di Alessandro
Graziadei *
Il Mahatma
Gandhi e il suo erede spirituale Jawaharlal Nehru,
avevano pensato un’India inclusiva e multiculturale, consci del fatto che
l’enorme Paese è un vero e proprio caleidoscopio di etnie, lingue e
religioni. L’esatto contrario di quanto sta facendo l’attuale Primo
ministro indiano Narendra Modi che con il suo Partito Popolare Indiano (BJN), fautore di una
politica nazionalista e di difesa dell’identità induista, sta
soffiando da anni sull’odio religioso ed etnico, lo stesso che ha alimentato la guerra civile e
religiosa che insanguinò la nazione dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel
1947, e che portò l’anno seguente un fanatico indù ad assassinare il Mahatma
Gandhi, accusato di eccessiva tolleranza verso i musulmani. Le proteste
di queste settimane in India sono la conseguenza del voto del Parlamento
indiano che ha approvato, l’11 dicembre scorso, il cosiddetto Citizenship Amendment Bill (CAB), una
controversa legge che garantisce la cittadinanza agli
immigrati irregolari di numerose “minoranze perseguitate” di Pakistan, Bangladesh e Afghanistan, escludendo
però i musulmani, sulla base della propria fede.
Come se non
bastasse il Governo ha affermato che la nuova legge verrà applicata a seguito
della redazione di un registro della cittadinanza all’interno del quale rifugiati o immigrati musulmani
non hanno diritto ad essere iscritti rischiando così di essere espulsi e di
diventare apolidi. I membri di
altre fedi, elencate nella nuova legge, al contrario, hanno un percorso più
agevolato verso la cittadinanza. Per questo l’India è scossa da
violente proteste alcune delle quali partite dalle università del Paese. Decine
sono stati gli arresti e centinaia i feriti tra gli studenti delle
Università Jamia Millia Islamia (JMI), Aligarh Muslim University (AMU) e Jawaharlal
Nehru (JNU) nei disordini scoppiati il 15 e 16 dicembre quando numerosi
studenti e insegnanti hanno denunciato di aver subito violenze fisiche da parte di studenti dei movimenti
nazionalisti induisti di estrema destra. Nelle manifestazioni delle
settimane successive molti manifestanti hanno affermato che diversi
gruppi di destra legati al BJP di Modi hanno cercato in vari modi di
intimidirli per non farli scendere in piazza.
Ma se
la comunità mussulmana
è palesemente discriminata, quella cristiana, anche se numericamente meno ampia
(secondo il censimento del 2001 in India l'induismo con tutte le sue credenze
correlate è diffuso tra l'80,5% della popolazione, l’islam tra
il 3,4% e il cristianesimo solo tra il 2,3% degli abitanti) non se la
passa meglio e la sua discriminazione passa anche dall'impunita. La
Corte suprema dell’India, infatti, lo scorso mese ha assolto oltre 3.700
imputati dall’accusa di “violenza settaria” per i massacri dei cristiani
avvenuti nel distretto del Kandhamal in Orissa, nel 2008. Per John
Barwa, arcivescovo di Cuttack-Bhubaneswar, la sentenza è motivo di “grande
tristezza” perché “Non è stata fatta giustizia. Abbiamo sempre sperato e pregato
per la giustizia, perché i criminali fossero puniti e coloro che hanno sofferto
potessero ottenere una ricompensa”. I massacri erano scoppiati per punire la
comunità cristiana ritenuta erroneamente responsabile dell'assassinio dello
swami Laxamananda Saraswati, rivendicato invece dai maoisti. “Siamo profondamente insoddisfatti. Avevamo
pregato i giudici di valutare con la massima attenzione i casi, al fine di
evitare ciò che poi si è verificato: l’assoluzione degli imputati. Presenteremo
di nuovo le petizioni per avere giustizia” ha spiegato Barwa.
La decisione
del supremo organo giudiziario è stata diffusa il 25 gennaio scorso, insieme ai
dati del governo locale sullo stato delle indagini su una delle pagine più buie
della storia indiana. In totale,
almeno 6.594 persone sono state arrestate in seguito a 827 episodi di violenza
religiosa tutti concentrati nel distretto di Kandhamal, ma 342 procedimenti
sono stati annullati, 263 processi hanno portato ad assoluzione e solo 79 sono
terminati con la condanna degli imputati, mentre altri 170 imputati sono
tutt’ora in attesa di giudizio. I numeri di questa “violenza
settaria” riportano invece un bilancio pesantissimo per la comunità
cristiana del Kandhamal: 120 morti, quasi 56.000 fedeli costretti alla fuga,
8.000 case bruciate o saccheggiate in 415 villaggi, 300 chiese demolite, 40
donne stuprate e 12.000 bambini sfollati e costretti a interrompere gli studi.
Mons. Barwa
ha dichiarato che non rinuncerà mai a lottare "fino a quando anche
l’ultimo dei cristiani avrà ottenuto giustizia. Prego e ringrazio tutti coloro
che ci aiutano e che mantengono l’attenzione su di noi”. Tra gli sforzi
della Chiesa locale, vi è stato il rilascio su cauzione dei sette cristiani accusati dell’omicidio del guru indù, liberati dopo 11 anni. Per il momento, racconta, “non ho ancora avuto la
possibilità di incontrarli perché ogni volta che sono andato nel Kandhamal
avevo programmi fittissimi. La prossima occasione sarà questo mese, e già
abbiamo fissato un incontro con le famiglie. Ad ogni modo, sono in
contatto con loro e so che stanno bene. Sono molto felice per loro e al tempo
stesso triste: com’è possibile che abbiano dovuto trascorrere così tanti anni
in prigione da innocenti?”. Nel 2020-2021, ha concluso l’arcivescovo, “la
Chiesa dell’Orissa ospiterà la Plenaria del Sinodo latino della Conferenza
episcopale indiana. Spero e prego che sia un tempo di benedizione per
tutti noi. Sono sicuro che sarà un momento di benedizione per il nostro popolo,
per rafforzare la fede e il coraggio” e speriamo sia anche un momento
anche di fraternità inter-religiosa. In ballo c’è la tenuta della democrazia indiana
per ora aggrappata a pochi segnali di speranza. Tra questi c'è sicuramente la partecipazione alle
proteste delle donne musulmane e
cristiane che hanno spesso sventolano la bandiera nazionale, hanno cantato
l’inno indiano e portano con loro il ritratto di B.R. Ambedkar, un
giurista che apparteneva alla casta degli “intoccabili” e che fu il maggiore
ispiratore della Costituzione democratica indiana, come a ribadire di
sentirsi a tutti gli effetti indiane, pur professando una religione diversa da
quella della maggioranza della nazione. Forse nella società indiana la
lezione di Gandhi non è stata totalmente dimenticata e continua a operare per
superare le barriere etniche e religiose.
*
da www.unimondo.org - 6 febbraio
2020
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