“L’inchiesta
sugli stagionali sfruttati in Salento è agghiacciante, per ciò
che riguarda le condizioni di lavoro, il numero delle ore lavorate, la
tipologia di offerta, il salario, l’assenza di un potere contrattuale e di
sicurezza sul lavoro. Ci fa vedere uno spaccato preoccupante, che dimostra che
non è vero che non ci siano lavori stagionali in Italia. Come vediamo dai dati
dell’osservatorio Inps i lavoratori stagionali piuttosto che diminuire sono
aumentati: lo scorso anno sono stati 260mila in più del 2018, quando il reddito
di cittadinanza non esisteva, e da gennaio a maggio 2022 si è
registrata una crescita del 60 per cento rispetto allo stesso periodo
del 2021″: così Nunzia Catalfo, ex ministra del Lavoro nel governo
Conte II e senatrice del M5S, commenta l’inchiesta di Tpi realizzata da Massimiliano Andreetta e Sara Giudice, che
mostra lo sfruttamento a cui sono sottoposti i lavoratori stagionali in cerca
di un impiego estivo in Salento, costretti a coprire doppi turni per un
arco complessivo di 18 ore nella cucina di un ristorante, 7 giorni su 7,
senza diritto al riposo settimanale, per tre euro l’ora e senza contratto.
Catalfo è la prima firmataria della proposta
di legge sul salario minimo depositata in Senato ad aprile del 2021 ma
infine bloccata in Commissione Lavoro. “La proposta è rimasta ferma in
Commissione lavoro per anni, anche dopo aver ripreso la discussione a
dicembre. Che alcuni partiti, come il Pd, la inseriscano oggi nel
programma elettorale quando si è avuta la possibilità di metterla in
atto, mi lascia più che perplessa, perché le vere intenzioni si dimostrano con
i fatti”, osserva la ex ministra e coordinatrice del Comitato per le
politiche del lavoro del M5S, che non è candidata per un seggio in
Parlamento per via della regola del doppio mandato.
“Noi avevamo la possibilità di poterla
dibattere ampiamente in commissione e approvare, eliminando il problema dei
salari, diminuiti in Italia negli ultimi 30 anni come certificato dall’Ocse,
mentre in tutti gli altri Paesi dell’Ue sono aumentati. Come dimostra la vostra
inchiesta, avere un salario di 3 euro e 50 vuol dire essere schiavi. Utilizzo
un termine forte, ma il salario deve consentire di vivere una vita
dignitosa, il datore deve versare i giusti contributi. Poi si può fare
tanto anche per le imprese a livello di cuneo fiscale, incentivi e detassazione
degli incrementi retributivi derivanti dai rinnovi dei contratti, elementi
presenti anche nel disegno di legge che avevo depositato, ma il dato di fatto è
che tutti i partiti non hanno voluto intervenire”, spiega Catalfo.
A presentare emendamenti soppressivi di alcune parti
del disegno di legge, compresa quella che fissava la soglia minima a nove
euro, sono stati non solo i partiti di centrodestra, ma anche il Pd, che
nel programma elettorale presentato in vista delle prossime elezioni ha invece
inserito il salario minimo legale tra le proposte. “Anche se verbalmente
sembrava si fosse trovato un accordo, negli emendamenti presentati dal Pd c’era
la richiesta di soppressione di elementi importanti, compresa
la soglia minima – spiega Catalfo – Ma se non la si vuole allora il risultato
sono 3,50 euro l’ora. È questa una soglia dignitosa, soprattutto per quelle
forze politiche che poi inseriscono il salario minimo nel programma elettorale?
Parlare della proposta ora, dopo che si è avuto tutto il tempo di discuterne
nel merito, vuol dire semplicemente fare campagna elettorale, perché le cose se
si vogliono fare si fanno, e non avremmo avuto uno spaccato vergognoso
come quello dell’inchiesta se si fosse andato avanti nella
discussione”.
“Le condizioni svelate dall’inchiesta – continua la
senatrice M5S – sono vergognose, non di un Paese in cui si parla di
welfare, diritto del lavoro, nuove tecnologie. È una cosa che mi fa paura,
e ci sono state denunce simili anche da parte di altri lavoratori, quindi la
realtà dell’inchiesta non è un caso isolato”. Ancora una volta la
narrazione sul reddito di cittadinanza, che vede la misura come un
ostacolo alla ricerca di lavoro da parte di percettori che preferiscono
ricevere l’indennità mensile piuttosto che accettare un’offerta, risulta
fuorviante.
“Non è che gli stagionali non accettano il lavoro a
causa del reddito, ma a causa delle condizioni offerte e della
precarizzazione del lavoro, un tema che tra l’altro faceva anche parte
dei nove punti presentati a Draghi da Giuseppe Conte. Ma ci è stato
detto di no. Non ci si rende conto che tutto questo va contro le stesse imprese
italiane, perché avere lavoratori a basso reddito vuol dire avere cittadini con
basso potere d’acquisto, con un impatto negativo sull’economia stessa, il Pil
interno e la domanda aggregata, un circolo vizioso da cui bisogna uscire, da
cui tutti gli altri Paesi dell’Ue sono usciti. Un tema che tocca
l’economia e i diritti“, conclude.
Video: https://www.youtube.com/watch?v=NbwafPUNlQM&t=876s
* da tpi.it del 31 agosto 2022
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