di Stefania
Mascolo *
Pare che la
schiavitù sia stata abolita secoli fa, eppure statistiche recenti sostengono il
contrario. In Europa si registrano oltre un milione di persone che vivono in
condizioni di schiavitù, vittime del traffico di esseri umani, di abusi
sessuali e costrette ai lavori forzati. L’Italia, insieme a Bulgaria, Cipro,
Grecia e Romania, è uno dei paesi europei dove le cifre relative al moderno
lavoro forzato sono molto significative.
Il rapporto
“Modern Slavery Index 2017“, redatto dal British
Study Centre Verisk Maplecroft, mette in evidenza la stretta relazione che
intercorre tra la presenza di profughi sulle coste europee e il crescente
problema della schiavitù, con particolare riferimento ai paesi di primo
approdo. La condizione di vulnerabilità in cui versano i migranti entrati
illegalmente in Europa, spesso li spinge tra le braccia di uomini senza
scrupoli che li adescano con la promessa di permessi e soldi facili e li
inseriscono nel circuito della criminalità organizzata. Dopo aver affrontato un
pericoloso viaggio in mare, li attende un soggiorno in centri d’accoglienza
precari e un difficile percorso d’integrazione nel paese ospitante. Per alcuni
di loro il “Benvenuto Europeo” consiste in lavori forzati, sottopagati, e
spesso maltrattamenti.
Da immigrati a schiavi.
In Italia i
migranti sono vittime di un business noto come “Agromafia” (termine che sta a
indicare le attività mafiose nel settore agricolo) che, nel 2013, ha fatturato
circa 14 miliardi di
euro. Il sindacato italiano FLAI-CGIL è incaricato di supervisionare e
proteggere i diritti dei lavoratori del settore agricolo. Il Professore Jean
René Bilongo, responsabile del coordinamento immigrati del FLAI-CGIL,
intervistato da Words in the Bucket, ha dichiarato: “I profughi che
lavorano nell’agricoltura sono spesso vittima di sfruttamento”, e ciò non
riguarda solo il Sud Italia. La schiavitù inizia prima del loro arrivo. La criminalità organizzata, attraverso
intermediari locali in Africa e Medio Oriente, fissa il prezzo del viaggio in
migliaia di euro, obbligando i migranti a lavorare e a vivere in condizioni
spaventose. Oltre ad essere costretti ai lavori forzati per ripagare il debito,
subiscono la minaccia di essere denunciati alla polizia con il conseguente
rimpatrio forzato.
Agromafia
Il grande
mercato agroalimentare italiano, in cui l’80% dei lavoratori è costitutito da
profughi, è il più colpito da sfruttamenti, illeciti e violenza. Secondo il
Rapporto “Caporalato e Agromafie” a cura di FLAI-CGIL, 400.000 persone lavorano in
condizioni di semi-schiavitù e 700.000 nel mercato illegale del settore agricolo
nazionale. Invitato a definire cosa si intenda per “condizioni di schiavitù” ,
il Professor Bilongo ha spiegato che si tratta letteralmente di “vivere e
lavorare come schiavi: giornate lavorative estenuanti, salari inesistenti,
sistemazioni inadeguate, solitudine forzata e violenza”. Ovvero le
condizioni di vita dei migranti nell’agricoltura. Il pubblico ministero di
Foggia Vincenzo Russo ha sostenuto, sul Fatto Quotidiano, che la domanda di
lavoro è enorme, ma l’elevata tassazione, il costo del lavoro e la crisi
economica in Italia, spingono molti a scegliere l’illegalità. La schiavitù è
presente in tutto il paese, dalle piantagioni di pomodori e olive al Sud ai
vigneti delle migliori case produttrici di vino al Nord. Non è tuttavia
possibile realizzare su base nazionale una mappa dettagliata del fenomeno, in
quanto presente in maniera “sistemica e mutevole”. Il Professor Bilongo
sostiene che lo sfruttamento dei lavoratori rappresenti “un’emergenza” e
evidenzia come la criminalità organizzata sia “pienamente coinvolta nel
sistema del caporalato e dello sfruttamento”.
Vista aerea di un campo di pomodori in Sicilia dove
sono impiegati illegalmente Immigrati clandestini. 2015, Credits to [Al
Jazeera]
Anche il silenzio è criminale
L’Espresso
ha pubblicato un’inchiesta nel Settembre 2017 dal titolo: “Chiedevamo protezione, ora siamo schiavi”,
che racconta una giornata tipo tra i migranti ospiti di un centro d’accoglienza
in Sicilia. I Centri d’Accoglienza Straordinari (Cas) sono strutture private
riadattate per la prima accoglienza dei migranti. Gli abusi rappresentano la
quotidianità, recentemente le forze dell’ordine hanno arrestato due persone a
Taranto con l’accusa di sfruttamento del lavoro. Il Professor Bilongo spiega
come “35 lavoratori rumeni vengano pagati 1,50 euro all’ora per 17 ore al
giorno e senza giorno di riposo”, al chiuso in stanze prive dell’accesso ai
servizi igienici, con la certezza di essere picchiati in caso di lamentele.
L’Espresso
ha spiegato come la burocrazia e l’impunità per i crimini commessi nei Cas stiano alimentando la
diffusione del sistema criminale noto come “caporalato”, una forma illegale di
reclutamento svolto da intermediari che ricevono tangenti. È un’intricata
ragnatela fatta di sistemi criminali, assenza dello Stato, omertà, corruzione e
complicità delle autorità locali.
Il ruolo della legge
A partire
dal 2016 in materia di agromafia e caporalato il Parlamento italiano ha
introdotto un quadro giuridico che aggiunge nuovi reati, e sanzioni all’interno
del codice penale. Il cambiamento legislativo sembra avere un impatto positivo:
le nuove operazioni condotte dalle forze dell’ordine, incentivano i lavoratori
sfruttati a denunciare la loro condizione alle autorità. Il Professor Bilongo
sostiene che “E’ diventato molto comune – quasi un fatto quotidiano –
leggere sui giornali di persone arrestate per lo sfruttamento dei lavoratori,
pare quindi che la strategia di reprimere e punire stia dando risultati”. La
legge è comunque solo un primo passo per eradicare il problema. È fondamentale
sensibilizzare l’opinione pubblica, in modo tale che ognuno diventi consapevole
del ruolo che svolge nella creazione di una società più equa e giusta. La
schiavitù e lo sfruttamento odierni cancellano i progressi che la protezione
dei diritti dell’uomo ha fatto in tutto il mondo e ci ricordano le profonde
contraddizioni presenti nelle società moderne.
* da www.thezeppelin.org
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qui per l’articolo originale - Traduzione di Alister Ambrosino
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