli di istruzione e l’indice di profiling, è risultata evidente la quasi totale assenza di condizioni di occupabilità soprattutto nelle regioni meridionali», sancisce la stessa Corte dei conti. Morale? Non sono sufficienti corsi di aggiornamento “light” o profilati in maniera generica, servono piani formativi profondi e fortemente personalizzati; ossia un meccanismo di politiche attive che in Italia non ha mai funzionato, a prescindere dal reddito di cittadinanza, e che certamente era difficile mettere a punto durante la pandemia.

Delle 11.600 assunzioni messe a disposizione, ne sono state perfezionate meno di 1.500 

Peraltro, in generale i centri per l’impiego non intermediano più del 4 per cento del matching tra domanda e offerta di lavoro. Questo perché soffrono di un deficit cronico di personale, di strutture (in alcuni c’è ancora la connessione web a 56k o manca internet del tutto) e di una gestione regolatoria frammentata. Nella schizofrenica distribuzione delle prerogative istituzionali, infatti, la competenza sulla formazione e il lavoro è delle Regioni e di circa 11.600 assunzioni messe a disposizione dalla legge istitutiva del Rdc, meno di 1.500 sono quelle ad oggi perfezionate. Come si fa a far partire il motore delle politiche attive se i cpi hanno tutte e quattro le gomme a terra? Anche l’assegno di ricollocazione ha riguardato finora una minoranza di percettori, mentre ora sembra in rampa di lancio la strategia Gol (Garanzia occupabilità dei lavoratori) che potrebbe segnare la separazione dei destini tra Rdc e azioni di riqualificazione della forza lavoro: proprio giovedì 14 ottobre le Regioni hanno dato parere favorevole all’intesa sullo schema di decreto del ministro del Lavoro che adotta il programma con una prima quota di risorse del Pnrr, pari ad 880 milioni. C’è da dire che la dote complessiva del Recovery per le politiche attive è di 4,4 miliardi, cui si aggiungono i 500 milioni di React-Ue.

Le ipotesi di modifica del Rdc: revisione dei requisiti patrimoniali, stranieri e cumulabilità con piccoli redditi

Ok, ma allora come modificare la misura del Rdc al di là della rumorosa propaganda politica? Si ragiona sulla revisione dei requisiti patrimoniali che penalizzano alcune fasce, comunque povere dal punto di vista reddituale. Si va certamente verso la revisione della scala di equipollenza per dare più respiro ai nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi che oggi risultano penalizzati. Da sinistra chiedono un allentamento del requisito dei 10 anni di residenza per gli stranieri. Infine, c’è la vexata quaestio della cumulabilità tra sussidio e piccoli redditi, soprattutto in caso di lavori temporanei: la modifica, da un lato, potrebbe scoraggiare il lavoro nero da parte dei percettori, dall’altro però bisogna fare attenzione al rischio speculazione per mano dei datori che, in ragione di questa innovazione, potrebbero offrire paghe ancora più basse.

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