Esattamente un anno fa iniziava il più pesante attacco militare mai perpetrato contro il Rojava, la regione autonomia promossa dalla sinistra curda in Siria, ad opera della Turchia e di decine di migliaia di jihadisti posti sotto le sue catene di comando. Bombardamenti a tappeto rasero al suolo gran parte di Tell Abyad (prevalentemente araba) e Serekaniye o Ras al-Ain (prevalentemente curda) ed ebbero ragione della resistenza strenua opposta dalle Unità di protezione delle donne e del popolo (Ypj e Ypg), non senza il contributo e a volte il martirio di combattenti internazionali, giunti anche dall’Europa.
Trecentomila profughi sono ancora senza casa e vivono da un anno in condizioni terribili nel resto della regione, assediati e bersagliati dai mortai dei miliziani; le loro case sono state saccheggiate o occupate da miliziani e coloni importati dal governo turco. Nei territori occupati è stato installato il “Governo ad Interim” guidato dai Fratelli musulmani siriani che già controllava Afrin e Idlib. Esso ha instaurato, come in quelle aree, un ordine retrogrado e oscurantista che pretende di uniformare tutte le identità, i credi e gli stili di vita a una presunta verità rivelata di origine divina. Nel frattempo i suoi uomini non esitano a portare avanti l’esecuzione sommaria di dissidenti, il furto di reperti archeologici e una violenta lotta intestina per i proventi di queste rapine.
L’acquedotto di Alouk, che attraverso l’area occupata, riforniva un milione di persone nella provincia di Hasakah. Ora è quasi sempre bloccato dalle autorità turche, producendo un’emergenza umanitaria che si sovrappone all’aumento di contagi da Covid-19 (inizialmente favoriti, in aprile, da un irresponsabile trasferimento di malati, da parte del governo turco, nell’ospedale di Serekaniye). La sconfitta militare delle Ypj-Ypg è stata causata un anno fa da un ordine dell’attuale presidente degli Stati Uniti alle truppe statunitensi di stanza nell’area – nonostante le proteste del Pentagono – di ritirarsi verso sud per far spazio all’invasione, che non aveva tra l’altro alcuna legittimità giuridica sul piano internazionale (come del resto tutte le invasioni turche dei territori siriani in questi anni).
La decisione di Trump, dalle conseguenze se possibile ancora più gravi di quella, analoga, di Putin nel 2018 (quando furono truppe russe alleate delle Ypg ad Afrin a fare spazio ai jihadisti filo-turchi), non ebbe altra giustificazione se non il consueto calcolo politico internazionale sulla pelle dei siriani e, in questo caso, contro le uniche istituzioni rivoluzionarie degne di questo nome sorte dal 2011 in un Paese che subisce una guerra che gli Stati Uniti hanno contribuito, soprattutto nelle prime fasi, a esacerbare.
Le frasi pronunciate da Trump un anno fa – “Ogni tanto devi farli combattere l’uno contro l’altro, come bambini” e “il Pkk è peggio dell’Isis” (si tratta di un partito curdo che ha combattuto l’Isis in Iraq) – non possono e non devono essere dimenticate. Così come non deve sfuggirci che le parole pronunciate dal ministro degli esteri Di Maio, che annunciò la (sia pur insufficiente) sospensione di contratti futuri per forniture militari alla Turchia, non ha avuto seguito fino a prova contraria: il decreto in materia è stato mantenuto riservato. Ciò che si sa è che ancora il 30 novembre 2019, oltre un mese dopo quell’annuncio, si teneva a Torino la kermesse Aerospace & Defense Meetings, con un panel dedicato proprio al commercio di tecnologie anche militari tra Italia e Turchia.
Per essere entrata nella camera di commercio di Torino, sponsor di quell’iniziativa, e aver parlato dentro un megafono in favore delle sue compagne che venivano trucidate in Rojava, all’ex combattente italiana delle Unità di protezione delle donne curde Maria Edgarda Marcucci è stata poi applicata, il 17 marzo 2020, la controversa misura della Sorveglianza speciale per due anni – che le vieta, tra le altre cose, di parlare in pubblico.
In Rojava e nella Siria del nord-est milioni di persone soffrono la fame, la sete e la diffusione dell’epidemia, esposte all’azione di gruppi criminali protetti da un membro della Nato. Sostenere una rivoluzione che ha attuato e attua in condizioni proibitive politiche di eguaglianza, autonomia delle donne, rispetto delle differenze e difesa del secolarismo è più che mai dovere, oggi, per chiunque creda nell’amicizia internazionale, nel potere dell’informazione e nella lotta per la libertà.
* giornalista e scrittore – da ilfattoquotidiano – 10 ottobre 2020
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