11 febbraio 2020

India: prove di guerra civile?


di Alessandro Graziadei *

Il Mahatma Gandhi e il suo erede spirituale Jawaharlal Nehru, avevano pensato un’India inclusiva e multiculturale, consci del fatto che l’enorme Paese è un vero e proprio caleidoscopio di etnie, lingue e religioni. L’esatto contrario di quanto sta facendo l’attuale Primo ministro indiano Narendra Modi che con il suo Partito Popolare Indiano (BJN), fautore di una politica nazionalista e di difesa dell’identità induista, sta soffiando da anni sull’odio religioso ed etnico, lo stesso che ha alimentato la guerra civile e religiosa che insanguinò la nazione dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1947, e che portò l’anno seguente un fanatico indù ad assassinare il Mahatma Gandhi, accusato di eccessiva tolleranza verso i musulmani. Le proteste di queste settimane in India sono la conseguenza del voto del Parlamento indiano che ha approvato, l’11 dicembre scorso, il cosiddetto Citizenship Amendment Bill (CAB), una controversa legge che garantisce la cittadinanza agli immigrati irregolari di numerose “minoranze perseguitate” di Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, escludendo però i musulmani, sulla base della propria fede


Come se non bastasse il Governo ha affermato che la nuova legge verrà applicata a seguito della redazione di un registro della cittadinanza all’interno del quale rifugiati o immigrati musulmani non hanno diritto ad essere iscritti rischiando così di essere espulsi e di diventare apolidi. I membri di altre fedi, elencate nella nuova legge, al contrario, hanno un percorso più agevolato verso la cittadinanza. Per questo l’India è scossa da violente proteste alcune delle quali partite dalle università del Paese. Decine sono stati gli arresti e centinaia i feriti tra  gli studenti delle Università Jamia Millia Islamia (JMI), Aligarh Muslim University (AMU) e Jawaharlal Nehru (JNU) nei disordini scoppiati il 15 e 16 dicembre quando numerosi studenti e insegnanti  hanno denunciato di aver subito violenze fisiche da parte di studenti dei movimenti nazionalisti induisti di estrema destra. Nelle manifestazioni delle settimane successive molti  manifestanti  hanno affermato che diversi gruppi di destra legati al BJP di Modi hanno cercato in vari modi di intimidirli per non farli scendere in piazza. 


Ma se la comunità mussulmana è palesemente discriminata, quella cristiana, anche se numericamente meno ampia (secondo il censimento del 2001 in India l'induismo con tutte le sue credenze correlate è diffuso tra l'80,5% della popolazione, l’islam tra il 3,4% e il cristianesimo solo tra il 2,3% degli abitanti) non se la passa meglio e la sua discriminazione passa anche dall'impunita. La Corte suprema dell’India, infatti, lo scorso mese ha assolto oltre 3.700 imputati dall’accusa di “violenza settaria” per i massacri dei cristiani avvenuti nel distretto del Kandhamal in Orissa, nel 2008. Per John Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, la sentenza è motivo di “grande tristezza” perché “Non è stata fatta giustizia. Abbiamo sempre sperato e pregato per la giustizia, perché i criminali fossero puniti e coloro che hanno sofferto potessero ottenere una ricompensa”. I massacri erano scoppiati per punire la comunità cristiana ritenuta erroneamente responsabile dell'assassinio dello swami Laxamananda Saraswatirivendicato invece dai maoisti. “Siamo profondamente insoddisfatti. Avevamo pregato i giudici di valutare con la massima attenzione i casi, al fine di evitare ciò che poi si è verificato: l’assoluzione degli imputati. Presenteremo di nuovo le petizioni per avere giustizia” ha spiegato Barwa.

La decisione del supremo organo giudiziario è stata diffusa il 25 gennaio scorso, insieme ai dati del governo locale sullo stato delle indagini su una delle pagine più buie della storia indiana. In totale, almeno 6.594 persone sono state arrestate in seguito a 827 episodi di violenza religiosa tutti concentrati nel distretto di Kandhamal, ma 342 procedimenti sono stati annullati, 263 processi hanno portato ad assoluzione e solo 79 sono terminati con la condanna degli imputati, mentre altri 170 imputati sono tutt’ora in attesa di giudizio. I numeri di questa “violenza settaria”  riportano invece un bilancio pesantissimo per la comunità cristiana del Kandhamal: 120 morti, quasi 56.000 fedeli costretti alla fuga, 8.000 case bruciate o saccheggiate in 415 villaggi, 300 chiese demolite, 40 donne stuprate e 12.000 bambini sfollati e costretti a interrompere gli studi.


Mons. Barwa ha dichiarato che non rinuncerà mai a lottare "fino a quando anche l’ultimo dei cristiani avrà ottenuto giustizia. Prego e ringrazio tutti coloro che ci aiutano e che mantengono l’attenzione su di noi”. Tra gli sforzi della Chiesa locale, vi è stato il rilascio su cauzione dei sette cristiani accusati dell’omicidio del guru indù, liberati dopo 11 anni. Per il momento, racconta, “non ho ancora avuto la possibilità di incontrarli perché ogni volta che sono andato nel Kandhamal avevo programmi fittissimi. La prossima occasione sarà questo mese, e già abbiamo fissato un incontro con le famiglie. Ad ogni modo, sono in contatto con loro e so che stanno bene. Sono molto felice per loro e al tempo stesso triste: com’è possibile che abbiano dovuto trascorrere così tanti anni in prigione da innocenti?”. Nel 2020-2021, ha concluso l’arcivescovo, “la Chiesa dell’Orissa ospiterà la Plenaria del Sinodo latino della Conferenza episcopale indiana. Spero e prego che sia un tempo di benedizione per tutti noi. Sono sicuro che sarà un momento di benedizione per il nostro popolo, per rafforzare la fede e il coraggio” e speriamo sia anche un momento anche di fraternità inter-religiosa. In ballo c’è la tenuta della democrazia indiana per ora aggrappata a pochi segnali di speranza. Tra questi c'è sicuramente la partecipazione alle proteste delle donne musulmane e cristiane che hanno spesso sventolano la bandiera nazionale, hanno cantato l’inno indiano e portano con loro il ritratto di B.R. Ambedkar, un giurista che apparteneva alla casta degli “intoccabili” e che fu il maggiore ispiratore della Costituzione democratica indiana, come a ribadire di sentirsi a tutti gli effetti indiane, pur professando una religione diversa da quella della maggioranza della nazione. Forse nella società indiana la lezione di Gandhi non è stata totalmente dimenticata e continua a operare per superare le barriere etniche e religiose.


* da www.unimondo.org - 6 febbraio 2020

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