“Tanti, ma quanti?” I numeri ci
dicono poco nel senso che attorno ad ognuno di essi c’è un mondo poco noto.
Non conosciamo ciò che sta dietro, davanti, in parte e il numero rischia di
diventare un buco nero nel vuoto della non conoscenza, perdendo anche il suo
significato o assumendone uno distorto o infedele. Forse non basterà raccontare
un po’ di più il contesto sempre plurale che li ha fatti nascere, ma vale
la pena prendere in mano la Storia, le storie, per guardare oltre il qui ed ora
e intendere un po’ di più la complessità.
La domanda in questione è “perché così
tanti nigeriani”? Ci si riferisce alle persone di cittadinanza nigeriana presenti nei centri di accoglienza italiani
oggi. In realtà è chiaro che, se in un solo luogo, la presenza è del 70% sul
totale degli ospiti, l’impressione di chi quel luogo lo abita è che “tutti” i
nigeriani stiano arrivando lì e per approssimata generalizzazione in Italia.
“Quanti sono?”, “cosa vogliono?” Dal
1° gennaio al 30 novembre 2016, secondo i dati forniti dal cruscotto statistico giornaliero del Ministero
dell’Interno, i nigeriani approdati in Italia sono 35.740. Hanno superato gli
eritrei che fino al 2015 erano la nazionalità più numerosa: al 31 dicembre
2015, 38.612 ed oggi 20.002. Possiamo dire che i due Paesi si sono scambiati di
posto nella classifica degli arrivi via mare. È noto che gli eritrei non
scelgano di rimanere in Italia, ma decidano di proseguire il loro viaggio
oltralpe come pure i somali e i sudanesi che si trovano al terzo e al quarto
posto della “classifica 2016” degli approdi. Seguono gambiani, siriani,
maliani, senegalesi e bangladesi, ma siamo sotto le 10.000 persone per paese di
provenienza. Con questi numeri è chiaro che statisticamente la probabilità di
ospitare una persona di origine nigeriana è molto elevata.
È a questo punto che interviene la
voglia di capire cosa stia accadendo, quali scelte vengano compiute lungo le
rotte, chi siano le persone che si spostano e quali siano le storie che li
accompagnano nel lungo viaggio di tre/quattro mila chilometri. Dalle grandi città
nigeriane come Lagos e Benin City, dove molti non sono nati, ma giunti alla
ricerca di un lavoro che le zone rurali del paese non hanno saputo offrire
loro, arrivano in Libia, passando per il Niger e valicando quell’immensa
frontiera che è il deserto sahariano.
La Nigeria, quasi un milione di
chilometri quadrati e una popolazione che supera i 170 milioni di abitanti, è
uno stato federale, complesso, diverso, ingovernabile da Abuja per Muhammadu Buhari, presidente da fine maggio 2015. Secondo i dati
ufficiali dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, alla fine del 2015,
solo lo 0,59% del totale della popolazione viveva al di fuori dei confini
nazionali, cioè poco più di un milione. Le comunità più numerose sono quelle
insediate negli Stati Uniti e nel Regno Unito. I numeri dell’emigrazione sono
però da rivedere al rialzo, in quanto molti processi sfuggono ai rilevamenti.
In Italia, al 1° gennaio 2016, erano regolarmente iscritti all’anagrafe 77.264
cittadini di origine nigeriana (fonte ISTAT). Oggi saranno sicuramente di più.
Guardando questi dati potremmo dedurre che l’emigrazione vista dalla Nigeria non è un fenomeno di massa.
Guardando la Nigeria da fuori ciò che
appare è un gigante che avanza, almeno così sembra dai dati della Banca Mondiale e dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio: soprattutto nuovi settori industriali come il cinema, il trasporto
aereo, il turismo, le telecomunicazioni sono in crescita. I cambiamenti però
non hanno fatto diventare la Nigeria una grande potenza, tanto che aumentano i
poveri e il divario economico e culturale tra classi sociali. La corruzione
dilagante, la violenza e la presenza di Boko Haram, l’incertezza e l’insicurezza
stanno facendo scappare numerose aziende. Anche l’italiana Eni, come altre
compagnie, sta pensando alla ritirata soprafatta da un lato dalle accuse delle
agenzie non governative internazioni per i danni ambientali nel delta del Niger
e dall’altro dall’insufficiente produzione legata anche alle continue perdite a
causa di atti di vandalismo sulle tubature che vengono rotte o perforate –
detto illegal oil bunkering – da parte di
organizzazioni che prelevano illegalmente il greggio per raffinarlo e
rivenderne la benzina.
La violenza che conosce la Nigeria non è
solo quella dei gruppi islamisti che seminano terrore, è anche quella delle confraternite, nate attorno agli
anni Cinquanta del secolo scorso, un fenomeno poco noto che va sotto il nome di
cultismo, diffuso nelle università e nelle scuole
secondarie. I loro membri sono arruolati come
combattenti o come manodopera per le attività illegali di oil
bunkering, attirati dai facili guadagni e dall’offerta di opportunità
lavorative, vengono iniziati all’uso della forza e delle armi, che arrivano da
diverse fonti largamente sostenute dalle reti di potere politico ed economico,
nonché all’uso di sostanze stupefacenti e allo sfruttamento sessuale. Dagli
anni Novanta, il cultismo è uscito dalle università per scendere in
strada, insinuarsi nei quartieri urbani e destabilizzare i sistemi sociali.
Oggi queste realtà sommerse, ma violentemente presenti, rappresentano una
minaccia per l’intera società. Il bisogno di affiliati è sempre maggiore visti
i numerosi sviluppi di attività economiche particolarmente remunerative, seppur
illecite. E poi vista l’insicurezza, appartenere è una garanzia di protezione. Sono giovani uomini
e donne. C’è chi cade nella trappola avvinghiato dalle lusinganti proposte di
una vita “coi soldi” e soprattutto con i giusti agganci per riuscire, per avere
successo. C’è chi non ne vuole sapere, ma fatica a sfuggire alle provocazioni
criminali. C’è chi vuole liberarsene, ma ha scarsa probabilità di farcela. C’è
chi è nei guai e scappa. La casistica è articolata.
Molte delle storie di chi arriva in
Italia dalla Libia dichiarando una nazionalità nigeriana sono cariche di paura
di non farcela a sopravvivere in contesti in cui si può morire massacrati dai
coltelli o crivellati dalle pallottole. La pervasività di questo sistema unito
alla dilagante corruzione, all’incontrollata illegalità dell’agire, allo scardinamento
dei valori di integrità morale e all’oblio dei diritti umani sgretola il
tessuto sociale, anestetizza le opportunità e spinge alcuni giovani a lasciare
famiglie e talvolta figli per la paura di morire o di essere catturati dalle
maglie del cultismo.
* da unimondo.org, 27
Dicembre 2016
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